Il Teatro Eliseo di Roma in vendita: un’opportunità per un nuovo modello di business?
Sta facendo discutere l’annuncio della messa in vendita a 24 milioni di euro del Teatro Eliseo a Roma. E se un’azione congiunta fra pubblico e privato trasformasse questa circostanza in un’opportunità per rilanciare il settore?
L’annuncio della messa in vendita del Teatro Eliseo di Roma è divenuto virale in pochissimo tempo, rimbalzando online e scatenando non poche reazioni sui social. Reazioni che manifestano soprattutto il disappunto, come capita ogni volta che un bene culturale viene messo sul mercato, e che, come da copione ormai rodato, invocano la sacralità della cultura, chiosando accuse al modello che vuol trasformare la cultura in merce di scambio.
Ciò che della notizia merita una riflessione, tuttavia, non è l’entità dei finanziamenti ricevuti dall’Eliseo in questi anni, quanto piuttosto la conferma che con la vendita dell’Eliseo si formalizza l’esigenza di identificare nuovi modelli di business per la gestione dei teatri.
Anziché attaccare la precedente gestione, i commentatori indignati dovrebbero cogliere in questa notizia una grande opportunità per i teatri della Capitale, che diventano, fatte le dovute eccezioni, via via più poveri di idee, di spettacoli e di spettatori.
“Dietro a un’operazione di questo tipo c’è anche la costruzione di un nuovo modo di intendere il rapporto tra privati e istituzioni, e senza una chiara volontà da parte di queste ultime ogni tipo di iniziativa sarebbe compromessa in partenza”.
Il prezzo del Teatro Eliseo è tale da evocare lo stupore generale, 24 milioni di euro, considerati una cifra astronomica per qualunque privato che intenda investire nel settore teatrale. Tale stupore però nasconde l’appartenenza alla stessa interpretazione della cultura che ha condotto l’Eliseo a essere in vendita oggi. È chiaro che recuperare un investimento da 24 milioni di euro, più i costi, tutt’altro che irrisori, della gestione, soltanto attraverso la vendita di biglietti teatrali sia inapplicabile agli attuali schemi dell’imprenditoria.
Ed è su questo punto che bisogna riflettere, perché quello della produzione e la vendita di spettacoli è solo uno dei potenziali centri di ricavo di un teatro come l’Eliseo.
Certo, secondo l’attuale catena di produzione del valore teatrale, 24 milioni sono una cifra significativa, ma tale cifra diviene meno esorbitante se l’acquisto del teatro si incardina all’interno di una più ampia strategia di valorizzazione, che, attraverso la creazione di servizi differenziati, punti a un incremento dei flussi di persone, a una diversificazione dell’offerta, in grado di intercettare differenti categorie di bisogni, riportando il teatro al centro della vita quotidiana dei cittadini. Un modello di business nuovo è possibile, che trasformi il Teatro Eliseo in simbolo di un nuovo modo di intendere il teatro, oggi, in Italia, e che, attraverso la creazione di valore culturale, consenta altresì l’incremento del valore del Teatro nel suo complesso, andando a generare un beneficio duplice in termini di bilancio.
TEATRO, CULTURA E IMPRENDITORIA
Non è certo un’operazione semplice, è vero: sono molti gli elementi che bisogna tenere in considerazione, ed è necessario avere idee e coraggio imprenditoriale.
Per quanto dispiaccia, tuttavia, è doveroso affermare che le vicende che oggi riguardano l’Eliseo sono tutt’altro che inattese: è ormai da anni che i teatri, soprattutto i privati, mostrano segnali di indebolimento strutturale. Così come è ormai da anni che mancano del tutto iniziative capaci di guardare con uno spirito manageriale inedito la produzione e la rappresentazione degli spettacoli teatrali.
Dal punto di vista imprenditoriale, quindi, quella dell’Eliseo è l’opportunità di creare, prima di tutti e con condizioni di vantaggio, un nuovo modo di interpretare il settore, come Feltrinelli ha fatto anni fa con le librerie, trasformando luoghi polverosi in proposte commerciali iconiche.
Ma un’operazione di questo tipo non richiede esclusivamente capitali privati: richiede una forte comunanza di intenti tra settore pubblico e settore privato, e sviluppi che sappiano conciliare le attività di business con attività rivolte ad accrescere il bene comune.
Perché dietro a un’operazione di questo tipo c’è anche la costruzione di un nuovo modo di intendere il rapporto tra privati e istituzioni, e senza una chiara volontà da parte di queste ultime ogni tipo di iniziativa sarebbe compromessa in partenza.
Come ogni prima mossa, ovviamente, richiede coraggio assieme privato e istituzionale. Ma di certo molto meno coraggio di quanto si possa pensare…
‒ Stefano Monti
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