Il nuovo logo del Ministero dell’Istruzione non piace a nessuno. Altro che merito
Dopo il nome, cambia anche il logo. Restyling totale per il Ministero dell’Istruzione, che fa di nuovo inciampare il Governo Meloni sui temi della comunicazione. Progetto grafico poco consono, contro cui si scatena il web.
Open to Merito. Dopo l’epic fail di “Open to Meraviglia”, la campagna del Ministero del Turismo con la Venere botticelliana nei panni di una fashion influencer, testimonial di un’Italia del pittoresco e del luogo comune, adesso anche il Ministero dell’Istruzione finisce al centro delle polemiche. Il tema è ancora quello dell’immagine e della comunicazione istituzionale. L’Ex MIUR, nel nuovo esecutivo Meloni, diventava il Ministero dell’Istruzione e del Merito, con quell’idea di meritocrazia, fieramente esplicitata, che in una narrazione manichea di stampo novecentesco sarebbe storica bandiera della destra, contrapposta all’egalitarismo di sinistra.
LA QUESTIONE DEL MERITO
Questione in realtà assai più complessa, da analizzare in tutte le sue sfaccettature e con tutte le evoluzioni storiche e sociali del caso, al di là di polarizzazioni e retoriche banali. E fu già discussione aspra, lo scorso ottobre, all’indomani dell’annuncio di ministri e ministeri, dinanzi a una parola importante e giusta, ma che resta nota stonata, all’orecchio di tanti, in relazione al concetto di scuola pubblica, per definizione plurale, inclusiva e orientata alla tutela del diritto: più che mettere l’accento sul merito di chi è bravo, col rischio di incoraggiare una visione tossica della competitività e dell’ambizione, è altrove che bisognerebbe insistere. Non sono forse la cura e l’attenzione verso tutti gli studenti – anche gli ultimi, anche i più fragili, anche i meno talentuosi – a rendere nobile il progetto educativo dello Stato?
Oggi il tema torna al centro della discussione sui media, tra meme, post sbeffeggianti, commenti acidi, critici, ironici. Ironia amara, ça va sens dire. Il nuovo logo del MIM è apparso sul profilo Facebook del Ministero. Ed è subito cringe. Tre letterine bianche, compresse all’interno di un tondo azzurro, con un improbabile font “gommoso” dal sapore anni ’80/’90, e un pallino tricolore che sormonta la i”: immancabile la bandiera nazionale, come il blu chiaro d’ordinanza, a richiamare lo storytelling dei patrioti italici, variamente modulato attraverso diverse le anime del centrodestra, tra sovranismo, populismo, conservatorismo e moderatismo liberal-popolare.
IRONIA SUL WEB CONTRO IL LOGO DEL MIM
Un logo mediocre, oltre che buffo. Capace di fondere, con un’ingenuità creativa che rende “geniale” l’azzardo del dilettante, il ricordo della grafica di un partito politico, quello di una squadra di calcio (d’obbligo il riferimento al Napoli e allo scudetto!), e il carattere frivolo di certi prodotti di consumo. Una gelateria? Un’azienda di giocattoli? Un fumetto? Un marchio di caramelle, chupa-chups, bubble-gum? Siamo lì. Totalmente fuori registro. Nulla che restituisca autorevolezza, eleganza, allure istituzionale, tanto meno in una chiave fresca e contemporanea. Ma gli accostamenti si sprecano: chi ci ha visto la sagoma del fantasma formaggino, chi due ali di un pipistrello, chi ha citato Halloween e chi ha pensato a dei molari stilizzati nell’insegna di un dentista. Per non parlare della scarsa leggibilità, del disequilibrio tra le lettere, con la seconda M lievemente e insensatamente più grande (il Merito è importante), o di quella “i” centrale declinata in minuscolo (l’Istruzione, non sarà mica così fondamentale). E a proposito di reminiscenze politiche, a voler pensare male, quel puntino con i colori dell’Italia non riaccende forse la memoria della sempiterna fiamma? L’icona dell’MSI, custodita e tramandata prima nel logo di AN e poi in quello di FDI.
Sul web, a poche ore dalla comparsa della creatura, si è scatenato il massacro. Da “lo ha disegnato il cugino di Valditrara con Paint?” a “il mio falegname con trentamila lire lo faceva meglio”. E via così, con migliaia di commenti e reaction sghignazzanti.
In effetti, al netto del qualunquismo di invettive e di sfottò social, gettati lì per fare caciara, è difficile non scorgere le ragioni di questo nuovo scivolone. Davvero un Ministero non può permettersi un’agenzia che sviluppi un progetto grafico di qualità? Non è dato sapere chi abbia firmato il restyling, ma il risultato stride, e non poco, con il principio tanto sbandierato. Così occupati a cavalcare il trend della meritocrazia, da dimenticarsi di ingaggiare un grafico meritevole?
Helga Marsala
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