“Invece di sostenere il cinema compriamo TAC per gli ospedali”. Riflessioni sull’uscita di Sangiuliano
Sangiuliano crede che risparmiando sul cinema si potrebbero comprare macchinari medici. Una riflessione sulla necessità di investire su programmazione e controllo delle finanze pubbliche
Sulla polemica suscitata dal Ministro Sangiuliano, sostenendo che con i soldi risparmiati attraverso una riduzione di quelli che, secondo il Ministro, sono degli sprechi in termini di contributi erogati ai sensi del Tax Credit al Cinema, sono stati in tanti ad essersi espressi. Non tutti, va detto, con onestà intellettuale: qualsiasi proposta di taglio genera sempre un malcontento che, soprattutto nella cultura, maschera il proprio interesse personale in un appello generale alla libertà della creatività. Altri però hanno fatto riflessioni più ampie. Più intelligenti. Più oneste. E forse più eleganti.
Tra le varie risposte, quella di un attore che, con una pacata ironia si è scusato perché non era a conoscenza del fatto che fosse la propria categoria a dover garantire l’acquisto delle TAC, apre, in modo anche un po’ involontario, la riflessione ad un argomento ben più ampio, che riguarda la gestione del denaro pubblico nella sua globalità.
La questione dei capitali vincolati
L’argomento potrebbe sembrare molto tecnico, poiché si richiama a ciò che nel lessico economico viene identificato come la definizione di “capitali vincolati”. C’è però un’importante distinzione da fare. Di questo tema è necessariamente tecnica la realizzazione, mentre la concettualizzazione è un’operazione estremamente banale.
Il punto, in sintesi, è questo: fare in modo che ciascuna delle entrate dello Stato venga utilizzata per ripagare, almeno in parte, i costi ad essa associati. È una cosa che, in modo abbastanza istintivo, fa chiunque abbia più di una fonte di entrata. Facciamo un esempio per chiarire. Prendiamo una persona che ha due case. La prima è la sua prima casa, dove vive. La seconda, è un appartamento che ha in affitto. Bene, verrà quasi naturale fare dei calcoli per fare in modo che “i soldi dell’affitto” vengano in parte spesi per le attività di manutenzione di quell’immobile e per le imposte e le tasse che bisognerà riconoscere allo Stato nelle sue varie diramazioni.
Questo piccolo esercizio, questo accorgimento, ha delle implicazioni molto più profonde quando le fonti di entrata non sono due, ma sono tantissime, proprio come nel caso dello Stato. La prima, e forse la più importante, è la piena conoscenza di tutti i costi e di tutti i ricavi che derivano da una determinata attività. Una consapevolezza che permette di definire in modo chiaro e trasparente se un determinato servizio genera per la nostra Amministrazione Pubblica una condizione di pareggio economico o rappresenta, invece, un costo da addebitare all’intera collettività.
La gestione analitica di tutti i costi e di tutti i ricavi derivanti, ad esempio, dall’Istruzione o dalla Sanità, ci permetterebbe di capire quanto ogni anno, in ogni circoscrizione territoriale, lo Stato investe più soldi di quanto quel servizio riesca a generare.
Può risultare una banalità, o anche un elemento per alcuni versi inutile (“tanto comunque quei soldi bisogna spenderli”) o pericoloso sotto il versante politico-territoriale (“il Nord costa di più del Sud”, “il Centro costa più delle Isole”, “la Lombardia più del Piemonte”, “Pisa più di Livorno” e così via), ma la trasparenza, che spaventa sempre chi vede nel rispondere del proprio operato una minaccia più che un’opportunità, permette sempre di assumere delle decisioni più consapevoli.
Il caso della cultura
Prendiamo ad esempio la cultura. Sono in tanti coloro che professano che l’accesso ai musei debba essere gratuito per tutti. L’analisi puntuale dei costi e dei ricavi permetterebbe di dare maggiore peso a queste affermazioni. Permetterebbe, ad esempio, di poter sostenere quanto, per cittadino, bisognerebbe pagare in più di tasse per garantire questa tipologia di servizio.
