La Sirenetta e il monumento ai lavoratori. Monopoli affida l’arte pubblica ai liceali
Di nuovo una statua, inaugurata in una provincia del Sud Italia, fa discutere e diventa notizia. A causa dello stereotipo sessuale incarnato, che in realtà è l’ultimo dei problemi. Un gruppo di studenti fa del suo meglio, ma sconta una maldestra iniziativa delle amministrazioni.
Il copione sembra sempre lo stesso. Sarà un caso, sarà un mix di stereotipi, sarà forse la provincia italiana, con tutta la sua genuina buona volontà, inquinata spesso da una goffaggine istituzionale che convive con la comprovata capacità di regalare al mondo artisti e intellettuali di primissimo piano. Fatto sta che il film si ripete. E il sorriso non può che essere amaro.
Come nel caso di quella controversa icona al contrario che è la Manuela Arcuri di Porto Cesareo, divinità televisiva in versione barocca, con tanto di cornucopie traboccanti di pesci, simbolo (in teoria) di bellezza, di prosperità e del mare salentino. Piazzata nel 2002 sulla piazzetta del waterfront e presto travolta dalle polemiche, venne a un certo punto sradicata ma dopo due anni tornò al suo posto, con tutto l’orgoglio e la resilienza di un monumento dell’assurdo, talmente fuori luogo da diventare un classico oggetto kitsch identitario.
O come la Spigolatrice di Sapri, musa rurale e bellica, balzata fuori dai versi di una nota poesia risorgimentale, e trasformata nel 2021 in una conturbante velina, con le vesti trasparenti incollate ai glutei e il piglio di un’influencer davanti ad uno smartphone. Due opere mediocrissime, dal sapore artigianale, intorno a cui il polverone era scoppiato non già per la scarsa qualità, ma per via di quella femminilità prorompente, percepita come inadeguata, disturbante, eccessiva. Femminilità, soprattutto, relegata a un banale stereotipo da massmedia o a un inconsapevole effetto caricatura.
UNA SIRENETTA PROVOCANTE A MONOPOLI
Stessa vicenda oggi, a Monopoli, in provincia di Bari. Dove spunta un’ennesima Sirenetta, stucchevole motivo che continua a tornare tra le città di mezzo mondo, storpiando all’infinito l’originale in bronzo che dal 1913 presidia il porto di Copenaghen, in omaggio al danese Hans Christian Andersen. Sexy e malriuscita, pure questa. Un manufatto dozzinale, che diventa monumento in ragione di chissà quale strategia politico-culturale. Il Comune le riserva un posto d’onore, nella piazza recentemente riqualificata e intitolata a Rita Levi Montalcini, proprio dove è stato realizzato anche un parco giochi. La Sirenetta vanta un décolleté esagerato, evidentemente passato sotto i ferri di un maldestro chirurgo, visto che le due rigide sfere assomigliano più a due meloni o a due palle da bowling, che non ad un seno. E poi torna la questione del fondoschiena, abbondante, in bella vista, in primo piano, più Kardashian che Ariel. Che ci azzecca con la Montalcini, si chiede la folla? E che diranno i bambini dinanzi a tale richiamo sessuale? Una Sirenetta uscita da Only Fans, che turba il popolo – nonostante l’eros non trapeli nemmeno per sbaglio dalle curve legnose – e che sull’onda delle polemiche finisce su tutti i siti e i giornali italiani, arrivando oltreoceano grazie a un articolo della corrispondente da Roma per The Guardian.
