Ancora sulle Accademie italiane: le problematiche del comparto Afam secondo Antonio Bisaccia

Riceviamo e pubblichiamo il testo di Antonio Bisaccia, presidente della Conferenza Nazionale dei Direttori delle Accademie di Belle Arti italiane e Accademia d’Arte drammatica, intitolato l’insostenibile lunga attesa dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica, relativo alle problematiche post Covid (ma non solo) del comparto Afam

“È difficile farele cose difficili:parlare al sordo mostrare la rosa al cieco”. Così Rodari esortava i bambini ad osare anche, e soprattutto, l’impossibile. Il giogo accidioso dell’impossibile blocca da oltre 25 anni il settore dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica. Le istituzioni Afam ancora vivono in un limbo di generale disinteresse istituzionale e politico, quando non di manifesta e disinibita ostilità. Eppure l’arte, la musica, il teatro, la danza, il design, il cinema, hanno fatto grande il nostro paese.  Ma tutto questo pare non basti. Ci si dimentica che nel resto del mondo le istituzioni in parola appartengono di diritto al mondo universitario tout-court.

AFAM: L’EQUIPARAZIONE COSMETICA

La legge di riforma del settore, la 508/99, avrebbe dovuto sancire l’equiparazione al modello universitario. Nella sostanza, fattori oggettivi dimostrano che si tratta di un’equiparazione cosmetica. La riforma ancora attende il regolamento recante la programmazione, il riequilibrio, lo sviluppo del sistema e il reclutamento. Ovvero manca quella carta costituzionale che dovrebbe guidare gestione, scelte, organizzazione e sviluppo. Questa situazione ha costruito negli anni una sorta di “bolla perpetua” dalla quale non si esce. Qual è il motivo? Non è chiaro, ma se s’interrogano i politici di turno o i membri dei governi passati e presenti non si troverà nessuno che non sia d’accordo per risolvere l’ormai storica disparità di trattamento verso l’Afam. Senza, poi, agire di conseguenza.

Accademia di Belle Arti di Roma – ph. R. Puig

Accademia di Belle Arti di Roma – ph. R. PuigAccademia di Belle Arti di Roma – ph. R. Puig

AFAM: IL PREGIUDIZIO IMPLICITO

Da più parti viene osannato il primato delle cosiddette scienze dure o delle discipline Stem come motore dello sviluppo di un paese. È senz’altro vero che i paesi europei, gli Usa, e i paesi asiatici stanno mettendo mano all’adeguamento del sistema istruzione a questo modello. Ed è altrettanto vero che l’89,3 per cento dei laureati Stem – a cinque anni dalla laurea – lavorano senza problemi, anche se da noi questo tipo di laureati – nel 2019 – sono stati solo il 24,6 per cento. Ma si deve pur considerare – banalmente – che non può esistere sviluppo scientifico e tecnologico senza un adeguato – e parallelo – sviluppo del pensiero umanistico e artistico. Lo sapeva bene anche Ilya Prigogyne che, già nel 1986, aveva riflettuto sull’importanza di coniugare le Stem con le scienze umane e le arti. E ancor prima, Charles Snow, nel 1956, aveva sancito la necessità di superare lo scontro oppositivo tra cultura umanistica e cultura scientifica. Questo pregiudizio utilitaristico di fondo, nei confronti delle discipline umanistiche, ha generato, nel tempo, un’organizzata disattenzione sistemica sul mondo della formazione artistica, generando problemi a diverse generazioni di studenti, che non hanno – ad esempio – la possibilità di iscriversi ai dottorati Afam (non ancora attivi): un delitto – perpetrato nell’indifferenza istituzionale più somma – che ha e avrà conseguenze nefaste. Governi, ministri, e parlamenti, succedutisi nel tempo, hanno recitato il medesimo canovaccio dentro l’ampollosa retorica dell’arte come “fiore all’occhiello” del nostro paese, ma di questo fiore nessuno vede più i petali (e neanche il gambo). Abbiamo visto solo innumerevoli disegni di legge che si sono, inesorabilmente, persi per strada. Nessun atto politico concreto: insomma, il nulla straziato dal niente. Probabilmente il nostro paese passerà alla storia per aver dissipato – senza visione e senza pietà – la capacità di continuare a creare il patrimonio artistico che tutti c’invidiano. Non basta conservare, serve anche produrre. E per far questo bisogna creare le giuste condizioni, almeno basiche, che dovrebbero caratterizzare queste scuole d’eccellenza che formano (e hanno formato) artisti, musicisti, designer, attori, etc.

