Il nuovo ministro della Cultura è un tecnico: pro e contro

Il ruolo giornalistico è preponderante nella carriera di Gennaro Sangiuliano, che è di fatto un ministro della cultura tecnico. Può derivare qualcosa di buono dal suo non essere un politico?

Come è emerso già dalle prime ore successive alla sua nomina, la decisione di affidare la gestione del Ministero della Cultura a Gennaro Sangiuliano ha trovato e, presumibilmente, troverà, alcune resistenze di ordine ideologico all’interno del mondo della cultura italiano.
Su questo punto, però, è più che mai necessario avviare una riflessione che, al di là delle ideologie, consenta al ministro di concentrarsi su un settore che merita molta più attenzione di quanto a prima vista possa apparire, se comparato agli altri dicasteri.
È quindi interessante cercare di approfondire alcune caratteristiche fattuali. Prima tra tutte, la scelta di nominare, come ministro della Cultura, un tecnico.
Dal 2000 a oggi, si sono susseguiti nel tempo, come ministri della Cultura (al di là del nome assegnato al dicastero), Melandri, Urbani, Buttiglione, Rutelli, Bondi, Galan, Ornaghi, Bray, Bonisoli, Franceschini e ora Sangiuliano. Di questi, quasi tutti avevano alle spalle un trascorso attivo di natura politica, mentre i tecnici nella maggior parte dei casi sono stati rappresentanti di un mondo accademico (Ornaghi, Bonisoli) e Bray è espressione dal mondo dell’editoria.
Questo ci porta a un altro punto di interesse: Sangiuliano è un ministro tecnico, con una preparazione e una carriera giornalistica, ma che è anche espressione delle dinamiche e delle dimensioni politiche della cultura, avendo ricoperto ruoli di responsabilità (vicedirettore Rai1 – Direttore Rai2) all’interno della RAI. Si tratta di una considerazione rilevante, che, come qualunque scelta, è portatrice di pro e di contro, e, in questo caso, di opportunità e minacce.

Gennaro Sangiuliano, via wikipedia

Gennaro Sangiuliano, via wikipedia

PRO E CONTRO DI UN MINISTRO DELLA CULTURA TECNICO

Scopriamo prima l’ovvio e vale a dire le minacce. Il binomio politica-informazione è sempre stato al centro di un acceso dibattito politico-culturale nel nostro Paese. Ma la relazione tra politica e informazione è un tema che prescinde da chi sia il ministro della Cultura. Una delle possibili minacce che invece meriterebbe più attenzione è che la nomina di un esponente del mondo dell’informazione possa essere indizio di un’interpretazione che vede la cultura come strumento di consenso, più che come strumento di sviluppo economico, sociale e territoriale.
Tolti questi elementi, ci sono poi le opportunità: in primo luogo, l’evidenza che ci sia un semi-tecnico può avere dei grandi vantaggi sull’assetto istituzionale della cultura. È vero che, a un certo livello, ogni settore economico del nostro Paese ha in qualche modo implicazioni di natura politica (la nostra storia ne è una prova più che mai evidente). Ma è anche vero che, a differenza degli altri comparti produttivi, le dimensioni politiche all’interno del mondo culturale sono presenti in quasi tutti i livelli della nostra democrazia. Non solo per le evidenti proprietà del segmento culturale, ma anche per le conseguenti modalità attraverso le quali il nostro sistema culturale si è andato via via strutturandosi nel tempo. Che la politica giochi un ruolo centrale nella cultura è un segreto di pulcinella, dalle dimensioni di quartiere fino alle amministrazioni centrali.
Avere un ministro che, pur essendo riflesso di una dimensione in qualche modo tecnica, conosca le dinamiche politiche può essere quindi un vantaggio, se la conoscenza di tali meccanismi (come sinora dimostrato dalla carriera del nuovo ministro) gli permetterà di agire in modo consapevole all’interno del proprio mandato. E con ciò si intende, in modo ancora più esplicito, che questa sua caratteristica potrà essere un vantaggio per il nostro sistema culturale nella misura in cui il ministro riesca a comprendere su quali temi poter avviare delle riflessioni che si possano tradurre in misure concrete, ben sapendo che, negli anni, nei contesti tecnici dell’amministrazione, si sono formate correnti e gruppi di cui tener conto. Perché i politici sono per propria natura temporanei, i tecnici restano.
L’opportunità è quindi quella di imprimere piccoli cambiamenti, che adeguino la nostra struttura alle esigenze del Paese, tenendo però in considerazione che non sarà possibile, nel corso di una sola legislatura, riformare tutto, ancora una volta, sebbene chiunque sia disposto ad affermare che un’altra riforma sia quanto mai necessaria.

“Avere un ministro che, pur essendo riflesso di una dimensione in qualche modo tecnica, conosca le dinamiche politiche può essere quindi un vantaggio, se la conoscenza di tali meccanismi gli permetterà di agire in modo consapevole all’interno del proprio mandato”.

Il trascorso professionale del nuovo ministro presenta inoltre un ulteriore fattore di vantaggio: la comprensione artigiana della macchina culturale.
In un set televisivo sono presenti le più disparate professioni, siano di natura culturale che di natura non culturale: tecnici, manovali, addetti alle pulizie, elettricisti. Crescere nel dietro le quinte fornisce una comprensione più vivida di ciò che è poi la magia dello schermo: la comprensione che dietro la punta dell’iceberg ci sia un sistema eterogeneo e variegato di persone, ciascuna delle quali con ruoli differenti, contratti di lavoro differenti. Questo elemento può favorire una visione che, per altre persone, con altre carriere, può avere dei caratteri più teorici e astratti.
Un politico che, nella vita, abbia sempre e solo fatto il politico sa bene che c’è una relazione tra le industrie culturali e creative e i restanti comparti produttivi. Tutto ciò è intuitivo. Ma tale conoscenza è teorica, non epidermica. La speranza è che chi è cresciuto condividendo lo spazio di lavoro con tantissime figure professionali intuisca, d’istinto, quanto l’azione in altri dicasteri possa influenzare le realtà che è chiamato a governare. A tutti i livelli: sia che si tratti di comprendere quanto una modifica ai contratti di appalto per i servizi di pulizia possa influenzare i conti economici dei musei, sia di capire di come l’introduzione di una specifica politica fiscale possa poi riverberarsi sul tessuto culturale.
Che questo si riveli essere un ministero ponte o al contrario un ministero di indirizzo politico reale lo scopriremo nel tempo. Come per ogni altro dei predecessori di Sangiuliano, ci sono le premesse sia per l’uno che per l’altro. Di certo l’Italia della cultura è in attesa di segnali. Si spera non siano soltanto di natura politichesca, ma che siano di politica vera.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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