Cosa facciamo con le centinaia di alberi abbattuti a Milano?
Una domanda lanciata dal giornalista Francesco Costa merita di essere colta e rilanciata: la città del design può permettersi di gettare al macero i suoi alberi secolari abbattuti dalla tempesta?
Gli alberi non sono persone, ma in un certo senso sono individui. Senza dubbio sono protagonisti della nostra vita, dei nostri spostamenti, del nostro orizzonte quotidiano. Sono compagni, sono presenze silenziose cui riconosciamo implicitamente un significativo contributo alla qualità della nostra vita.
Gli alberi non sono persone ma vederli morire, vederli soffrire e vederli feriti fa male. Fa piangere perfino. E la gente per le strade di Milano piangeva al mattino del 25 luglio 2023, qualche ora dopo il nubifragio che ha dilaniato, spezzato, sradicato centinaia di alberi e migliaia di rami.
La città di Milano e i suoi alberi
Milano ha un rapporto particolare con i suoi alberi. Forse a causa della mancanza di grandi parchi urbani in un tessuto edificato straordinariamente denso, gli alberi assumono un valore particolare di simulacro, di connessione tra la città e un astratto concetto di natura. Sì, c’è il Parco Sempione, ci sono i Giardini Montanelli, ma insomma sono appezzamenti piccoli; la Biblioteca degli Alberi e il Parco di CityLife sono cosa nuovissima e nulla di paragonabile alle grandi capitali europee come Londra, Vienna, Roma o Madrid.
Ecco allora questo rapporto di amore-odio con gli alberi. Nessuna pietà quando si tratta di parcheggiare sulle loro radici (Milano è l’unica città occidentale a tollerare la sosta delle auto sui marciapiedi o sulle aiuole, e chissà quanti alberi hanno ceduto alle raffiche di vento proprio a causa delle torture quotidiane inferte dalle automobili), ma anche grandi dibattiti e dimostrazioni di morboso affetto quando un albero sta male o, per il naturale avvicendarsi dei cicli vitali, deve essere sostituito. È capitato al gigantesco platano detto “di Giannasi”, per la prossimità con uno storico chiosco di cibo da strada in Corso Lodi: grandi polemiche e dibattiti prima di segare via il colosso malato, e poi addirittura lettere d’amore e funerali civili. È successo anche alla mitica quercia rossa americana che risale al 1895 (quella a fianco a Porta Ticinese, sui rami della quale Maurizio Cattelan impiccò tre bambini vent’anni fa): andrebbe sostituita perché anziana e pericolosa, ma piuttosto che far quel che si dovrebbe fare, la città ha deciso di ingabbiarla in un surreale sostegno di metallo a forma di piramide, prolungandone l’agonia e spendendo cifre blu per la sua manutenzione. Sono solo alcuni degli esempi per dire il rapporto particolare che la città coltiva coi suoi alberi.
Da qui i pianti dei cittadini lungo le strade irriconoscibili. E da qui le espressioni che ti aspetti per persone, ti aspetti per animali. Non per piante. Era tutto un “noo, poverino”, con la mano sulla bocca e gli occhi sbarrati alla vista di ogni arbusto secolare allettato dal fortunale.
Cosa fare con gli alberi abbattuti di Milano? La domanda di Francesco Costa
E proprio in ragione di questo non va lasciata cadere la domanda posta dal giornalista del Post Francesco Costa, che la mattina del 26 luglio 2023, nella sua seguita rassegna stampa mattutina Morning, ha messo sul piatto la questione del cosa fare. Cosa fare di tutto questo materiale? Cosa fa una città che si dice ispirata al design, alla creatività, all’innovazione quando si trova per le mani oggetti così significativi che d’un tratto perdono la loro funzione, vanno spostati, non possono stare più lì? Come risponde una città che punta sull’arte contemporanea e sull’arte pubblica, si domanda Costa. E ancora: cosa mettere al posto dei tanti alberi scomparsi?
È qualcosa che ha a che fare con la nostra interpretazione dello spazio pubblico da una parte, e sul rispetto che vogliamo tributare a dei protagonisti di questo spazio dall’altra. Una riflessione complessa può essere suggerita dalla Tempesta Vaia del 2018 e dalle iniziative che ne seguirono. Oppure si può scegliere la via più semplice: far finta di niente, ripristinare tutto il prima possibile, aggiustare le linee elettriche dei filobus e dei tram e spedire il materiale di scarto in qualche termovalorizzatore o centrale a biomassa, così si produrrà anche energia in ottica green e circolare. Da una parte trovare una maniera per celebrare il sacrificio di questi individui urbani, dall’altra considerarli legname.
Massimiliano Tonelli
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