Recovery Fund e cultura della natura. La lettera di Vincenzo Vomero
Già direttore dei Musei Scientifici di Roma e consigliere della Associazione Nazionale Musei Scientifici (ANMS), Vincenzo Vomero rivolge un appello al nuovo Governo italiano affinché includa anche la biodiversità nell’ambito del Recovery Plan.
Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente del Consiglio.
una lettura approfondita dell’ultima versione del Next Generation Italia, il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, mostra che sono stati tralasciati alcuni punti fondamentali e sicuramente propedeutici a ogni azione volta alla realizzazione di un progetto strutturato e virtuoso di politiche ambientali italiane.
BIODIVERSITÀ E RECOVERY PLAN
Chi si è dedicato allo studio della natura, all’analisi dello stato di salute degli ecosistemi e alla comunicazione dell’evoluzione si accorge facilmente come nella corrente versione del Recovery Plan manchi del tutto un preciso riferimento alla biodiversità e a quella serie di conoscenze sul funzionamento degli ecosistemi che, in questo tempo di crisi ambientale, vanno poste sempre a monte di qualsiasi intervento nei campi dell’economia, del lavoro, delle infrastrutture, della salute, della coesione sociale e di quant’altro necessario per una ripresa della nostra società: tutte azioni enormemente impegnative e certamente assolutamente vitali, alle quali si dovrà dedicare il meglio dell’intelligenza italiana.
Il termine “biodiversità” compare nel documento appena due volte, peraltro soltanto episodicamente e mai nei punti chiave, mentre nelle linee guida europee il tema della salvaguardia della componente biologica del pianeta è citato con evidentissima insistenza.
Probabilmente converrà tener presente, anzi enfatizzare, che se non si investe con convinta determinazione, direttamente sulla ricerca scientifica volta alla conoscenza della natura e degli ecosistemi, le risorse ottenute tramite il Recovery Fund serviranno soltanto a prolungare di qualche tempo il nostro sviluppo basato su paradigmi oramai vecchi e non più sostenibili dal Pianeta, anche se di impatto temporaneamente mitigato da alcune encomiabili misure. Se non si costruisce ora anche una solida iniziativa per la conoscenza e il monitoraggio della biodiversità e degli ecosistemi, si continuerà a percorrere strade che conducono irrimediabilmente a pericoli e a danni sempre maggiori. Nel Recovery Plan italiano e in tutte le ipotesi di lavoro degli addetti alla sua definizione pare mancare in modo evidente proprio una responsabile considerazione di quello che è il punto focale di ogni investimento sul nostro futuro: la natura, la biodiversità, il nostro capitale naturale.
“In mancanza di una sufficiente considerazione dell’importanza della natura, intesa come capitale naturale, sarà a rischio la stessa generazione del capitale economico che continuerà a crollare e gli ecosistemi continueranno a collassare sull’altare dell’economia”.
La macroarea del Piano dedicata in particolare all’ambiente, presenta ovviamente ipotesi di interventi e finanziamenti per la riduzione delle emissioni di CO2, per l’efficientamento energetico, per le energie rinnovabili, per i rimboschimenti, per il dissesto idrogeologico e così via: tutte misure assolutamente irrinunciabili e necessarie per una transizione eco-compatibile del nostro sistema produttivo ed economico, che però continuano a essere impostate e gestite soltanto con criteri meccanicistici “a valle” al pari di questioni di stampo squisitamente tecnico-esecutivo. Non appaiono riferimenti precisi all’approfondimento dell’enorme complessità dei meccanismi naturali, sulla biodiversità e sugli ecosistemi. Continuare a finalizzare tutto al capitale economico non servirà a portarci fuori dall’attuale situazione e probabilmente ci porterà dentro una crisi ambientale e di qualità della vita ancora peggiore in poche decine di anni.
La proposta è quindi quella di potenziare proprio in questo nostro Recovery Plan lo studio, la conoscenza e la ricerca sulla biodiversità intesa come capitale naturale, perché la cultura della natura, dal livello alfa della tassonomia fino alla dinamica delle popolazioni e alla metagenomica, è propedeutica a ogni forma di sviluppo a lungo termine e deve essere considerata a monte di ogni piano che porti anche al capitale economico. Appare sempre più necessario, inoltre, portare capillarmente a conoscenza di tutti che la crescita del capitale economico non può continuare ad avvenire con l’erosione del capitale naturale. Oggi in Italia, e in tanta parte del mondo, il fortissimo deficit di cultura naturalistica di base impedisce alle persone, anche a quelle di livello culturale più elevato, di rendersi pienamente conto di come si sia giunti al drammatico livello attuale di crisi ambientale. La cultura dei nostri concittadini resta incompleta e priva, forse, della parte più basilare sul piano dell’esistenza se si sa poco di come si è evoluta la vita, di come si sono originati e come funzionano gli ecosistemi e su quale sia il posto dell’uomo nella natura, che ci ospita e ci nutre. Si stenta così a capire come l’uomo sia diventato la nuova forza selettiva sulla Terra, caratterizzando con le sue azioni una nuova era geologica che, non a caso, è stata chiamata “Antropocene”.
LA MANCANZA DI UN ISTITUTO CENTRALE DI RICERCA
L’auspicio è che il nuovo Governo voglia porre maggior attenzione al principale tra i cosiddetti temi “verdi”, stimolando la ricerca scientifica sullo stato della biodiversità italiana e sul funzionamento dei sistemi naturali, adottando allo stesso tempo una concreta politica di educazione ambientale per informare e far prender coscienza a tutti indistintamente dell’importanza del contesto naturale nello sviluppo socio-economico a lungo termine del Paese. In mancanza di una sufficiente considerazione dell’importanza della natura, intesa come capitale naturale, sarà a rischio la stessa generazione del capitale economico che continuerà a crollare e gli ecosistemi continueranno a collassare sull’altare dell’economia. Persone informate probabilmente potranno modificare più facilmente il loro stile di vita, non solo perché lo impone una legge o un regolamento sanzionatorio, ma in seguito alla formazione di una propria opinione autonoma che porterà poi ciascuno a scegliere con convinzione e coerenza ciò che è meglio per le generazioni presenti e future.
Il problema è complesso e di difficile soluzione perché l’Italia non dispone di un istituto centrale dedicato alla ricerca sulla biodiversità, non ha mai incoraggiato la formazione di nuove generazioni di specialisti di Sistematica e di Tassonomia e non ha, unica tra le grandi nazioni europee, un museo nazionale di storia naturale. Giova però ricordare che sul territorio nazionale operano centinaia di strutture museali scientifiche che hanno istituzionalmente lo scopo di raccogliere e conservare materiali naturalistici, di condurre ricerca scientifica sulla biodiversità e di comunicare leggi e fatti della natura e i grandi temi della scienza, aprendosi alla società con modalità e linguaggi diversificati per ogni tipo di utenza. La rete nazionale dei musei scientifici sarà certamente pronta a incrementare la propria attività operando in sinergia con i molti settori della ricerca, delle università, delle accademie, delle società scientifiche e del volontariato. E proprio questa attività di capillare comunicazione si dimostrerà cruciale per il futuro della nostra società.
Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
– Vincenzo Vomero
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati