Colosseo: nuove regole d’ingresso ma vecchi paradigmi del turismo
Per agevolare le visite al Colosseo, il biglietto nominale non basta: servono semmai misure che evitino gli affollamenti e una consapevole gestione di tutto il patrimonio romano
La biglietteria online del Colosseo, il sovraffollamento e il bagarinaggio: se ne è parlato molto, in queste settimane, dopo il servizio de Le Iene andato in onda il 3 ottobre, e ancora contestualmente all’introduzione, a partire dal 18 ottobre, di un biglietto d’ingresso nominale che dovrebbe impedire, o almeno limitare, la compravendita di secondary ticket a prezzi maggiorati. Ciò che è emerso (ma che da molto tempo gli operatori sul campo cercano di segnalare all’opinione pubblica e ai soggetti preposti) è un mercato tossico dominato da webfarm estere intestate a persone fisiche difficilmente rintracciabili e da ticketbot capaci di procedere all’acquisto istantaneo di gran quantità di biglietti non appena questi vengono messi in vendita online, e di fagocitare, così, tutti gli slot disponibili. Questo nonostante l’impiego, dichiarato anche recentemente dalla direttrice generale di CoopCulture Letizia Casuccio, di software anti-bot come Cloudflare che dovrebbero contrastare migliaia di attacchi giornalieri al sito web di una delle più importanti mete turistiche internazionali. Un monumento che tutti, da tutto il mondo e tutto l’anno, vogliono visitare.
Non siamo riusciti a creare un altro simbolo di Roma altrettanto potente, tale da deviare l’interesse, la curiosità o l’abitudinarietà di migliaia di visitatori
Il biglietto nominale come soluzione al bagarinaggio
Il biglietto nominale potrebbe essere una risposta a questo fenomeno al limite della legalità e indagato, infatti, dall’Antitrust; anche Oltretevere, del resto, nello stato estero più piccolo del mondo, si è deciso di introdurre nuovi biglietti nominali per i Musei Vaticani. Però, senza un’ottima organizzazione, il controllo dei documenti ai pochi varchi d’accesso al Colosseo ora disponibili può creare nell’area circostante situazioni di enorme disagio, come il pericoloso ed estenuante affollamento che in questo momento, anche mentre scrivo, si sta verificando intorno e dentro l’anfiteatro. È necessario, inoltre, che soluzioni come questa siano combinate ad altre misure: per esempio una drastica estensione dell’orario di apertura del monumento dal mattino molto presto alla sera (in un clima meteorologico, del resto, sempre più torrido), l’aumento della capienza massima (oggi 3.000 visitatori contemporaneamente) da subordinare alla disposizione di due percorsi separati (con ulteriori entrate distinte sui lati opposti), e l’obbligo di visita a tempo.
Il monopolio turistico del Colosseo
Resta, tuttavia, un’altra questione innominabile, perché troppo complessa e apparentemente teorica: il fatto che questa concentrazione parossistica di aspiranti visitatori del Colosseo rappresenta, dal punto di vista culturale, un fallimento della nostra narrazione della città. Contrariamente a quanto lamentato da quei giornalisti e intellettuali che, periodicamente, se la prendono con le folle dei turisti colpevoli di voler dedicare alla scoperta del nostro Paese tempo, denaro e curiosità, il fatto è che al di là di questo must-see, non siamo riusciti a creare un altro simbolo di Roma altrettanto potente, tale da deviare l’interesse, la curiosità o l’abitudinarietà di migliaia di visitatori. Farlo è compito e opportunità di una varietà di soggetti, tra cui le istituzioni come il Ministero del Turismo, il Ministero della Cultura e l’ENIT, i quali sembrano dedicarsi più alla promozione (con quali risultati, lo mostra senza troppi commenti la lunga e tenace agonia della Venere influencer) che comportarsi come attori politici adatti a elaborare interpretazioni complesse della realtà e trarne propositi e indirizzi sul lungo termine. Senza uno spostamento di prospettiva, pur accogliendo con legittima soddisfazione e sollievo il ritorno del flusso turistico ai livelli precedenti la pandemia, continueremo a fare del turismo una questione di grandi numeri, a misurarne il successo in termini quantitativi, e dunque a dover risolvere problemi di tale ordine. Mentre la soluzione reale si trova, forse, in un altro paradigma d’analisi.
Mariasole Garacci
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