McDonald’s alle Terme di Caracalla, l’emblema di ciò che non funziona in Italia
Dopo una sequela di sentenze e una complessa battaglia legale, McDonald’s non potrà aprire un suo punto vendita alle Terme di Caracalla. Eppure, pare incredibile, le Terme di Caracalla non erano sottoposte ad alcun vincolo di tutela. Ecco tutta la storia
La vicenda che vede oggi protagonisti McDonald’s e le Terme di Caracalla (ne parlammo già tempo fa) è insieme semplicissima e complessa. La versione complessa è fitta di atti, note protocollari, sentenze, riferimenti ai vari piani di tutela del paesaggio, ai piani UNESCO, a proposte dapprima autorizzate e successivamente respinte, avocazioni di potere da parte del Direttore Generale, ecc. ecc. È una versione che può appassionare molto, soprattutto amministrativisti e architetti, ma che racconta soltanto una parte della storia e, anzi, rischia di far perdere il tema centrale dell’intera questione.
Tema centrale che la versione semplicissima riesce a porre in modo estremamente chiaro. E il punto è questo: una catena di ristoranti ha perso una battaglia legale aizzata da giornali e associazioni dopo aver ottenuto delle autorizzazioni per realizzare un proprio punto vendita nel rispetto della legge. È un punto su cui si pone forse troppo poca attenzione: McDonald’s sì, McDonald’s no, il problema è che, per l’area in esame, quando McDonald’s ha richiesto delle autorizzazioni, non ci fosse un vincolo chiaro.
Ora, per essere più cristallini, è forse necessario approfondire meglio la questione, cedendo, soltanto un istante, alla versione complessa della storia: nella sentenza pubblicata nel maggio 2020 (a sfavore di McDonald’s, tra l’altro) il TAR della Regione Lazio, citando in virgolettato la nota della Soprintendenza del luglio 2019 riporta che tale area “non risulta interessata da alcun dispositivo di tutela”. È la stessa sentenza citata che, più avanti, utilizza l’espressione “vuoto di tutela”, anzi un “pericoloso vuoto di tutela” generato, dal “rinvio al Piano di Gestione” operato dal PTPR in violazione….
LA VICENDA: MCDONALD’S E CARACALLA
Prima di degenerare in feticismi burocratici, è forse il caso di ritornare alla versione semplicissima: in pratica, in un Paese in cui ci sono più regole che individui, in cui è così tanto difficile ristrutturare una casa anche nella periferia di un piccolo comune dell’entroterra, orbene, in un Paese così, l’area circostante Caracalla non risultava interessata da alcun dispositivo di tutela. Questa osservazione, da sola, dovrebbe indignare tutti. Purtroppo, però, la vicenda continua, perché, dopo aver incassato i pareri positivi di Regione e Soprintendenza, McDonald’s ha iniziato con gli atti propedeutici alla realizzazione dell’intervento, ma a intervenire sono stati comitati e stampa, che hanno reso pubblica la notizia. La conseguenza? L’allora Sindaco di Roma, Virginia Raggi, differenti organi di stampa e altrettanti partiti politici hanno rilasciato le solite dichiarazioni roboanti contro la realizzazione di tale progetto. E qui, forse, ci sarebbe da fare un’altra piccola osservazione: l’allora Sindaco di Roma ha prontamente espresso parere contrario quando ha appreso la notizia dagli organi di stampa. Insomma: i primi atti legati alla vicenda sono datati 2015, e nel 2019, si apprende dai comunicati, l’Amministrazione si dichiara ignara dei fatti.
Per risolvere la questione è intervenuto il Ministero e, più nel dettaglio, il Direttore Generale della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, che ha avocato a sé il procedimento di autorizzazione, disponendo l’annullamento d’ufficio del parere reso dalla Soprintendenza (che fa parte del Ministero!). Qui si rischia di entrare nuovamente nella versione complessa, ma, in pratica, quello che è successo è che se dal 2015 al 2019 tutto tace, dall’8 maggio 2019, data in cui è stato dichiarato il formale avvio dei lavori legati al progetto, al 31 luglio 2019, l’intero apparato burocratico-legale del nostro Paese ha potuto bloccare e annullare dei permessi rilasciati in precedenza. Solo per un articolo di giornale. La vicenda poi prende pieghe soprattutto giuridiche fino ad arrivare alla notizia di qualche giorno fa con la quale il Consiglio di Stato ha chiuso la partita a sfavore, come ben noto, della catena di fast food. Ma la versione semplicissima non può limitarsi all’analisi di una procedura. La versione semplicissima deve tener conto del buon senso, e guardare almeno altri due o tre aspetti degni di nota.
