Riflessioni e strategie per far dialogare società e cultura

In un momento complesso come quello attuale è necessario ricordare che società e cultura non sono due ambiti lontani, ma, se messi in relazione in maniera virtuosa, possono contribuire al benessere della comunità. Come può avvenire tutto questo?

L’Italia (e gli italiani) vivono oggi in un profondo clima di incertezza: politica, economica, sociale. In questi momenti è importante che la collettività si unisca per divenire comunità.
Divenire comunità non è un’operazione immediata, né semplice. Richiede un insieme di presupposti strutturali e abitudini mentali e comportamenti concreti che si consolidano nel tempo. Richiede quindi una cultura di comunità, ove la cultura è intesa nel proprio senso più ampio ed esteso. Tra tutti i cambiamenti che abbiamo vissuto negli ultimi decenni, sicuramente si registra anche un tendenziale indebolimento della nostra struttura sociale così come eravamo abituati a immaginarla. I grandi processi di cambiamento internazionale hanno iniziato a mostrare i propri impatti anche nel nostro Paese. Si pensi alla mobilità interna sempre più forte, la quale inevitabilmente tenderà a indebolire la rilevanza del nucleo familiare, che, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, aveva un ruolo in alcuni casi forse anche eccessivo.
Famiglie meno numerose, maggiore instabilità lavorativa e incremento degli spostamenti sia domestici sia internazionali per ragioni di studio e di lavoro sono oggi fenomeni all’ordine del giorno. Fenomeni che, prima di riguardare il nostro Paese (se si escludono i grandi esodi), hanno caratterizzato la vita di altri territori del mondo occidentale.
Di fronte a tali grandi cambiamenti è opportuno dunque iniziare ad avviare riflessioni che riguardino l’intera nostra società, perché il nostro sistema di comunità è stato sinora tradizionalmente diverso da quello di altri Paesi, e questo implica che al variare del sistema di comunità deve necessariamente corrispondere anche una modifica degli strumenti a disposizione delle persone.
Si badi bene: si tratta di azioni concrete, immediate, e tutt’altro che teoriche e generali. Se i nonni sono troppo distanti o troppo anziani per poter sostenere il processo di rientro al lavoro, allora gli asili nido assumono un ruolo essenziale. Quando gli amici di sempre sono troppo distanti, allora è importante nascano anche organizzazioni che facilitino la creazione di nuove relazioni amicali, coinvolgendo persone con medesimi interessi, ecc.

LA LEGGE DOPO DI NOI

Sono esempi di cambiamenti già in atto e pienamente visibili nel nostro Paese. Ma sono anche esempi che denotano un processo che è in fase di evoluzione, ed è ancora ben distante dall’essere terminato. Un caso emblematico, all’interno di questo scenario, è il tema del cosiddetto “dopo di noi”, che meriterebbe una maggiore attenzione non solo per l’aspetto più prettamente umano che la tematica riveste, ma anche come prospettiva attraverso la quale poter comprendere quanto ancora sia necessario fare, e quali debbano essere i prossimi passi evolutivi.

“In questi momenti è importante che la collettività si unisca per divenire comunità. Divenire comunità non è un’operazione immediata, né semplice”.

Per chi non ne fosse a conoscenza, il dopo di noi inquadra una tematica che riguarda il futuro delle persone con disabilità grave alla morte dei propri genitori. Su questo punto, nel 2016, la legge 112, nota proprio come legge dopo di noi, ha cercato di promuovere una serie di strumenti e di progettualità in questo versante. Più nel dettaglio, tale legge intendeva promuovere e favorire il benessere, l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità, agevolando percorsi di progressiva emancipazione, includendo azioni volte a incidere sulle differenti dimensioni della vita quotidiana: percorsi di accompagnamento, formativi, soluzioni abitative. A circa sei anni dalla legge, i risultati raggiunti sono un po’ distanti dalle aspettative. Al di là della prevedibile distribuzione disomogenea degli interventi, con Regioni che hanno mostrato performance più significative di altre, la verità è che il dopo di noi non è mai davvero decollato.

Didattica al MAXXI, Roma - photo Gianfranco Fortuna

Didattica al MAXXI, Roma – photo Gianfranco Fortuna

LA CULTURA E IL DOPO DI NOI

Sebbene possa sembrare dunque una tematica distante dalla riflessione più prettamente culturale, ci sono molte e validissime ragioni per affrontare questo tema in un contesto che affronta riflessioni di natura culturale e artistica. Tra le più immediate, sicuramente la grande attenzione che l’arte ha sempre posto a temi di natura sociale e politica, attenzione che, come ricordato recentemente dal direttore di Artissima Luigi Fassi, è particolarmente spiccata in questo periodo storico: sotto la lente della loro quotidianità, gli artisti affrontano temi sociali e scottanti come il razzismo, le disuguaglianze, il confronto con società che non sono né liberali né democratiche.
Oltre a tale binomio, e alle ulteriori naturali dimensioni umane, ci sono poi anche delle dimensioni, per così dire strutturali, politiche (intese come policy), che bisognerebbe prendere in considerazione. In primo luogo la tendenza a relegare ciò che riguarda alcuni temi chiave della nostra società a una dimensione assistenziale. È una separazione netta che è possibile riscontrare tanto nel dibattito culturale e sociale, quanto nelle politiche e nelle linee di finanziamento, fino ad arrivare a cascata nelle organizzazioni che si occupano di assistenza. Sebbene tutta la nostra storia moderna e contemporanea ci abbia insegnato che la specializzazione ha un impatto positivo sui risultati, la stessa storia moderna e ancor più la nostra storia contemporanea ci insegnano anche che estremizzare la specializzazione genera un effetto distorsivo. Se continuiamo a ragionare, come fanno anche molti enti erogatori, che da un lato c’è una dimensione culturale e, dall’altro, una dimensione sociale, rischiamo di alimentare una visione distorta della cultura. Perché è bene, ad esempio, poter separare i finanziamenti che sono destinati all’assistenza di alcune categorie di persone da interventi finalizzati alla ricerca musicale; ma di certo non è un bene favorire l’affermarsi di un’idea di cultura separata dalla società.