C’è di più: il calcolo dell’incremento delle imposte e delle tasse potrebbe tenere conto anche soltanto di coloro che, pur conoscendone il costo, si direbbero disposti a sostenerlo. Per coloro che oggi reclamano questa opportunità sarebbe infatti una grande vittoria. E sarebbe, in fondo, un grande passo avanti per la nostra democrazia. Oggi, infatti, il nostro fisco si basa su due grandezze: tutti (chiaramente secondo scaglioni di reddito) o gli utenti (coloro che utilizzano un determinato servizio). Sembra complicatissimo, ma lo si fa in quasi tutti i gruppi. Si prenda ad esempio un gruppo di 10 amici che ogni anno si scambiano dei regali. Per quanto tutti gli anni ciascuno degli amici partecipi alle spese per comprare il regalo per gli altri, ci sono sempre delle relazioni più strette. Gli amici più intimi tra loro, tendono ad affiancare al regalo fatto con tutti gli altri anche un regalo personale.
Inoltre, poter avere informazioni così analitiche permetterebbe a tutti di conoscere, ad esempio, in che modo i propri versamenti all’Erario hanno contribuito al mantenimento della collettività. Ma consentirebbe altresì di conoscere il “costo sociale” di ogni singolo servizio.
Dare un prezzo alla cultura
Bisogna stare molto attenti quando si parla di queste tematiche, perché il rischio è che poi si tenda a voler quantificare tutto, o dare ad ogni cosa un prezzo. È anche vero, però, che abbiamo strumenti e tecnologie tali da consentirci di tradurre, con un buon grado di precisione, alcuni principi sempre validi (più sanità, più cultura, più istruzione, più democrazia) in qualcosa di più tangibile. E, soprattutto, ci permetterebbe di ricordare che non c’è poi questa grande distanza tra lo Stato e il Cittadino. Ricordandoci che, in fondo, la funzione dell’erario è raccogliere i soldini dai cittadini per poter pagare dei servizi che gli stessi cittadini (intesi come collettività) hanno deciso sia giusto siano garantiti a tutti, o che gli stessi cittadini hanno ritenuto più efficace demandare al settore pubblico piuttosto che ad un soggetto privato.
Come gestire il denaro pubblico
Piuttosto che “comprare più TAC”, allora, i soldini risparmiati dalla riduzione di quelli che il Ministro ritiene degli sprechi o delle aberrazioni, potrebbero essere investiti in altro modo, sempre all’interno del settore cinematografico. Ad esempio modificando le erogazioni a pioggia per andare al cinema, ed incrementando invece le erogazioni per chi acquista tessere con più ingressi, favorendo in questo modo un consumo ripetuto.
Magari comprando più TAC riducendo gli sprechi che ci sono nel sistema sanitario, sprechi che, con molta probabilità, emergerebbero in modo evidente nel momento in cui si adottano strumenti di analisi e contabilizzazione più sofisticati degli attuali.
E, soprattutto, mostrando ai cittadini cosa effettivamente hanno permesso di acquistare le proprie tasse. Sarebbero infatti in molti i cittadini che andrebbero a verificare quello che hanno finanziato. E sarebbero in molti, ad esempio, a lamentare di aver finanziato stipendi un po’ troppo alti, o progetti con pochi risultati. Senza scomodare i ponti o le dighe.
Mettere ordine nel sistema pubblico, garantendo che ogni euro guadagnato da uno specifico settore vada a finanziare quel determinato settore, e facendo in modo che le altre voci di entrate per l’Erario possano essere sempre monitorate, sarebbe sicuramente lo strumento più efficace per incrementare il nostro livello di democrazia.
Ma noi chiamiamo innovazione la possibilità di prenotare un appuntamento online con un Ente.
Wow.
Stefano Monti
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