Biglietto del Pantheon a pagamento. Ecco perché è un errore
Il rischio è quello di aumentare il divario tra Roma e comuni circostanti, oltre allo spettro di un biglietto a pagamento per tutte le chiese storiche della capitale
La decisione di istituire un biglietto d’ingresso al Pantheon, annunciata a gennaio dal ministro della cultura Gennaro Sangiuliano (in continuità con il predecessore Dario Franceschini, che aveva sancito un accordo nel 2017), è giunta a conclusione in questi giorni con la sigla di una nuova convenzione con il Capitolo della Basilica di Santa Maria ad Martyres (nome cristiano, fin dal VII secolo, del noto monumento romano). A firmare l’atto, alla presenza dello stesso ministro e del vescovo ausiliare di Roma monsignor Daniele Libanori, sono stati il Direttore generale della Direzione generale Musei, Massimo Osanna, il Direttore della Direzione Musei statali della città di Roma, Mariastella Margozzi, e il Camerlengo monsignor Angelo Frigerio. Secondo quanto si legge nel comunicato ufficiale del ministero, il biglietto d’ingresso sarà di importo non superiore a 5 euro (ma prima era stato fissato a 2), il cui ricavato sarà ripartito in un 70% in favore del MiC e un 30% in favore della Diocesi di Roma. Saranno esentati dal pagamento, come già avviene per i musei, i minori di 18 anni, le categorie protette, i docenti che accompagnano le scolaresche, mentre pagheranno 2 euro i ragazzi fino a 25 anni. La gratuità spetterà anche ai residenti del comune di Roma e ai fedeli in preghiera.
PANTHEON A PAGAMENTO: LE RAGIONI CONTRARIE
Il biglietto sarà introdotto non appena si concluderanno i passaggi tecnici necessari, ma con l’alta stagione turistica alle porte, e considerata l’intensità del flusso turistico giù concentrato sull’area (la fila al Pantheon ha raggiunto, dopo la pandemia e l’introduzione di controlli all’entrata, livelli parossistici), c’è da prevedere che le difficoltà di assestamento non mancheranno. Nonostante l’apparente liberalità delle condizioni di tariffazione per l’ingresso (del resto regolamentata dal DM 11 dicembre 1997, n. 507 e s.m.i), e senza mettere in discussione le buone intenzioni delle parti coinvolte, resta il fatto che con questo atto viene smontato a Roma un altro pezzo di civiltà e di diritto alla città, nella quasi totale indifferenza e impotenza di tanti romani e italiani che non frequentano e non sono più abituati a percepire i beni comuni se non in un’accezione patrimoniale e materialista: appunto, un patrimonio (non un’eredità o un legato come nel senso più profondo del termine heritage) per godere del quale sembra naturale pagare. Quelle che si scontrano qui sono due visioni di città contrapposte e, apparentemente inconciliabili (apparentemente perché si darebbero molte opportunità anche metodologiche di sinergia tra pubblico e privato), di cui sarebbe lungo e complesso trattare in questa sede.
Aspetto forse più nocivo e socialmente retrivo è la gratuità riservata ai residenti del solo comune di Roma, che escluderà (a meno che non venga corretta estensivamente) i cittadini dei comuni dell’area metropolitana di Roma e quelli del Lazio: migliaia di persone che quotidianamente lavorano, studiano e recano il loro apporto alla vita della Capitale e le cui esistenze orbitano attorno a essa; ma che, a causa di costi abitativi sproporzionati (e combattendo disperatamente contro un servizio di trasporto pubblico disastroso) sono esiliati oltre i confini del Grande Raccordo Anulare. Con questa misura classista si distrugge un’idea di Roma e di cittadinanza realistica e democratica, che superi l’antiquata dicotomia centro/periferia e coinvolga un territorio ben più ampio ma egualmente partecipe delle dinamiche romane.
MUSEI A PAGAMENTO: SOLO L’INIZIO?
Più desolante di questa constatazione, c’è soltanto la previsione che, dopo il precedente costituito dal Pantheon, in futuro potranno essere sottoposti a pagamento anche gli ingressi in tutte le altre chiese storiche del centro di Roma, quelle che costituiscono il tessuto di un incredibile museo a cielo aperto, e che sostengono e arricchiscono, nel loro straordinario insieme, proprio le numerose e importanti presenze museali a pagamento che costellano quel tessuto. Insomma, potremmo ritrovarci a pagare per entrare a salutare Ludovica in San Francesco a Ripa, pagare per giocare alla Tosca davanti al Domenichino e sotto la cupola del Lanfranco a Sant’Andrea della Valle, pagare per meravigliarci della macchina barocca del Gesù o per precipitare verso l’alto sotto la volta di Sant’Ignazio. Chi trascura che questa bellezza e questa storia sono parte integrante della città, una parte ineffabile e irrecuperabile, una volta che sia stata alienata, della vita quotidiana, affettiva e personale di chi frequenta Roma; chi questo non lo capisce perché non ci crede, non lo vive, non lo percepisce, e magari tuona contro un poco di zuppa di piselli o di vernice lavabile, aggiunge un velo di tristezza e di povertà su Roma, e le toglie qualcosa proprio nel momento in cui dichiara di volerla arricchire.
Mariasole Garacci
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