Perché ancora biblioteche e archivi chiusi? La lettera di CUNSTA a Dario Franceschini
CUNSTA – la Consulta Universitaria per la Storia dell’Arte reputa inaccettabile la prolungata chiusura di luoghi di studio e ricerca come biblioteche e archivi. Ecco la lettera inviata al Ministro del MIBACT Dario Franceschini.
Dopo una primavera di severo lockdown, nell’estate 2020 l’attenzione pare rivolta interamente al ritorno a una spensierata pseudo “normalità”, con l’affollamento dei luoghi vacanzieri, dei locali e persino delle discoteche. Tra le poche sedi a rimanere serrate, però, ci sono biblioteche e archivi, luoghi di lettura, studio e ricerca che non paiono destare l’interesse della politica che si sta occupando di gestire l’emergenza e il post emergenza. Una grave mancanza che CUNSTA – la Consulta Universitaria per la Storia dell’Arte ha deciso di denunciare direttamente al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo nella persona di Dario Franceschini, ma anche al ministro dell’Università Gaetano Manfredi, e ai direttori generali degli Archivi, delle Biblioteche e dell’Educazione del Ministero, indirizzando una lettera densa di indignazione. Il malcontento, secondo la Consulta, proviene dall’ingiustizia di aver aperto le librerie addirittura all’inizio di aprile (provvedimento contro cui anche Artribune si era scagliata) piuttosto che i luoghi dove la cultura è libera e gratuita, supponendo di dare meno attenzione al settore “perché non direttamente connesso alle strutture del commercio e della produzione industriale”, come riportato nel testo. Insomma, se per la cultura si sono stanziati milioni di euro, anche grazie al Decreto Rilancio oltre che al Cura Italia, sarebbe poco lungimirante castrare la parte di studio e ricerca che sta alla base del settore stesso. Di seguito, la lettera inviata da CUNSTA alle autorità politiche.
LA LETTERA DELLA CONSULTA UNIVERSITARIA PER LA STORIA DELL’ARTE
Onorevoli Ministri, Egregi Direttori,
i firmatari di questa lettera desiderano rappresentare alle SS.VV. le grandi difficoltà che la crisi Covid-19 ha procurato alla ricerca e alla didattica, in particolare per quanto riguarda uno dei servizi più importanti di questo settore, quello delle biblioteche e degli archivi.
Nel momento in cui il paese è ormai ripartito, a rimanere quasi completamente chiuse sono ancora le biblioteche. Nei rari casi in cui qualcuna di esse ha invece sperimentato qualche forma di riapertura – a orari fortemente limitati e con vari servizi non effettivi – una speciale normativa è intervenuta a bloccarne ulteriormente l’attività. Si tratta della disposizione “non prescrittiva” proveniente dall’Istituto della Patologia del Libro (un istituto non medico ma di conservazione libraria) che ha consigliato una quarantena di 10 giorni per ogni libro eventualmente consultato. Si può facilmente immaginare quali conseguenze devastanti abbia questo meccanismo: gli utenti, che non hanno più libero accesso agli scaffali anche nei luoghi dove questo era consentito, devono non solo prenotare i volumi, in numero sempre limitato, ma devono anche sottostare a questo fortissimo rallentamento funzionale, che di fatto riduce a ben poco le possibilità di una vera, rapida, e competitiva ricerca quale oggi è internazionalmente indispensabile.
L’Associazione Italiana Biblioteche ha espresso forti perplessità circa la misura dei 10 giorni, rappresentando che l’Istituto Superiore di Sanità, dunque il massimo organismo in campo sanitario nazionale, ha espressamente definito il periodo di sopravvivenza del virus sulla carta a un massimo di 3 giorni. Non comprendiamo come mai soltanto le biblioteche (e archivi) vengano sottoposte a queste norme draconiane, quando le librerie – che trattano i medesimi oggetti, li fanno toccare, consultare, rimettere a posto, ecc. – sono aperte da metà aprile senza alcun tipo di limitazione, e ogni altro esercizio commerciale, dai caffè ai ristoranti, ai cinema e perfino alle sale Bingo, è ormai libero di lavorare pur nell’ovvio rispetto delle prescritte norme di sicurezza.
Gli orari limitati e gli incomprensibili altri impedimenti ci sembra vadano a colpire un settore, quello dello studio nelle biblioteche, vitale per il mondo della ricerca e dell’insegnamento, in particolare quello universitario che i firmatari di questa lettera rappresentano. Dottorati, progetti, e ogni tipo di pubblicazione scientifica non solo accademica, ma museale e conservativa sono bloccati da mesi, e nessuna autorità ha ancora previsto e comunicato quale sia l’orizzonte con cui la comunità scientifica deve misurarsi. Il timore è che questo settore venga lasciato indietro perché non direttamente connesso alle strutture del commercio e della produzione industriale. Si tratta però, come il ministro Franceschini ha sempre sostenuto, di uno degli ambiti più cruciali e caratterizzanti della vita della nazione, quel “petrolio” che non è fatto solo di biglietti di ingresso a musei, ma va integrato a un grandissimo retroterra, accademico e conservativo, per cui l’Italia ha un posto di primo piano nel mondo.
La Consulta Universitaria per la Storia dell’Arte
– Giulia Ronchi
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