In primo luogo riavvolgiamo il nastro di un paio di decenni. Tutti gli appassionati d’arte con età dai 40 in su si ricorderanno senza dubbio l’epopea di questo centro d’arte contemporanea che alla fine degli Anni Novanta, diretto da Sergio Risaliti e poi negli anni Duemila da Marco Pierini e sostenuto dal Comune di Siena che lo concepì ai tempi di Pierluigi Piccini sindaco, fece faville per alcune stagioni grazie a scelte coraggiose e innovative e ad una disponibilità economica da vacche grasse. Con la crisi in arrivo, infatti, nel 2008 il comune finanziatore – che nel frattempo aveva cambiato guida – alzò bandiera bianca e dopo un decennio l’arte contemporanea abbandonò Siena con la stessa velocità con cui era giunta.
IL PALAZZO DELLE PAPESSE E LA BANCA D’ITALIA
Oggi, insperatamente e proprio nel bel mezzo di una crisi decisamente peggiore di quella di 12 anni fa, finalmente si riapre. L’edificio – un raro palazzo rinascimentale nel cuore della città progettato per la famiglia Piccolomini da una star dell’epoca come
Bernardo Rossellino – è da tempo di proprietà della Banca d’Italia: fu sede della filiale senese dell’istituto centrale, poi fu appunto affittato al Comune per farci il museo (ma gli spazi a fine Anni Novanta ospitavano anche un’accademia multimediale assai all’avanguardia per l’epoca) e
infine si tentò la vendita senza riuscire mai nell’intento anche a causa dei numerosi vincoli soprintendenziali sull’
immobile. Nel 2020 la novità che doveva concretizzarsi in primavera ma che a causa del Covid prenderà forma in autunno: si riapre con una mostra.
Le sculture di Dalì vendute dall’organizzazione di Beniamino Levi
BENIAMINO LEVI E SALVADOR DALÌ
Visto che c’è una mostra è lecito domandarsi se i contenuti artistici previsti saranno all’altezza di un contenitore che si era contraddistinto per ospitare progetti di ricerca apprezzati a livello internazionale.
Il nuovo inquilino che ha affittato per un anno lo spazio direttamente da Bankitalia è l’organizzazione che fa capo al mercante d’arte
Beniamino Levi, nota per organizzare mostre sul grande artista spagnolo apprezzate dal pubblico e assai discusse dalla critica. Le mostre si basano sul fatto che da anni Levi sostiene di avere alcuni diritti – firmati direttamente dallo stesso Dalì oltre che da un suo segretario e forse dalla sua compagna Gala – per riprodurre a livello scultoreo le sue opere. Questi oggetti vengono poi realizzati nella
fonderia artistica Perseo posseduta da Levi in Svizzera a Mendrisio e piazzati sul mercato come multipli o nelle varie mostre che servono a fare divulgazione e a promuovere la vendita. Questo meccanismo – la realizzazione in gran quantità di oggetti firmati da un autore morto 40 anni fa – ha fatto ovviamente alzare più di qualche sopracciglio ed è stato protagonista di numerosi articoli e inchieste che trovate nei link nel prosieguo dell’articolo.
Dalì a Siena – una scultura appena prodotta nella Fonderia Perseo di Mendrisio
“LEVI? HA AL MASSIMO 5 OPERE ORIGINALI DI DALÌ”
Sono anni che la
Fondaciò Gala-Dalì con sede a Figueres (l’unico ente ufficiale per la tutela dell’opera del maestro) si sgola nel ripetere che quelle non sono opere autentiche, che Dalì non ci ha mai messo mano e che non sono nulla di più di riproduzioni tridimensionali di opere pittoriche, insomma dei grandi, piccoli o medi souvenir prodotti in fonderia a varie dimensioni e diverse patine da vedere in tutto il mondo. Anche per superare questo malinteso probabilmente la Fondazione ha iniziato a pubblicare il
Catalogo Ragionato della scultura di Dalì, cosa che forse potrà fare maggiormente chiarezza. Nel frattempo
la Fondazione continua a ripetere che Levi non ha più di due o al massimo cinque opere realmente attribuibili a Dalì, le altre sarebbero tridimensionalizzazioni di alcune normali opere bidimensionali. Anche se a dire il vero
anche la Fondazione qualche anno fa ha avuto i suoi problemini.
Ciononostante l’organizzazione di Beniamino Levi, la
The Dalì Universe, ha sempre continuato a sostenere la propria buona fede e ad allestire mostre dovunque, l’unica mostra che è stata all’ultimo sospesa è proprio quella prevista per la Spagna: l’ente ospitante alla fine non se l’è sentita. Arrivando – e anche lì ci furono polemiche – fino all’edizione dello scorso anno di Capitale Europea della Cultura a Matera dove peraltro
la mostra è ancora in corso prorogata fino al 30 novembre 2020.
Dalì a Siena – la produzione delle sculture nella fonderia Perseo di Mendrisio
THE DALÌ UNIVERSE ALLA CONQUISTA DEGLI ENTI LOCALI
Ma Matera non è l’unico ente locale a farsi affascinare dalle sculture di Levi. Anche perché quando si allestiscono questo genere di mostre l’unico investitore è la parte privata mentre il comune di turno non ha costi: concede il patrocinio e può vantarsi di avere in città la mostra di un grande nome noto a tutto il popolo. Un’operazione win-win: gli organizzatori vendono biglietti, vendono multipli e si accreditano come soggetto istituzionale (utilizzando location magniloquenti pagandole in maniera simbolica, come avviene in questo caso), mentre la politica si fa bella raccontando di aver portato un grande artista. Spesso le varie mostre finiscono per sovrapporsi: come faccia la Dalì Universe a organizzare una grossa mostra a Siena avendo ancora in corso una grossa mostra a Matera è misterioso, ma tant’è.
Autentica-tipo di una scultura prodotta da Beniamino Levi
DALÌ O QUASI-DALÌ?
Quasi-Dalì, si badi bene, non è una nostra insinuazione ma un autentico neologismo coniato una decina d’anni fa dal
Guardian, forse il più autorevole quotidiano d’Europa,
che in questo articolo ha spiegato con dovizia di particolari il meccanismo dietro al business di Levi. Un business che da qualche anno si avvale anche di soci finanziari di rilievo visto che stando a questo articolo Levi ha da qualche tempo ceduto una parte della sua impresa
ad un fondo di investimento che punta magari anche grazie alla mostra di Siena di allargare legittimamente il giro d’affari.
Ferruccio Carminati in una recente mostra mercato delle opere di Dalì allestita a Parma