LA SCELTA INGENUA DEL COMUNE DI MONOPOLI
Stavolta però non c’è nessun artista o artigiano del luogo a difendere la propria creatura. Gli autori sono infatti degli studenti di una scuola superiore, l’IISS Luigi Russo di Monopoli, con cui il Comune aveva stipulato una convenzione. In virtù di quest’ultima è stato affidato ai ragazzi il compito di progettare e produrre delle opere monumentali per il suolo cittadino: “Abbiamo proposto al Comune di realizzare una statua della Sirenetta sulla base di un prototipo che gli studenti avevano approntato come esercitazione sul tema ‘Il Mare’“, spiega il dirigente scolastico Adolfo Marciano. “L’assessore ai Lavori pubblici Palmisano e i suoi tecnici l’hanno visionata e hanno dato l’ok. Sarò sempre grato al Comune perché ci ha dato la possibilità di realizzare il famoso compito di realtà. Ai miei studenti brillavano gli occhi mentre vedevano concretizzarsi il loro lavoro“. Studenti confrontatisi dunque con una committenza vera, chiamati a ottemperare a tutte le fasi progettuali. Molto formativo. Eccetto che per un aspetto, il più cruciale: l’importanza e il rispetto che allo spazio pubblico vanno riconosciuti, nonché le competenze che servono per misurarsi con un’opera d’arte urbana, con l’idea di monumento, con il concetto stesso di città, secondo le evoluzioni e le dinamiche del nostro tempo e con tutta la consapevolezza che occorrerebbe avere in termini storico-artistici e di linguaggi contemporanei. Come possono dei ragazzi, seppur volenterosi, assumersi una responsabilità simile? E chi li ha guidati in questa impresa? Due i docenti citati nella comunicazione ufficiale, Donatello Grassi e Marina Quaranta, che hanno svolto il loro compito per come potevano. Del primo in particolare si percepisce l’influsso, una cifra che gli studenti hanno tradotto alla maniera loro: sbirciando tra le riproduzioni di Grassi si trovano commissioni a carattere religioso, come il rilievo dell’arcangelo Gabriele nella chiesa “Regina Mundi” di Martina Franca, ma soprattutto sculture figurative, prevalentemente raffigurazioni di donne formose, desnude, chiaramente riferibili a una tradizione illustrativa dal respiro locale e popolare.
Nessuna colpa hanno gli studenti, ci mancherebbe. E nemmeno i professori. Anzi, si apprezzano l’entusiasmo e la valenza didattica dell’operazione. Qui gli unici da interrogare sono sindaco e assessori di competenza, in questi giorni di campagna elettorale alle prese con una girandola di iniziative, investimenti, inaugurazioni (incluso lo “Spring Light Festival”, con giganteschi videomapping sulla città, e la mostra su Oliviero Toscani al Castello Carlo V). Perché non affidarsi ad artisti stimati e riconosciuti dall’art system nazionale? Perché non inventarsi un bando pubblico con una giuria di curatori competenti, ad esempio coinvolgendo valide fondazioni e musei d’arte contemporanea del territorio? Perché non interpellare uno studio d’architettura o un critico che si occupa di spazio pubblico, per capire in che direzione muoversi? Perché non puntare in alto, affidando il lavoro a un nome internazionale, magari coinvolgendolo in un workshop con scuole e accademie, o costruendovi intorno un bel progetto espositivo e di comunicazione? Perché costa, d’accordo. I liceali lo fanno gratis e in più si cavalca il tema della formazione e dell’attenzione ai giovani, che fa sempre il suo effetto. Ma la ragione più profonda e dolorosa è che manca una visione, una progettualità, un’abitudine ad avviare processi sani, intelligenti, virtuosi, modellati su standard qualitativi adeguati.
STATUE CURVY E BODY INCLUSIVITY
La questione riguarda oggi Monopoli ma potrebbe riguardare centinaia di piccoli, medi e grandi centri urbani del Paese, in cui si assiste a un proliferare di brutture, di rotonde pittoresche, di opere e cippi commemorativi piazzati senza criterio e concepiti come lavoretti di scuola elementare, di sculture artigianali di pessima fattura, di volgari murales celebrativi o decorativi (nel senso peggiore della parola), di faccioni, pupazzoni, statuette, disegnini. Alcuni episodi balzano all'”onore” delle cronache, ma la maggior parte permangono in uno stato d’invisibilità, abbandonati alla propria sciatteria.
