Sanremo, giovani e cultura. Quando il mercato sopperisce al fallimento dello Stato
L’edizione appena conclusa del Festival di Sanremo ha dimostrato che, con una specifica offerta, è possibile raggiungere pubblici impensabili. Perché lo Stato, nell’ambito della cultura, non si comporta allo stesso modo?
Terminata la rassegna stampa d’obbligo, è ora possibile approfondire alcuni aspetti del Festival di Sanremo. Al di là degli share, al di là delle poltroncine vuote, c’è un aspetto di questo Sanremo che forse merita un maggior approfondimento, vale a dire la progressiva modifica del target. Questo risultato, che è stato premiato sia sul lato degli ascolti che sul lato della raccolta pubblicitaria, dimostra che, in Italia, è possibile costruire un palinsesto artistico e culturale che avvicini un target spesso trascurato negli ultimi anni.
Si tratta, a dire il vero, di una piccola “rivoluzione” perché sovverte in qualche modo la logica che sta dietro a una programmazione: se a oggi, infatti, la maggior parte dei programmi è rivolta al pubblico di “chi sta davanti alla televisione” per fare in modo che gli ascolti siano alti (e conseguentemente alte siano le raccolte pubblicitarie), qui la sfida è “avvicinare” persone al programma televisivo, per rispondere alle esigenze anche in termini di target degli inserzionisti.
La portata di questo cambiamento è tutt’altro che banale, soprattutto se prendiamo il dato “televisivo” e lo adattiamo anche agli altri consumi culturali “tradizionali”. Tale cambiamento, infatti, apre “scenari” verso una fetta di mercato che viene spesso trascurata in alcune tipologie di spettacoli, e che invece potrebbe rappresentare una forte estensione dei consumi culturali. Quanto dimostrato da questo Sanremo non è altro che l’ennesima riprova del fatto che, agendo in modo adeguato sull’offerta, si possano raggiungere pubblici generalmente considerati distanti e che, in fondo, per stimolare la domanda, è alle volte sufficiente fornire un prodotto culturale in linea con le esigenze specifiche. Sarebbe dunque auspicabile vedere questa stessa attenzione anche in settori come il teatro, come la musica classica, come l’arte contemporanea o come le letture di libri, anche se, ovviamente, non è certo un percorso semplice, né immediato.
I NUOVI TARGET DI SANREMO
In primo luogo, infatti, i dati di questo Sanremo in termini di estensione delle categorie di target sono anche il risultato di un percorso già avviato alcuni anni fa. In secondo luogo, molto probabilmente, questa tendenziale estensione dell’offerta culturale è stata anche dettata dalle esigenze degli sponsor, che nel settore televisivo hanno in ogni caso un ruolo importante.
Questo elemento è fondamentale, perché la linea di direzione del nostro sistema culturale, ivi incluso quello televisivo, presenta una demografia che non sempre consente di poter cogliere, in anticipo, cosa potrebbe avvicinare i cosiddetti “giovani”, che con il crescere dell’età media in Italia ora sono i cittadini dai 40 anni in giù.
La presenza dunque di un soggetto “esterno”, che per propria “opportunità imprenditoriale” finisca con il riuscire a rappresentare le istanze di questo target anche meglio di quanto facciano figure istituzionali create con questo specifico obiettivo, è dunque un elemento che non bisogna trascurare. Si tratta di un vincolo sistemico: non è possibile immaginare uno spettacolo teatrale in cui, nel bel mezzo dello spettacolo, gli attori si fermano e fanno “le pubblicità”. E quindi non è possibile che ci siano “soggetti esterni” a determinare eventuali pressioni affinché questo accada. Un ultimo aspetto riguarda poi la capacità di saper “gestire” due pubblici ormai così diversi: la scena in cui Fiorello, con aspetto parodistico, è stato portato fuori dal palco perché era ormai un “quadro” di Achille Lauro rispetta a pieno questa capacità. Fuori luogo per chi ha apprezzato Achille Lauro, è stata la risata liberatoria per chi, assistendo alla sua performance, si è trovato di fronte a un prodotto culturale a lui distante. Un po’ come fanno gli spettacoli comici tradizionali nei cartelloni dei teatri privati con proposte più “innovative”: trovare il modo di far sentire a proprio agio gli “abbonati”.
“Al di là degli share, al di là delle poltroncine vuote, c’è un aspetto di questo Sanremo che forse merita un maggior approfondimento, vale a dire la progressiva modifica del target”.
Infine una riflessione positiva: per quanto distorta possa essere una percezione in cui si è “giovani” fino a 40 anni, questa generalizzazione ha comunque dei lati quantomeno funzionali: estendendo così tanto tale fascia di pubblico, infatti, si inizia a far rientrare nella categoria anche soggetti con capacità di spesa propria. E siccome la distanza che si pretende esserci tra un “non giovane” di 45 anni e un “giovane di 40” è ben più marcata rispetto a quella che invece si presume differenzi i gusti tra “giovani di 40 anni” e “giovani di 18”, allora è probabile che, con il tempo, questo progressivo adattamento alle esigenze della domanda culturale possa in ogni caso essere sospinto dalle nuove esigenze dei “consumatori”.
E sperare, così, che il “mercato” riesca dove “il sistema culturale ha sinora fallito”, scoprendo così che il settore nel quale si presumeva ci fossero le più importanti “debolezze di mercato” ha rivelato anche la presenza di importanti “State failure”.
‒ Stefano Monti
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