Art lending: cos’è e perché in Italia non funziona
Opere in garanzia, per accedere a un prestito personale che possa alimentare il giovane collezionismo. Sarebbe una buona strada per rinnovare il sistema dell’arte contemporanea: ma in Italia gli ostacoli non mancano
Da qualche anno a questa parte, a livello internazionale il mondo dell’arte e quello della finanza hanno trovato una nuova strada di cooperazione: l’art lending.
Eliminando il lessico cool, l’art lending prevede che il detentore di una o più opere d’arte possa accedere a un prestito personale ponendo tali opere come garanzia.
“L’art lending prevede che il detentore di una o più opere d’arte possa accedere a un prestito personale ponendo tali opere come garanzia”
L’art lending in Italia
In Italia, come facile immaginare, l’art lending è ancora una pratica molto poco diffusa. E i potenziali motivi per cui nel nostro Paese c’è una così timida adesione a questo tipo di servizio potrebbero restituire un’immagine più concreta del nostro sistema dell’arte, e della sua demografia, sia in termini di collezionisti che in termini di operatori economici.
Partiamo dai collezionisti: è noto come i giovani collezionisti siano ancora pochi nel nostro Paese, così come è noto che la maggior parte dei collezionisti che opera in Italia presenta un profilo socio-economico piuttosto elevato.
Nella pratica ciò si può tradurre più o meno così: avendo a che fare con un profilo medio-alto sotto il profilo economico, profilo dovuto anche all’età, molti collezionisti spesso non necessitano di prestiti, e quando ne hanno bisogno, possono scegliere altri asset a garanzia.
Si tratta, dunque, di condizioni che dal punto di vista economico potrebbero essere riassunte come una scarsità di domanda, anche tenendo conto della nicchia di mercato cui il servizio di lending-art si rivolge.
Gli ostacoli alla diffusione dell’art lending
Sul lato dell’offerta, il nostro sistema bancario non sempre dispone, già in pancia, di persone che abbiano spiccate competenze sotto il profilo della valutazione dell’arte. Senza le adeguate competenze, risulta piuttosto difficoltoso convalidare il valore di un’opera d’arte posta a garanzia: si tratterebbe dunque, per le nostre banche, di assumere nuovo personale.
La presenza di collezionisti “adulti” o “senior”, al contempo, agisce come vincolo per lo sviluppo degli istituti di credito: cresciuti in un’epoca e in una società molto differente da quella attuale, i collezionisti di oggi hanno nel tempo affinato le proprie attività di management della collezione.
Ciò vuol dire che raramente si avvalgono di servizi degli istituti di credito.
A sua volta questa condizione impedisce la crescita d’offerta: un mercato più frizzante potrebbe stimolare gli istituti di credito ad assumere personale specializzato e strutturare differenti tipologie di servizi rivolti al mondo dell’arte. Se la gestione delle opere e delle collezioni viene condotta autonomamente dai collezionisti, e, nel frattempo, se si considera che molti collezionisti presentano livelli di reddito e di patrimonio consistenti, non solo c’è poca domanda per il servizio di art lending, ma anche per tutti gli altri servizi ulteriori e potenziali.
Sulla base del nostro scenario, dunque, l’art lending probabilmente trova difficoltà a divenire pratica comune perché richiede che gli istituti di credito siano dotati di strutture in grado di verificare e certificare il valore di una o più opere date a garanzia, condizione che, in termini strutturali, rappresenta un costo che difficilmente può essere allocato su altri servizi, e che difficilmente riuscirebbe a essere “sostenibile”.
“Un mercato più frizzante potrebbe stimolare gli istituti di credito ad assumere personale specializzato e strutturare differenti tipologie di servizi rivolti al mondo dell’arte”
Come favorire l’art lending
Se così fosse, lo sviluppo di questo servizio potrebbe essere agevolato, ad esempio, da un collezionismo giovane, composto anche da persone non ricche, che pur non potendo permettersi l’acquisto di opere a cinque cifre, possa in ogni caso avviare la propria collezione acquistando opere di artisti emergenti o esordienti, il cui costo all’acquisto potrebbe essere alla portata più o meno di tutti. Un collezionismo di questo tipo sarebbe composto dunque da persone che si trovano in condizioni economiche e momenti di vita in cui è più plausibile il ricorso al prestito personale, anche di piccole somme, e che spesso si trova in difficoltà proprio per l’assenza di garanzie da poter fornire agli istituti di credito.
Inoltre, cosa non da poco, un collezionismo di questo tipo potrebbe accelerare il nostro mercato dell’arte contemporanea, soprattutto degli artisti all’inizio della propria carriera, influenzando positivamente la dinamica dei prezzi delle opere.
E infine, se mai fosse necessario ricordarlo, una diffusione del mercato dell’arte esordiente permetterebbe da un lato una maggiore conoscenza dell’arte contemporanea da parte dei cittadini italiani (che, diciamolo, non è che proprio brillino in questo campo) ma, soprattutto, potrebbe anche introdurre all’interno del settore una dinamica opposta, ovvero di avvicinamento dell’arte contemporanea alla società: attraverso quel dialogo noto come incontro tra la domanda e l’offerta, potrebbero infatti emergere artisti (o stili) che meglio rispondano alle esigenze culturali della nostra società.
Sarebbe un risultato affatto trascurabile: un arte contemporanea in grado di parlare alle persone e non necessariamente a coloro che si intendono di arte contemporanea potrebbe creare contaminazioni interessanti.
Basterebbe stimolare gli acquisti da parte di giovani non ancora collezionisti. Ma sono anni che abbiamo smesso anche solo di provarci.
Stefano Monti
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