TUTELA, VALORIZZAZIONE E IMPRENDITORIA PRIVATA
Il primo aspetto riguarda l’area specifica: è stato bloccato un progetto (piaccia o meno, non è oggetto di interesse) in un’area che a oggi di certo non si può dire valorizzata al massimo. Per quanto questa vicenda possa essere considerata una vittoria da molti, lo sarà soltanto se nasceranno alternative altrettanto valide e altrettanto attrattive. È credibile che ciò avvenga? Perché i no hanno senso solo e soltanto quando c’è un’alternativa. Altrimenti si chiamano stallo: l’area in questione è in squallido abbandono da anni.
Il secondo aspetto riguarda una riflessione più generica, riferita al rapporto tra la nostra Pubblica Amministrazione e l’imprenditoria. Qui la questione è ancora più chiara. Se non ci fosse stato quel famoso vuoto di tutela, non ci sarebbero stati problemi. Non ci sarebbero stati investimenti. Non ci sarebbero stati avvocati. E ora, per un fallimento dello Stato, a farne le spese deve essere un soggetto privato. Precisiamo meglio. Quel vuoto di tutela c’era. Questo ha consentito a un imprenditore di avere un’idea, e di avviare (nel rispetto della legge) tale idea. Soltanto quando la stampa ha segnalato l’avvio dei lavori, c’è stato il blocco degli stessi. Ipotizziamo per un istante che non sia McDonald’s a presentare il progetto, ma uno di quei tanti auto-imprenditori di talento che il nostro Paese incita a manifestarsi. Ebbene, questo auto-imprenditore, dopo aver coinvolto e convinto investitori, dopo aver pagato grafici, architetti, consulenti per studi di fattibilità, dopo aver pagato geometri, avvocati, ecc. ora dovrebbe rimborsare tutti, di tasca propria o con i risparmi dei genitori, perché nel frattempo erano partiti i contratti. Significa far fallire una PMI, o meglio significa proprio farle passare a monte la voglia di fare, proporre, provare, rischiare.
“Il dubbio è che, se ci fosse stato un altro imprenditore al posto di McDonald’s, tutto ciò non sarebbe successo”.
Il terzo aspetto riguarda la credibilità internazionale: quando McDonald’s ha avviato il progetto, di certo non dava per scontato che tale progetto arrivasse a compimento. C’erano le condizioni, è vero, ma, si sa, quando si tratta del nostro Paese, non si sa mai quello che può succedere. Il punto è proprio questo: non si sa mai quello che può succedere. Questo passaggio non giova per niente al nostro Paese. Non giova alla credibilità internazionale, non giova nella ricerca di investitori esteri disposti a credere nei nostri progetti.
Questo passaggio ci riporta allo stato delle barzellette, perché è impossibile pensare che un imprenditore a New York, a Londra o in qualsiasi altra parte del mondo debba aspettare circa 6 anni prima di comprendere se può aprire o meno l’attività. E, prima che qualcuno storca il naso, si ribadisce che, al momento dei fatti, l’area non era interessata da alcun dispositivo di tutela. Certo, era in un posto meraviglioso. Ma significa forse che tutti i posti meravigliosi debbano essere interdetti all’imprenditoria privata, anche quando si tratta di suolo privato? Pensateci bene, prima di rispondere.
E SE NON SI FOSSE TRATTATO DI MCDONALD’S?
L’ultimo punto è poi un elemento che, per quanto ci si voglia attenere ai fatti, non può non essere considerato: il dubbio che, se ci fosse stato un altro imprenditore al posto di McDonald’s, tutto ciò non sarebbe successo. E questo è un dubbio devastante per la democrazia: il sospetto che, in nome della tutela, in un’area non tutelata, si possa intervenire su un progetto imprenditoriale, condotto da privati su suolo privato e nel pieno rispetto di tutti i regolamenti, ebbene, il sospetto che si possa agire soltanto perché si tratta di un brand piuttosto che un altro, è un sospetto atroce.
Certo, la versione complessa dimostra che si è agito nel pieno rispetto di tutte le norme, e che nessuna di tali azioni ha agito infrangendo le regole della concorrenza. Ma la versione semplicissima, quella che tiene conto che tutto il clamore sia nato dall’idea che McDonald’s (e non un anonimo progetto privato, magari di qualità gastronomica anche peggiore) aprisse a Caracalla, beh, non può tacere questo dubbio. Che hanno in molti.
‒ Stefano Monti
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