Cultura per ripartire: l’opinione del vicesindaco di Roma Luca Bergamo
Continua la nostra serie di interviste a personaggi di spicco della politica italiana. Dopo la chiacchierata con l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno, ci spostiamo nella Capitale.
Come sarà la vita culturale di Roma nella Fase 2 e in quella, si spera imminente, post pandemia? Lo abbiamo chiesto a Luca Bergamo, vicesindaco di Roma con delega alla crescita culturale.
Spettacolo dal vivo, l’ipotesi di un cine drive-in, ma anche il ruolo dell’Europa, le questioni di gentrificazione e della turistificazione, l’uso degli spazi ad oggi abbandonati, il sostegno ai lavoratori culturali, la cui compagine è frammentata: ecco i temi emersi nel corso della conversazione. E anche un’adesione alla proposta lanciata dal Ministro Dario Franceschini di creare una Netflix della cultura…
Quest’anno Roma ha festeggiato per cause di forza maggiore l’anniversario dalla propria nascita, il famoso Natale di Roma, con una festa online. Che anno sarà per mostre e musei?
Abbiamo festeggiato anche il primomaggio online. Sapremo a breve in che modo le condizioni in cui possono essere vissuti gli spazi chiusi cambieranno. Il godimento degli spazi museali e archeologici porta con sé minori problemi di quanto non faccia il godimento dello spettacolo dal vivo. Lavoriamo perché accada al più presto e in sicurezza, ma non sappiamo ancora nel dettaglio cosa significhi, appunto, farlo in sicurezza.
Parlando della Mostra del cinema di Venezia, il presidente della Biennale Roberto Cicutto ha detto: “Credo che il Festival debba godere di una extraterritorialità rispetto alle misure di sicurezza, un segnale che poi possa estendersi ad altre sale”. Vale anche per la Festa del cinema di Roma che si terrà un mese dopo?
Se non ci saranno recrudescenze dell’epidemia a settembre avremo imparato meglio come gestire gli spettacoli. Spero troveremo un modo per convivere con il virus tale da permettere che eventi che prevedono la presenza di molte persone si possano tenere. Stiamo lavorando alla Festa del cinema, anche se quello che intendiamo come suo “regolare svolgimento” sarà diverso rispetto agli anni precedenti.
Il Ministro Franceschini ha parlato di una “Netflix della cultura”. Ricordo che lei si era opposto all’idea, sempre del Ministro, di istituire un biglietto d’ingresso al Pantheon. Cosa deve essere gratuito, e cosa a pagamento?
Non siamo in disaccordo con il Ministro in questo momento, anzi, c’è un rapporto molto costruttivo con il gruppo di dodici assessori alla cultura di cui faccio parte. Stiamo cercando insieme di intervenire laddove il precedente decreto ha lasciato dei buchi. Rispetto all’idea di una piattaforma digitale [di cui ha parlato il Ministro]: ci sarà un’evoluzione dell’offerta di servizi culturali su piattaforme digitali e questo non deve essere lasciato a Netflix o a Amazon, ma non deve – e non è intenzione del Ministro – sostituire la fruizione della vita culturale. La questione del Pantheon è molto diversa: un conto è discutere sul fatto che uno spazio pubblico e luogo di socialità preveda un biglietto d’ingresso, che lo mercifica, un’altra cosa è discutere di una piattaforma digitale con servizi in parte a pagamento e in parte gratuiti che possano essere goduti da tutti.
Quindi, come si fa?
La partecipazione alla vita culturale è condizione fondamentale per lo sviluppo di società democratiche, coese e consapevoli e quindi non si tratta solo di un piacere, c’è anche un’importante funzione pedagogica e sociale. In questo momento l’intervento pubblico deve quindi aumentare, non ridursi, anche in favore dell’esperienza collettiva di un evento. Ad esempio, nel passato ho ipotizzato che l’intero Parco archeologico dei Fori possa essere a ingresso libero, immaginando che in parallelo ci siano servizi ed esperienze digitali a pagamento. In una crisi sociale come questa deve esserci sia l’intervento pubblico per avere una vita culturale che faccia da collante sociale, sia l’incentivo al mecenatismo e all’impresa socialmente responsabile, perché entrambi concorrono alla stessa finalità. Anche nella crisi la partecipazione alla vita culturale è un elemento di costruzione della società. Non si tratta quindi solo di occupare il tempo libero delle persone.
A Roma hanno chiuso molte sale cinematografiche e altre, specialmente le più piccole, potrebbero chiudere a causa di questa crisi. I drive-in potrebbero essere una soluzione per qualche mese, come ha ipotizzato anche il presidente dell’Anica Francesco Rutelli. CNA – cinema e audiovisivo di Roma ha lanciato il progetto Cinedrive in collaborazione con una rete di esercenti. Lei è favorevole? E pensa che gli spazi che verranno in tal caso individuati potranno ospitare anche altri momenti di aggregazione durante il giorno?
