Come mai nessuno parla del futuro Ministro della Cultura?
Sono giornate di totoministri. Tutti ipotizzano tutto. Alcuni nomi sono dati per certi. Gli accordi sembrano sul punto di quadrare mentre mancano poche ore alla convocazione di Meloni al Quirinale. Su chi andrà al Ministero della Cultura, però, nessuna indiscrezione
Ci risiamo. Torna quell’amara sensazione di contar poco, di non essere rilevanti, di bordeggiare tra la Serie B e la Serie C. Per carità, il Ministero dei Beni Culturali (oggi, più opportunamente, Ministero della Cultura) non ha mai rappresentato una poltrona di primissima fascia nella spartizione del potere dei vari – troppi – consigli dei ministri italiani. Okkay, non di prima fascia, ma per lo meno di seconda sì. E invece nel dibattito del totoministri di questi giorni che precede la formazione del governo più a destra dagli Anni Quaranta del ‘900 a questa parte, il Ministero della Cultura sembra non interessare nessuno.
IL MINISTERO DELLA CULTURA CONTERÀ DI MENO?
Lungi da noi basare riflessioni e considerazioni sul discutibile esercizio giornalistico del totoministri, beninteso. Ma la totale assenza del Collegio Romano dalle speculazioni e dalle anticipazioni dei queste giornate di vigilia rischia di essere un campanello d’allarme da non trascurare, rischia di essere indice di qualcosa. Di che cosa? Dopo anni di particolare enfasi, con un ministro ultra-politico e potente come Dario Franceschini e dunque con una visibilità significativa del Ministro e delle sue scelte, la sensazione è che si torni indietro. Ai tempi di Ornaghi. Ve lo ricordate il ministro Ornaghi? Si torni insomma a considerare quella poltrona come una poltrona di rincalzo, poco interessante dal punto di vista politico, economico e perfino sotto il profilo della capacità di conferire un’identità ad un’amministrazione (che invece di identità avrà un gran bisogno). Una poltrona magari usata per compensare al microgrammo il Manuale Cencelli della spartizione delle cariche; o magari strumentalizzata per rendere meno impresentabile il mix di genere nell’esecutivo (“oh sono quasi tutti uomini qua, ci serve una donna in più, dai mettiamola alla Cultura!”).
NEL TOTOMINISTRI NON SI PARLA DI CULTURA
E allora i giornali urlano che Giancarlo Giorgetti si potrebbe trasferire al Tesoro sostituito da Guido Crosetto allo Sviluppo Economico. Carlo Nordio andrebbe alla Giustizia, Adolfo Urso alla difesa, Antonio Tajani agli Esteri, Matteo Piantedosi all’Interno, Marina Calderone al Lavoro, Matteo Salvini alle infrastrutture, Anna Maria Bernini all’Istruzione e Francesco Rocca alla Salute. Sulla stampa non mancano indiscrezioni anche su dicasteri minori e privi di portafoglio, come quello delle Riforme dove si sposterebbe l’attuale presidente del Senato Casellati, o come quello degli Affari Regionali, dove sarebbe pronto Roberto Calderoli. Tutti si affrettano a rassicurare che “l’accordo è praticamente chiuso”, anche se tutti sanno che ogni cosa potrebbe cambiare. Sta di fattto però che nessun cronista ipotizza alcunché riguardo a caselle cruciali per un paese che si chiama Italia come quelle della Cultura e del Turismo. La speranza è l’ultima a morire e auguriamoci di sbagliare, ma il sentore di disimpegno è forte. Forse il costituendo governo ha già deciso che vista la recessione che aspetta il paese (dopo i ritmi di crescita economica da record del Governo Draghi), si debba necessariamente tagliare sulla cultura? Forse Meloni ha già un accordo con Vittorio Sgarbi (il quale, come d’abitudine, si auto candida)? Forse quella casella è considerata da tutti – stampa inclusa – perfino più irrilevante del Ministero degli Affari Regionali? Forse sarà l’ultima poltrona ad andare a dama? L’auspicio e l’appello per una scelta di elevata caratura lo facciamo nuovamente, prima che sia troppo tardi e che un intero – strategico – settore economico e produttivo ne esca insoddisfatto o perfino umiliato.
Massimiliano Tonelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati