L’idea di Carlo Calenda sui musei romani: Carandini, Sgarbi, Bonami tutt’altro che contrari
Accorpare le collezioni pubbliche dell’archeologia romana al Campidoglio e dar vita a un unico grande museo su Roma antica: la proposta del candidato sindaco apre uno spartiacque nel mondo della cultura. A prendere posizione sono stati anche l’archeologo e accademico Andrea Carandini, il critico Vittorio Sgarbi e il curatore Francesco Bonami.
Un progetto da perseguire alla lettera, oppure una provocazione politica in piena campagna elettorale e in vista delle comunali di ottobre? In qualunque caso, quel che è certo è che il candidato sindaco Carlo Calenda ha sganciato una bella bombetta sul mondo della cultura, con la proposta inserita nel suo programma di accentrare le collezioni di archeologia romana della città – attualmente sparpagliate nelle sedi di Palazzo Massimo (Stato), Palazzo Altemps (Stato), Crypta Balbi (Stato), Museo di Roma – Palazzo Braschi (Comune), Museo della Civiltà Romana (Comune), Collezione della Centrale Montemartini (Comune) e Musei Capitolini (Comune) – negli spazi del Campidoglio, spostando di conseguenza gli uffici del Comune e dando vita a un nuovo Museo Unico per la Roma Antica. Un’iniziativa audace e a tratti utopistica che vede alla base l’intenzionalità di rimuovere la frammentazione del patrimonio pubblico (di complicata fruizione), offrendo un percorso comprensibile e godibile attraverso la storia di Roma. Non ha tardato ad arrivare la risposta di critici, accademici e studiosi, tra chi plaude a questa rivoluzionaria visione e chi resta ancorato alla divisione del patrimonio capitolino per svariate ragioni storiche e museologiche.
ANDREA CARANDINI SULLA PROPOSTA DEL MUSEO UNICO DI ROMA
Anche l’accademico e archeologo Andrea Carandini – autore di numerosi scavi e ricerche nella Capitale – si è inserito nel dibattito, confermando la mancanza di “un’istituzione sulla storia e la vita dell’Urbe” e invocando la necessità di apparati multimediali da inserire nel percorso di visita. “Non è più questione di accumulare e ricombinare oggetti belli tratti da altri musei, quanto di usare a pieno l’informatica e la multimedialità, sole capaci di risuscitare paesaggi urbani e rurali del passato, con pochi inserimenti di oggetti significativi, tratti soprattutto dai depositi (come i frammenti della forma urbis severiana!)”, scrive sulle pagine del Corriere della Sera, contestando tuttavia il trasferimento delle collezioni al Campidoglio. “Bene ha fatto il candidato sindaco Carlo Calenda a riprendere questa idea, immaginandola ora nel palazzo del Comune, se non fosse che l’ha inserita in un progetto antistorico, che dissolverebbe i Musei Capitolini e dei Conservatori proprio mentre si propone di salvare la storia perduta della città. Con materiali collezionistici, utili per la storia dell’arte antica, non si perviene a un museo della vita sacrale, politica e privata dell’urbe”. Caldeggia, invece, la proposta di Roberto Gualtieri, candidato del Partito Democratico, che “vuole risuscitare il museo della città accanto al Circo Massimo (ex pastificio Pantanella), unendolo a quello della Civiltà romana e dotandolo di un centro per aggiornare le conoscenze su Roma non per punti ma per insiemi: le scoperte sono continue ma vanno ricomposte, possibilmente ricollegando Roma al suburbio e al Lazio: affascinanti e tralasciatissimi”. E prosegue, “perfettamente vi s’inserisce il centro di un ‘policlinico’ del paesaggio e del patrimonio culturale, immaginato da Gualtieri: una struttura integrata di soprintendenze, parchi, musei, università e terzo settore per missione competente”.
IL MUSEO UNICO DI ROMA: VITTORIO SGARBI SOSTIENE CALENDA
Non ha mancato di prendere posizione lo storico e critico d’arte Vittorio Sgarbi, anche lui in corsa alle elezioni comunali di Roma con la lista “Rinascimento” per Michetti sindaco. “Parigi è il Louvre. E Roma è l’insieme dei suoi musei e delle sue aree archeologiche, che convivono”, ha scritto in un articolo pubblicato sul Giornale, argomentando il suo favore nei confronti della proposta di Calenda. “Roma deve essere un museo continuo, senza divisioni tra comunali, statali e privati, visitabile con un solo biglietto, dai Musei Capitolini a villa Albani, dalla Basilica di San Pietro a Santa Maria del Popolo (che è del Fec, Fondo edifici di culto, cioè ministero dell’Interno, e nondimeno è una chiesa officiata), a Santa Maria dell’Anima, che è dei tedeschi, a San Luigi dei Francesi, che è dei Francesi. Più del Louvre è questo Museo senza confini spirituali, appartenente a tutti, beni del popolo cristiano, non dello Stato, del Comune, della Chiesa, dei privati. Comunità della conoscenza”. E ha aggiunto, “la proposta di Calenda va interpretata, ed è sostanzialmente giusta. Ne va condiviso lo spirito. Un solo biglietto deve offrire le chiavi di Roma, deve dar diritto, in una settimana, ad aprire ogni porta. Si deve vendere on line, come e con i soggiorni negli alberghi. Roma è un museo, miracolosamente articolato, non un accumulo di conquiste come il Louvre. E Palazzo Farnese, che è dello Stato italiano, non deve essere (solo) la residenza dell’ambasciatore francese, che ne dispone a suo piacimento, ma un museo aperto a tutti”. Ma boccia duramente la posizione di Roberto Gualtieri, con un attacco pubblicato sulle pagine di Artribune.