Cortile dell'Accademia di Belle Arti di Brera

Cortile dell’Accademia di Belle Arti di Brera

AFAM: TRIAGE RIFONDATIVO

Da dove ricominciare? Bisognerebbe approntare un grande piano per realizzare un triage rifondativo delle istituzioni Afam: triage che consenta di scegliere o, meglio classificare il gli interventi normativi da adottare, con un cronoprogramma delle priorità da assegnare a queste storiche istituzioni, consegnandole a una reale autonomia adesso solo nominale. Sono necessarie azioni legislative serie, innovative, profonde. Le norme esistenti, affastellatesi negli anni, sono pensate male e scritte peggio. Bisogna rimodellare il sistema da cima a fondo. Recentemente, il Ministro Manfredi – con una visione condivisibile – ha individuato una strada da percorrere: la legge delega. Questa prospettiva consentirebbe, in modo efficace, di produrre un reale riordino del sistema. Nel frattempo, però, è necessaria una serie immediata di provvedimenti ministeriali con carattere d’urgenza. C’è, infatti, all’orizzonte, la ripresa delle attività didattiche nel post-lockdown del nuovo anno accademico, con tutti i problemi che sono cresciuti a dismisura, anche perché il Covid-19 è stato il pettine che ha portato in evidenza – e aumentato la consistenza – dei problemi già preesistenti.

AFAM: SOPPORTARE L’INSOPPORTABILE

Hidemichi Tanaka, autore del bel volume Storia dell’arte giapponese, mi raccontava dell’ultimo grande terremoto in Giappone – che gli aveva strappato amici e parenti – affermando che si era trattato certamente di una tragedia, ma nello stesso tempo era stato un semplice “evento della natura” e come tale andava rispettato e accettato. Ho capito questo sentimento di accoglienza del dolore solo dopo molto tempo. In Svelare il Giappone, Mario Vattani spiega bene questo “sentire giapponese” col termine “Gaman”, che vuol dire “sopportare l’insopportabile”. Questo atteggiamento evita ai giapponesi di frequentare le comode sponde delle doglianze, coltivando l’idea che se qualcosa va male è solo colpa loro: “(…) è segno che non sei stato abbastanza attento, che non ti sei guardato attorno nel modo giusto”. Questa disposizione responsabile mi ha insegnato che, prima di usare un indice accusatorio, è necessario avere attenzione verso la genesi e analisi dei problemi con una disposizione propositiva, mettendo in campo anche le proprie responsabilità. Ed è per questo che elenco un sintetico compendio di problemi e possibili soluzioni da affrontare nel breve termine.

AFAM: COSA FARE NELL’IMMEDIATO?

Uno dei punti essenziali su cui investire è l’ampliamento dell’organico – colpevolmente bloccato da più un quarto di secolo – soprattutto in questo momento di estrema difficoltà nella ripartenza. Su scuole e università si è intervenuto con misure emergenziali, ma non su Afam. Allo stato, oltre il 50% delle discipline vengono impartite da docenti a contratto, che hanno l’onere di sostenere la riforma ma senza nessuna forma di garanzia minima, spesso in regime di co.co.co. e dentro una macchina da caporalato di alto profilo intellettuale. Il paragone è senz’altro provocatorio, ma è necessario riallacciare il mondo dei doveri a quello dei diritti. Servono, insomma, almeno 1000 docenti da aggiungere a quelli che attualmente reggono l’offerta formativa (molti docenti hanno in affidamento 3 o 4 discipline!). È urgente l’emanazione del Decreto Ministeriale per la formazione delle nuove graduatorie nazionali dei docenti (la cosiddetta “205 bis”). La stabilizzazione di questi precari, che hanno investito nell’Afam il loro “budget” culturale e artistico, giova alla prospettiva di crescita delle istituzioni. E bisogna anche procedere velocemente alle nomine dei docenti che sono presenti nelle graduatorie già formate. Sarà poi necessario modificare l’inapplicabile regolamento sul reclutamento, prima maldestramente approvato e poi (per fortuna) sospeso. Il nuovo reclutamento deve avere caratteristiche innovative, adottando criteri semplici come il merito: concetto spesso dichiarato nelle intenzioni e altrettanto spesso eluso.  Al reclutamento è legata l’indifferibile questione dei docenti di seconda fascia nelle Accademie, impigliati nella rete a strascico della L. 508/99. Cosi come è assurda l’assenza – in organico– dei collaboratori per l’accompagnamento strumentale (pianoforte, clavicembalo, tastiere). È urgente modificare la governance, che al momento si fonda su un’ambigua e poco funzionale forma di governo duale: un’erma bifronte che – sovente – schiaccia le istituzioni nella morsa della burocrazia difensiva: ovvero, in un “chi-fa-cosa” perplesso che è un perfetto detonatore di conflitti. A questo è necessario aggiungere anche una riflessione attenta sul rafforzamento della “capacity building” che deve riformare la stessa organizzazione interna delle istituzioni. Sono strategiche le risorse: nel 2019 circa solo 15 milioni di euro per tutto l’Afam contro i 7 miliardi e mezzo per l’Università. È dirimente la possibilità di partecipare ai progetti PRIN (progetti di rilevante interesse nazionale). E’ un atto di giustizia civile l’equiparazione giuridico-economica dei docenti Afam – cristallizzati nel fermo-immagine tombale del “ruolo ad esaurimento” – con i docenti universitari, favorendo l’ingresso nel sistema pubblicistico. Sono vitali finanziamenti congrui per l’edilizia, al fine di garantire la necessaria sicurezza, in particolar modo in questo frangente drammatico in cui gli spazi riducono la loro capacità di contenimento degli studenti del 70% circa. A tal scopo, è cardinale soddisfare le istituzioni rimaste fuori dal finanziamento riguardante l’edilizia, ma comunque presenti in graduatoria, per gli interventi ex DM n.1146 del 2019.