Ora, la statua di Monopoli è un manufatto eseguito rozzamente, concettualmente nullo, privo di qualunque interesse artistico. E non c’entra il tema del body positive tirato fuori dal Preside per offrirgli una patina sociale: “Non voglio avventurarmi nella critica alle scelte estetiche dei miei studenti e dei loro insegnanti, però una riflessione la azzardo: il corpo di ciascuno di noi, non è perfetto, noi non siamo i modelli della pubblicità, le donne vere non sono quelle della pubblicità, nella realtà esistono, e sono la maggioranza, donne dalle forme generose e morbide come quelle della nostra Sirenetta, e allora perché non rappresentarle? Si immagini se avessimo scelto di rappresentare una donna magrissima, ai limiti dell’anoressia: quello sì che sarebbe stato uno schiaffo per molte“.
Dichiarazioni tanto ingenue quanto fuori fuoco. Figuriamoci se un’opera d’arte debba dipendere dall’esempio etico per il pubblico, se i volumi di un corpo scolpito debbano essere suggeriti da un nutrizionista, se le scelte di un artista contemplino le stesse finalità di una pubblicità progresso o di una campagna social. Allo stesso modo, inesistente è il tema dello scandalo morale (!) dovuto alle rotondità della sirena. Nemmeno la censura di mamma Rai negli anni ‘60 del secolo scorso. Sulla base di queste osservazioni bisognerebbe giudicare migliaia di capolavori della storia dell’arte e dell’attualità, tra corpi troppo grassi o troppo magri, immagini troppo peccaminose, troppo perverse, troppo curde, troppo esplicite… Ridicolo. Ma forse non è banale ribadirlo: l’arte non è interessata ai giusti messaggi e alle buone maniere, ma allo sviluppo di un’intuizione visiva che poggi e si innesti su una profonda ricerca poetica, linguistica, intellettuale.
L’OPERA SVELATA IL PRIMO MAGGIO
E per non farci mancare niente, la Sirenetta di Monopoli si è guadagnata un post sull’esilarante pagina Instagram “Intrashtenimento”, che ha pubblicato una foto col sederone in bella vista e una sobria didascalia: “L’area intitolata al Nobel Rita Levi Montalcini”. Fa già ridere così, senza aggiungere altro. Ma, ironia a parte, il problema non è lo scarto rispetto all’intitolazione della rinnovata piazza. Né la presenza di un luna park. Non per forza l’opera è chiamata a celebrare la grande scienziata che ribattezza il luogo, né deve essere progettata necessariamente in funzione di chi utilizza una panchina, una giostra o l’ombra di un arbusto. Sono scelte che possono (ma non devono) stare a monte o che possono derivare da un ragionamento in fase progettuale. Ed è qui il vulnus. Un ragionamento, naturalmente, non c’è stato. I ragazzi avevano fatto un esercizio a tema e avevano candidamente tirato fuori il più immediato dei soggetti di genere. Che poi gli adulti hanno voluto piazzare là dove “serviva” un elemento di “abbellimento”. Peccato che un’opera d’arte pubblica debba nascere in altro modo, sulla base di un’analisi accurata, di uno studio dei volumi architettonici e del contesto, dello sviluppo di un concept, di una sintesi simbolica, di una narrazione. E abbellire un sito può essere al limite preoccupazione di chi si occupa di arredi urbani.
Intanto una seconda scultura, ancora uscita dall’officina studentesca dell’Istituto Luigi Russo, è stata svelata la mattina del 1° maggio. Stavolta un omaggio alle pene dei lavoratori, installato in “Piazza caduti sul lavoro”. E qui la coerenza rispetto alla toponomastica c’è tutta. Due enormi lastre di corten, sormontate da una vite, schiacciano una massa indistinta di corpi, come una pressa: da qui il titolo, Pressione, in riferimento a chi, esercitando tutta la forza finalizzata alla produzione, viene sfruttato e soffocato. A proposito di metafore facili, di accademismi stentati, di linguaggi vecchi e didascalici che si collocano fuori dalla contemporaneità. Ma c’è da scommetterci: in assenza di riferimenti sessuali, non si leveranno voci critiche e anzi, dati l’accento drammatico e la tematica impegnata, saranno solo consensi da raccogliere e l’illusione di un epilogo lieto per studenti, docenti e amministratori. Che la qualità sia più o meno la stessa della sirena voluttuosa è un fatto marginale, di cui a nessuno importerà e per cui nessuno proverà a cambiare direzione.
Helga Marsala
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