“Il dopo di noi rappresenta proprio una di quelle tematiche in cui l’unione delle differenti competenze dei soggetti attivi nei differenti ambiti citati potrebbe portare alla formazione di processi di sviluppo importanti”.

Ancora una volta, non sono riflessioni teoriche, si tratta di elementi concreti e tangibilissimi. È illuminante, in questo senso, una dichiarazione rilasciata dal Comitato Officina dopo di noi: “Dal 2016 a oggi la Legge non ha avuto il successo sperato, e questo è imputabile a vari fattori: i ritardi regionali, le diverse modalità attuative a livello locale, […] alla scarsa conoscenza e alla mancanza di competenze adeguate da parte di alcuni degli attori del complicato processo che la Legge vorrebbe portare avanti per favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità”.
Basta leggere queste poche righe per comprendere come le criticità specifiche di attuazione siano tutt’altro che specifiche. Un esempio tra tutti: si rilegga tale affermazione pensando alle difficoltà che tuttora si riscontrano nella diffusione dei progetti culturali pubblico-privati.
Non si può certo passare in rassegna tutte le potenziali dimensioni. Ma è evidente che nel nostro Paese ci siano, oggi, almeno tre settori che, pur perseguendo obiettivi sinergici, trovano solo in casi sporadici una reale connessione: il settore sociale, quello culturale e quello formativo. Sono comparti produttivi importanti, che coinvolgono in modo significativo soggetti privati, organizzazioni del terzo settore e investimenti pubblici, e che forse meriterebbero un maggiore livello di integrazione. Un’integrazione che, è bene precisarlo, più che riflettere quell’approccio tutto italiano delle cabine di regia, dovrebbe forse trovare una maggiore connessione nelle realtà territoriali, sia attraverso una connessione di tipo informale e bottom-up, sia attraverso misure finalizzate a stimolare in modo concreto e tangibile tali connessioni. Per essere più chiari: tali connessioni andrebbero quindi stimolate attraverso linee di finanziamento o altri strumenti attualmente già a disposizione della politica, che vadano a incidere su tematiche in cui l’intersezione tra questi comparti è più forte. Non un finanziamento generico per le reti, ma una linea di finanziamento specifica per la creazione di interventi integrati.

“Si crea comunità soltanto quando si trovano davvero modalità per far sì che soggetti differenti cooperino per il raggiungimento di obiettivi comuni”.

Il dopo di noi rappresenta proprio una di quelle tematiche in cui l’unione delle differenti competenze dei soggetti attivi nei differenti ambiti citati potrebbe portare alla formazione di processi di sviluppo importanti. Processi e collaborazioni che potrebbero poi reiterarsi spontaneamente anche in altre circostanze.
L’approccio accademico che spesso contraddistingue questi ambiti interdisciplinari è sicuramente utile, ma è necessario che tale approccio sia confortato da esperienze reali. Estendendo il ragionamento a tematiche di carattere più generale, ad esempio, è possibile affermare che sapere che la fruizione culturale attiva può generare effetti positivi anche sul livello di benessere percepito e, in alcune condizioni, anche sullo stato di salute, è essenziale nella misura in cui tale informazione diviene poi una base di lavoro.
Essere in possesso di tali informazioni e non applicarle non è semplicemente un atto di svilimento del processo di ricerca, è un atto di crudeltà nei confronti di coloro che potrebbero beneficiarne.
Gli effetti di un’applicazione integrata tra questi differenti ambiti potrebbero essere duplici e ugualmente importanti: il primo, quello più evidente, sarebbe sicuramente rappresentato dall’incremento della qualità dei servizi erogati; l’altro, forse un po’ più nascosto, ha invece caratteristiche strutturali. Prendendo il caso del dopo di noi, ad esempio, un incremento delle potenziali collaborazioni potrebbe ad esempio superare alcuni di quei limiti indicati come ostativi da chi si occupa quotidianamente di questo tema. Si pensi alla significativa crescita delle capacità progettuali che le associazioni culturali hanno mostrato negli ultimi anni; si pensi alle differenti forme di finanziamento cui potersi riferire per realizzare piccole parti di un progetto generale più complesso.
Si crea comunità soltanto quando si trovano davvero modalità per far sì che soggetti differenti cooperino per il raggiungimento di obiettivi comuni. È un meccanismo che è alla base della nostra società e che in un periodo di transizione così forte dovrebbe essere applicato in modo molto più incisivo di quanto si stia facendo oggi. Non dimentichiamocene.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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