ANCHE FRANCESCO BONAMI A FAVORE DEL MUSEO UNICO DI ROMA
A condividere l’idea del Museo Unico di Roma è anche il curatore internazionale Francesco Bonami, che plaude alla proposta esponendosi in un testo pubblicato sul Foglio: “l’idea di Calenda sui musei non è una provocazione: è una valida proposta. Non è ben chiaro perché in Italia le sterili provocazioni di tutti i tipi e le misure vengano considerate ‘proposte’ mentre le rare proposte logiche e razionali vengano additate come provocazioni, in particolare quando tali proposte sono legate a un disegno politico ed elettorale”, spiega. “Una proposta razionale dipinta come una provocazione è quella esposta dal candidato sindaco di Roma Carlo Calenda. Mettere sotto un solo capello, al Campidoglio, un gruppo di collezioni della città adesso dislocate in varie sedi. La razionalità da noi va sempre mano nella mano con l’utopia. Quindi auguriamo subito a Carlo Calenda “good luck!”. Insomma, quello che emerge a caldo da questo scontro tra massimi sistemi – personalità, tuttavia, profondamente differenti tra loro per formazione, percorso e mondi di appartenenza – è che la questione del patrimonio culturale di Roma è un nervo scoperto. Una ricchezza senza pari che si vorrebbe valorizzare nel migliore dei modi. Ma, l’interrogativo più problematico (al quale è difficile trovare una risposta univoca) è, qual è la strada migliore da perseguire? O ancora, come mettere in comunicazione il mondo contemporaneo con un patrimonio che porta su di sé una storia di migliaia di anni?
LA CULTURA D’IMPRESA SECONDO DEMETRIO PAPARONI
Sullo scisma tra patrimonio antico e fruizione contemporanea si è espresso anche il critico Demetrio Paparoni su un articolo pubblicato sulla testata Domani: “Penso che la proposta di destinare alla fruizione museale gli spazi attualmente occupati dagli uffici amministrativi è meritoria, perché metterebbe a disposizione dei cittadini dei luoghi che il potere politico locale, notoriamente inefficiente, e non certo da ieri, ha riservato a sé. Più di un problema emerge invece dalla proposta di raccogliere nell’area del Campidoglio le grandi collezioni presenti nella città. Questo comporterebbe, per esempio, il trasferimento della sezione della Pinacoteca Capitolina presso Palazzo Barberini, innescando una serie di conflitti tra amministrazione comunale e statale“. Ne mette, tuttavia, in risalto anche le debolezze o perlomeno gli aspetti meno fattibili su un piano pratico: “È innegabile che l’idea di un museo unitario della Storia di Roma comprometterebbe la specificità delle singole realtà museali romane che, laddove per esempio provengano da singole collezioni una
volta private, portano con sé una narrazione che non è giusto disconoscere. Nel caso in cui un museo raccolga la collezione di una famiglia, sarebbe corretto smantellarla a vantaggio di una sola struttura che consacri la città eterna? O ancora: si può pensare che determinate opere, di Bernini o di Caravaggio, per esempio, commissionate dalle grandi famiglie aristocratiche e concepite per essere inserite in precisi luoghi, vengano spostate e ricollocate in altri spazi? E come la si mette con la legge che non consente lo smembramento delle collezioni? Qui si coglie il limite del progetto di Calenda, che ha però il merito di andare ben oltre il programma del candidato della destra, Enrico Michetti, legato ai valori della Roma eterna, valori cari a una tradizione politica che si alimenta di
nostalgie“. E, prosegue, “l’approccio specialistico alle testimonianze del passato si pone come una barriera che rischia di compromettere la funzione formativa, che viene meno nel momento in cui l’arte risulta incomprensibile ai più. Mettere in discussione l’approccio specialistico non implica la banalizzazione: creare un nuovo registro linguistico in grado di togliere più di una ragnatela dai musei e delle soprintendenze sarebbe auspicabile“.
-Giulia Ronchi
*Articolo aggiornato il 25/08/2021
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