In un drive in è necessario che le auto stiano ad una certa distanza l’una dall’altra e che lo schermo sia ad una certa altezza, altrimenti chi arriva con il SUV non lascia vedere niente a nessuno. Non credo perciò che la struttura del drive-in sia applicabile ad altre forme di spettacolo, però è indubbio che il drive-in possa essere una delle soluzioni per andare al cinema e ci lavoreremo appena sapremo le condizioni tecniche di sicurezza. Ci sono anche altre possibilità, come le arene all’aperto, senza le auto, con le nuove condizioni di distanziamento fisico. Lo spazio all’aperto offre questa possibilità che lo spazio chiuso non dà. Spero però che le sale possano riaprire, con un contingentamento, come accadrà nei musei, ma c’è un problema di sostenibilità economico-gestionale perché il costo di gestione non cambia ma la capienza ora è inferiore.
Come si può, quindi, intervenire?
Il governo potrebbe aiutare dal punto di vista fiscale con sostegni a soggetti privati che devono pagare un affitto per la gestione di attività culturali (quindi anche teatri, scuole di danza, gallerie d’arte) e vedono calare i ricavi. Serve un insieme di misure coordinate. Chiedo venga superata una norma dei decreti Bersani [2006] che impedisce lo svolgimento di attività commerciali sussidiarie nelle sale di pubblico spettacolo: ad oggi la norma prevede che questo sia possibile solo durante lo spettacolo, a svantaggio di bar o librerie o ristoranti collegati a quello spettacolo (ad esempio un film). I cine-drive possono aiutare, ma da soli non sono la soluzione definitiva.
Ha incontrato nei suoi appuntamenti virtuali il gruppo dei Lavoratori autorganizzati dello spettacolo di Roma?
Abbiamo organizzato due incontri online a fine aprile permettendo agli operatori di registrarsi. Nel primo incontro pubblico hanno partecipato circa 200 lavoratori dello spettacolo, mentre il secondo incontro è stato dedicato ai soggetti associati o alle rappresentanze. Diversi di loro hanno preso la parola in una delle due riunioni che ho organizzato on line. Questi lavoratori sono frammentati, non c’è un’unica rappresentanza, perciò spesso non hanno voce.
Ci spieghi meglio…
Con i miei colleghi assessori ho insistito perché il decreto in preparazione eviti quei vuoti che avevamo individuato già prima del Decreto Cura Italia, in particolare per due tipologie di lavoratori: innanzitutto i freelance che non hanno partita iva né un contratto di collaborazione coordinata e continuativa [Co.Co.Co], che dovrebbero trovare finalmente risposta nel nuovo decreto estendendo lo spettro d’azione dei fondi del articolo 44 del Decreto Cura Italia – salvo la contrarietà di Matteo Renzi e altri che dovrebbero spiegare perché osteggiano queste forme di reddito d’emergenza, dato che queste ad oggi sono l’unico strumento che consente di tutelare tutte le persone che lavorano in condizione di estrema precarietà. Poi c’è la questione dei lavoratori intermittenti, a chiamata – caratteristica del settore culturale, ma non solo – che non stanno ricevendo la cassa integrazione in deroga, perché le imprese per cui lavorano non l’hanno autorizzata per loro. L’Inps, infatti, in base ad una propria circolare del 2006, sostiene che non possano essere retribuite giornate di lavoro che non fossero certe. Alcune regioni stanno applicando la cassa integrazione sulla base di un calcolo della media delle giornate lavorative dell’anno precedente, ma l’Inps applica questa regola alle giornate lavorate fino al 23 febbraio, che sono per forza di cose pochissime. Lavoriamo perché anche queste due tipologie di lavoratori siano coperte dal prossimo decreto.
Anche gli enti del Terzo settore che operano in ambito culturale sono esclusi dal primo Decreto Cura e non vengono nominati nelle dirette del Presidente del Consiglio Conte: è possibile intervenire?
