Biglietterie nei musei: il Ministero cambia un’altra volta
A pochi giorni di distanza dal clamoroso annuncio, la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura corregge il tiro sulla nuova piattaforma di bigliettazione museale. Tutto ciò induce alcune riflessioni
E alla fine la piattaforma di bigliettazione museale unica, Ad Arte, non sarà l’esclusivo canale di biglietteria per i #Museitaliani. Una nuova comunicazione della DG Musei chiarisce che la tanto discussa rivoluzione sui servizi di biglietteria online dei musei sarà “una integrazione” rivolta a quelle realtà non dotate di biglietteria che così avranno un canale digitale di vendita, aperto anche a tutti gli altri.
Ora, questo dietrofront, o meglio, questa derubricazione di una riforma che da “epocale” passa a integrativa dello status quo, dà il senso di quanto metter mano alla materia sia oggettivamente un affaire tutt’altro che semplice. Una questione sulla quale, anche a fronte del clamore di questi giorni, occorrerà intervenire senz’altro, ma tenendo ben presente che ogni forzatura non è auspicabile, anzi, e che ogni intervento di riforma avrà inevitabilmente importanti ricadute. Allora forse è il caso di iniziare a ragionare come suggeriva il mio prof di fisica: non con il cervello a spicchi, come le arance, ma come le mele, con la polpa. Ovvero considerando il sistema museale nazionale come tale: un sistema. E con questo approccio iniziare una sua profonda revisione dalle fondamenta, a monte, e non a valle. A iniziare dalla forza lavoro, interna ed esterna al Ministero, e dalle professioni necessarie allo sviluppo di quello stesso sistema, non solo al suo mantenimento in vita (soprattutto considerando che da qui al 2026, in Italia, serviranno circa 100mila nuovi lavoratori per il settore della cultura e dello spettacolo (fonte Unioncamere-Anpal) con picchi di 4 lavoratori su 5 in età pensionabile in casa proprio del Collegio Romano).
Ma anche dalla capacità di far tornare il settore desiderabile, senza semplificazioni mainstream, sgretolando la “visione” del museo come “tempio”. Una idea viva e vegeta che assegna ai nostri musei una funzione percepita come statica, ieratica, immutabile, irraggiungibile, ma anche che marca una distanza tra l’oggetto (il bene culturale e il museo) e il fruitore dello stesso, che pone i musei come dei reliquiari, come fossero uno spazio sacro e al contempo distante. Allora rendiamo i musei più “nostri”, magari iniziando dal rendere possibili le donazioni dirette, anche piccole (circa 10 euro), a favore di un museo particolarmente significativo: sarebbe un segnale importante per ri-pensare a un sistema di micro sovvenzionamento che vada oltre l’Art Bonus (anche se resta da definire cosa si intenda per “particolarmente significativo”).
Oppure, invece di spendere 9 milioni di euro per la campagna pubblicitaria del Ministero del Turismo, perché non investire quei 9 milioni per realizzare politiche attive e integrate, volte a contenere i rincari rendendo un servizio di nuova accessibilità economica su scala nazionale dei siti culturali? Magari finanziando una card annuale valida per tutti i musei nazionali (come avviene in Olanda) con un impatto mediatico e d’indirizzo anche turistico decisamente di un altro livello rispetto alla Venere influencer.
“La vera riforma di cui si sente oggi la necessità è tornare ai principi di una restituzione pubblica di un bene pubblico che va oltre il dato economico”
UNA RIFORMA DEL SISTEMA MUSEALE
La vera riforma di cui si sente oggi la necessità è tornare ai principi di una restituzione pubblica di un bene pubblico che va oltre il dato economico, e tocca la sostenibilità culturale e sociale. E questo sarebbe possibile con un “adeguamento agli standard europei” non solo per il costo dei nostri musei, ma anche per quel che riguarda i servizi offerti e che quel costo garantisce (dovrebbe garantire). Magari proponendo collezioni permanenti ed esposizioni temporanee diverse collegate tra loro con biglietti integrati, anche tra sedi differenti, o anche tra città diverse; o con abbonamenti di 1/6/12 mesi a prezzi oggettivamente convenienti; o con aperture serali fisse fino alle 21 o 22; o ancora con card cittadine cumulative di musei e mezzi di trasporto pubblico che aumentano una attitudine all’accoglienza, non solo turistica.
Perché avere musei “friendly” non significa solo offrire la gratuità per gli under 18, o biglietti convenienti per le famiglie, come spesso si intende in Italia, ma significa progettare e creare un ambiente interamente volto all’accoglienza, dove i bambini possono poter giocare liberamente con i coetanei, i nonni chiacchierare, i genitori rilassarsi come al parco (invece di chiudersi in un centro commerciale o accalcarsi in sporadiche occasioni free entry solo in quanto free entry). E ciò messo in opera con la lungimiranza che tale “attitude” avrà impatti sulle persone coinvolte, con ricadute di crescita e sviluppo a lungo termine. A conti fatti allora non ci resta che chiederci se sia preferibile continuare ad avere in mente il ricavo del ticket diretto, delle statistiche, delle lunghe code di turisti cercando continuamente l’effetto wow, invece che investire per ri-pensare in maniera strutturale ambienti museali nuovi e innovativi (senza l’esclusiva della tecnologia) volti a coltivare l’aggregazione, dove decine di bambini locali vivono serenamente le loro giornate mentre genitori, studenti e visitatori di ogni età pranzano all’ombra degli alberi di un giardino o studiano nella biblioteca.
Perché, nonostante alcune eccezioni che in Italia esistono, in generale il sistema rimane ancora troppo spesso legato all’idea di musei più “di tutti” che “per tutti”.
Massimiliano Zane
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