AFAM: RAZIONALIZZARE E VALUTARE

È irrinunciabile la razionalizzazione dell’offerta formativa, con la possibilità di federazione delle istituzioni al fine di funzionalizzarla: senza, ovviamente, danneggiare le istituzioni medio-piccole o le istituzioni del sud. Qualità diffusa ed eccellenza non sono in opposizione, ma sono il tessuto nervoso territoriale e comune che si dirama in modo fisiologicamente differenziato. Non è rinviabile l’istituzione di un fondo per il merito e la valorizzazione della qualità ed efficienza delle istituzioni tramite un percorso valutativo ex-post, senza però calare dall’alto il sistema di valutazione universitario in atto. Anche lo stesso Ministro Manfredi, in un’interessante intervista su Il Foglio del 14 agosto, ha affermato – relativamente alla necessità di scongiurare una “deriva meccanicistica” dei sistemi di valutazione nelle discipline umanistiche – che “(…) la scienza era più preparata ad affrontare un approccio valutativo. L’estensione dei suoi metodi alle discipline umanistiche ha prodotto asimmetrie pesanti. Da correggere”. Riflessione che mette nella giusta prospettiva la necessità della valutazione nelle istituzioni Afam. Questo consentirà alle eccellenze di emergere e alle situazioni in sofferenza di migliorare.

AFAM: TUTTI ARCIRASSEGNATI?

Tra i cinquanta caratteri descritti ne Il testimone auricolare, Elias Canetti inserisce l’arcirassegnato: “l’Arcirassegnato si adatta al destino, l’ineluttabile è il suo piacere. Non ha senso dire no all’ineluttabile, e lui dice sì prima ancora che si presenti”. Questo è quanto bisogna evitare come la peste (o come il Covid-19), anche se spesso prende il sopravvento, schiacciando all’angolo tutte istanze combattive e ribelli. O, più prosaicamente, tutte le richieste di diritto e di buon senso che sfiorano persino l’ovvio.
Le drammatiche esigenze del sistema sono state spesso liquidate – dai politici e dagli amministratori di turno – come attività su cui, nominalmente, si è fatto il possibile: un possibile – però – ridotto, esiguo e finanche pari allo zero assoluto. “A volte fare del proprio meglio non è abbastanza; dobbiamo fare ciò che è necessario”. Ha ragione Churchill, serve qualcuno che prenda in carico l’onore e l’onere di rimboccarsi le maniche per valorizzare l’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica italiana: concretamente e fuori dall’insopportabile mercimonio delle enunciazioni sommarie declinate al futuro. In questo momento abbiamo bisogno di presente “incarnato”, sentendo forte la necessità dei fatti. Non altro. E non in altro tempo.

Antonio Bisaccia

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Antonio Bisaccia

Antonio Bisaccia

Antonio Bisaccia è Presidente del Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale e titolare della cattedra di prima fascia di “Teorie e metodo dei Mass-Media” presso l’Accademia Albertina di Torino. Collaboratore di riviste e quotidiani, tra i suoi libri…

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