Come comuni e dunque come comune di Roma stiamo intervenendo, ma possiamo erogare contributi solo a fronte di attività non a sostegno del reddito, mentre [ora che non ci sono attività] devono intervenire le regioni e il governo con le proprie politiche sociali e del lavoro: sostegno al reddito o alle imprese. Assieme al Forum del Terzo settore l’abbiamo sottolineato nei colloqui con il governo. Come comune abbiamo sospeso i pagamenti dei canoni di locazione sugli immobili in cui si svolgono attività di carattere culturale e sociale che sono di proprietà del comune; abbiamo confermato i bandi triennali che avevamo aperto: è stata pubblicata la graduatoria del bando per la terza edizione di Eureka! per svolgere attività di promozione della cultura scientifica nella primavera degli anni 2020, 2021 e 2022, e poi il bando Estate Romana, e per entrambi abbiamo stabilito che per quest’anno i beneficiari possano rimodulare in qualunque momento dell’anno le attività in programma, anche modificandole, e ciò non avrà effetto né sulla percentuale di contributi che ottengono, né sul diritto di svolgere attività negli anni successivi, avendo eliminato la norma per cui chi non fa attività nel corso di un anno perde il diritto di farla nell’anno successivo.
Quali sono gli obbiettivi?
Non deve esserci solo assistenzialismo in una fase così delicata, ma anche una spinta a riprendere l’attività culturale. Mettiamo in campo 4,3 milioni circa di cui 2,3 milioni sono in via di arrivo e passano proprio attraverso Eureka ed Estate romana. Sono bandi riservati a operatori indipendenti, quindi in gran parte del terzo settore. Stiamo lavorando ad un terzo bando, chiamato Programma, introdotto su mia proposta insieme alla Presidente della Commissione cultura Eleonora Guadagno nel nuovo regolamento dei contributi alle attività culturali approvato a novembre scorso, per dare contributi non al singolo progetto, ma a chi svolge attività continuativa nel corso dell’anno. Per fare un esempio: contributi ad un teatro o una galleria d’arte, o un centro culturale, o una compagnia teatrale, o una scuola di danza, non per un solo progetto, ma se hanno fatto e programmano una stagione. Vogliamo dotare questo bando di 800 mila euro, incrementabili attraverso un fondo straordinario se l’Assemblea Capitolina [ossia sindaca più 48 consiglieri, Ndr] e pubblicarlo entro fine maggio, oppure attraverso i soldi risparmiati con gli eventi non realizzati. Quindi anche i circoli culturali potranno accedere. Ci sono però i vincoli della finanza locale, e a riguardo deve intervenire il governo con un decreto Cura-comuni perché le entrate dei comuni sono fortemente ridotte, in particolare quelle derivanti dalla tassa di soggiorno, fonte principale di finanziamento delle politiche culturali in comuni come Roma. La misura per compensare queste mancate entrate è fondamentale, a quel punto i comuni dovranno decidere se e quanto andare in disavanzo, cioè andare in deficit per quest’anno perché ci sono delle condizioni straordinarie e c’è bisogno di un maggiore intervento pubblico. Il nostro obiettivo è quello di non ridurre i servizi pubblici, anzi, possibilmente di estenderli, ma non dipende solo dalle misure che adotteremo noi.
Vi siete espressi in un gruppo di 12 assessori perché avete comunione d’intenti, quindi?
La produzione culturale si fa in larga parte nelle città e la creatività ha anche una rilevanza industriale: non c’è la moda o il design senza la vita culturale italiana, all’interno della quale si sviluppano le relazioni tra persone e dove nasce la creatività. In questo i comuni hanno una funzione importante. Allo stesso tempo il settore è molto frammentato, ci sono moltissimi punti di vista diversi. Come assessori siamo un gruppo perché vogliamo farci carico della funzione della cultura, che a volte viene messa da parte, altre volte osannata. Non c’è una consapevolezza politica diffusa della rilevanza e della strategicità di questo settore, ma è indispensabile perché senza la ripresa di questa sfera della vita non ci può essere la ripresa del paese. Questo non è chiaro né sentito dall’opinione pubblica, né nel dibattito politico. Come assessori vogliamo far emergere questa questione e ottenere interventi precisi dal governo.
Si è parlato anche dell’estensione dell’Art Bonus…
Noi assessori alla cultura ne chiediamo l’estensione a tutto il settore, non solo a chi beneficia del Fondo Unico dello Spettacolo come qualcuno sembra sostenere. Deve poter andare anche a una scuola di musica e a chi fa attività culturali. Mi sembra ci sia una disponibilità ad estenderlo, o comunque a defiscalizzare gli investimenti e il mecenatismo in campo culturale.
Come vanno affrontate le questioni della turistificazione e della gentrificazione di Roma?
A Roma la ricettività turistica è per oltre il 65% straniera, e questa componente di turisti non ci sarà per un po’. Il turismo interno non compenserà la perdita di quello estero. Inoltre queste due domande di turismo sono diverse: ad esempio, i turisti cinesi che vengono la prima volta per poco tempo a Roma vedono il Colosseo e la fontana di Trevi, mentre ad un turista italiano Roma è più nota e fa una visita diversa. Questa è l’occasione, e so che l’assessore Carlo Cafarotti (Assessore allo sviluppo economico, turismo e lavoro) ne è consapevole, per accelerare l’emersione di un’economia sommersa in cui c’è anche una competizione scorretta nel settore del turismo, che si concentra nel centro città, e per ripensare nel medio periodo il posizionamento turistico della città.
