Cosa resta del primo anno di ministero di Gennaro Sangiuliano?
Dal Governo esigiamo soprattutto chiarezza e progettualità, due elementi che, a oltre un anno dall’insediamento, non possiamo dire di aver visto
Dopo più di un anno dal giuramento, ancora facciamo una certa fatica capire quale sia la linea del Governo circa le strategie culturali e lo sviluppo in questo senso del Paese. Non è affatto chiaro. Alcune decisioni sono apparse anche condivisibili, altre hanno rappresentato una continuità sana con la precedente amministrazione, altre ancora una discontinuità a volte opportuna a volte meno. Al di là dei singoli episodi, una lucida identità di scelte non c’è però. Non c’è perché la cultura non è nei primari interessi del Governo? Perché ci sono stati ben altri problemi da affrontare? Perché il ministro non ha particolare voce in capitolo? Tutte le ipotesi sono legittime, ma lo stato di fatto è evidente: la spina dorsale di un progetto-Paese per la cultura manca. Ci sono decisioni sporadiche, singole, a volte giuste a volte sbagliate, ma una visione alta non c’è proprio. E se c’è non passa. (L’unico concetto ricorrente che passa, ad onor del vero, è una passione insistente del Ministro per la sua città: per la prima volta abbiamo un Ministro della Cultura che bizzarramente assolve de facto anche al ruolo di assessore alla cultura di Napoli).
I primi 12 mesi di esecutivo se ne sono andati non a progettare l’Italia del 2030, ma a smontare ciò che faticosamente si era fatto prima
La cultura nel primo anno del Governo Meloni
In attesa di capire cosa il Governo voglia fare, sappiamo tuttavia fin troppo bene cosa il Governo non vuole fare, cosa ostacola, cosa frena, cosa blocca, cosa impedisce di realizzare. I primi 12 mesi di esecutivo se ne sono andati non a progettare l’Italia del 2030 (il primo anno di Governo dovrebbe servire invece proprio a immaginare in prospettiva), ma a smontare ciò che faticosamente si era fatto prima. Soprattutto grazie ad un attivismo talvolta fuori luogo del sottosegretario Vittorio Sgarbi che avrebbe numeri, relazioni, competenza ed esperienza per essere un amministratore di alta caratura e invece continua ad essere ostaggio del suo personaggio. In questi mesi abbiamo capito che il Governo non vuole più direttori stranieri nei suoi musei pubblici (ma i concorsi sono pubblici e aperti a tutti!). Abbiamo appreso che il Museo Nazionale del Digitale, nonostante i finanziamenti già stanziati, non si farà più negli spazi milanesi di Porta Venezia, perché lì sarebbe preferibile realizzare un Museo di Arti Decorative (proprio così!). Abbiamo scoperto che, a differenza di quanto fatto in tutte le altre capitali europee da Londra a Madrid, gli stadi di calcio non possono essere demoliti e ricostruiti per assolvere in maniera più efficiente al loro ruolo ma rischiano di finire sotto vincolo delle Soprintendenze alle Belle Arti. Abbiamo appreso poi che nelle aree archeologiche non si può più mescolare l’arte di millenni fa con l’arte contemporanea. Abbiamo anche imparato che se un curatore e un artista vincono il bando per realizzare il Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia, tutto il concorso può essere messo in discussione ex post perché al Governo non capiscono il progetto. E, a proposito di concorsi, abbiamo realizzato che anche quelli vinti decenni fa non danno alcun titolo e possono essere annullati d’imperio e così, al posto di una loggia sfidante e maestosa, gli Uffizi avranno come secondo ingresso un giardinetto con siepi e alberelli.
L’assenza di un discorso critico sulle operazioni culturali del Governo
“Firenze è sconfitta” ha dichiarato Andrea Maffei, partner di Arata Isozaki e socio nella vittoria del bando della loggia degli Uffizi tanti anni fa. In realtà con questo andazzo ad uscire amaramente sconfitta è l’Italia tutta, non solo Firenze. Sconfitta da un atteggiamento che sulla cultura appare un miscuglio velenoso di populismo infantile e rigurgiti reazionari fuori tempo massimo. Nulla di paragonabile accade nelle altre cancellerie europee, e quando accade viene fortemente criticato da stampa, opinione pubblica e intellettuali. Qui, invece, non si può neppure fare quello giacché alla prima critica dal Governo partono querele e minacce. Ci è capitato proprio qualche tempo fa (ma è capitato addirittura ad una importante trasmissione radiofonica di Radio Rai, se è per questo!) e si tratta di un precedente inedito contro di noi che pure i Governi, i Ministri e i Sottosegretari li abbiamo criticati duramente tutti e sempre. Francamente è inquietante. La situazione ci sembra allarmante, in tutta onestà. Ci sembra però ancor più allarmante essere sostanzialmente gli unici a farlo presente.
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #75
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