Cosa significa “degentrificare”?
Far tornare nel cuore della città funzioni nuove o diverse, che ne sono state espulse in parte minore dall’uso del patrimonio pubblico e in parte maggiore dalla reddittività del patrimonio privato quando a servizio del turismo: appartamenti non affittati a residenza ma trasformati in bed and breakfast, spazi commerciali non per l’artigianato o servizi di qualità ma a servizio di un turismo indifferenziato mordi e fuggi. Inoltre quando un intero palazzo diventa un bed and breakfast chi affitta ha meno costi rispetto ad un albergo (ad esempio non ha quelli relativi alle misure di sicurezza) ma non è diverso. C’è un lungo lavoro da fare e la situazione attuale ci costringe a farlo.
Come?
È necessaria la consapevolezza della classe politica, delle imprese e degli intellettuali rispetto al fatto che lo sviluppo della città non sta tutto nella capacità di attrazione turistica. Ad esempio, Roma ospita il 50% della ricerca scientifica nazionale, alcune tra le più importanti scuole di scienza del mondo, grandi apparati produttivi della scienza mondiale (come l’Enea), la più grande comunità accademica urbana d’Europa con eccellenze delle scienze umanistiche, un settore produttivo, culturale e creativo molto consistente (ad esempio quello audiovisivo) e la più alta concentrazione di patrimonio culturale di qualsiasi altro posto del mondo. Il cuore dell’identità delle città è la produzione di cultura e conoscenza. Il resto dovrebbe essere funzionale a questo punto di forza. Per anni invece si è considerato il patrimonio culturale di Roma strumentale all’offerta turistica. Per affrontare il problema della gentrificazione bisogna ad esempio appesantire il fisco per chi utilizza il patrimonio immobiliare per certi fini e alleggerirlo per altri.
Lei è stato segretario di Culture Action Europe (network europeo che raccoglie oltre cento organizzazioni attive in tutti i settori della cultura) e ha quindi importanti relazioni internazionali. Cosa si dovrebbe fare a livello europeo? Cosa può fare il programma Europa Creativa?
Europa creativa oggi è molto diversa da come era anni fa anche grazie al lavoro fatto con Culture Action Europe e gli associati. Nella prima stesura concepiva l’attività culturale come primariamente funzionale alla crescita economica,oggi la funzione sociale è molto più riconosciuta. Si comincerà a discutere del futuro di questi programmi. L’Europa dovrebbe fare tanto e fa poco in campo culturale ma i trattati costitutivi riservano la competenza agli stati nazionali, con l’effetto di svilirne la funzione nel progetto europeo dall’altro di sottolineare una visione strumentale della cultura vista come funzionale alla promozione di interessi nazionali. Sono convinto che senza una Europa più forte le spinte nazionalistiche prevarranno con grandi pericoli per tutti in Europa e nel mondo. La discussione sulla cultura va in parallelo con questo. Poi non c’è solo l’Europa come abito d’azione internazionale, i governi locali mondiali sono un soggetto che deve acquisire peso nella governance mondiale, anche in considerazione del fatto che tra breve il 70% della popolazione mondiale abiterà in aree urbane. Con l’associazione mondiale dei comuni e dei governi locali lavoriamo da otto mesi per una carta di principi che abbiano valore internazionale sui diritti culturali e in tema di governo delle città. Il diritto di partecipare alla vita culturale della comunità è sancito sia dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), sia dalla nostra Costituzione, che ne parla all’articolo 3 e all’articolo 9. L’elemento cui puntare non è il consumo, ma la partecipazione all’intero ciclo, dalla scoperta all’apprendimento, dalla produzione al godimento.
In un’ottica di rilancio sarà possibile prevedere di mettere a disposizione gratuitamente spazi che sono ora inutilizzati?
Sono assolutamente favorevole, ma finora non lo è stato il consiglio comunale e per questo non è stato possibile. Lo stiamo già facendo su spazi temporanei, ad esempio per il Capodanno e penso per l’estate. Inoltre diamo strumenti di sostegno anche togliendo le imposte per l’occupazione di suolo pubblico anche alle superfici destinate ad attività commerciali temporanee sussidiarie alle attività culturali. Per le superfici impiegate per le attività culturali temporanee è già gratuita. Ad esempio stiamo cercando di fare in modo che il bar di un festival non debba pagare per quest’anno l’occupazione di suolo pubblico.
–Chiara Zanini
[*intervista realizzata il 30 aprile 2020]
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