Il sindaco Brugnaro attacca il Padiglione Italia: ennesima sgrammaticatura istituzionale
Alberto Fiz scrive una lettera aperta a Luigi Brugnaro, giudicando l’attacco del sindaco di Venezia al Padiglione Italia una mancanza di serietà da condannare. Riceviamo e pubblichiamo
Alla cerimonia inaugurale del Padiglione Italia alla Biennale, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha rotto ogni cerimoniale stroncando l’opera di Massimo Bartolini con scarso fairplay. Il suo intervento è una grave sgrammaticatura istituzionale: non abbiamo bisogno di Gianburrasca, ma di più serietà. Ecco perché.
Lettera aperta al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro
Gentile sindaco Brugnaro,
il suo attacco al Padiglione Italia in occasione della presentazione ufficiale è stata una grave sgrammaticatura istituzionale, una delle tante a cui in questo periodo siamo abituati.
Non che l’intervento di Massimo Bartolini non dovesse essere criticato (credo, anzi, che nelle sedi opportune possa essere commentato con severità). Ma in quel caso non le veniva chiesto un parere personale: andava celebrato un grande evento culturale con risonanza internazionale. Fare i Tafazzi o i guasconi crea solo un senso di sfiducia verso quel made in Italy esaltato a ogni piè sospinto dal governo Meloni. La cultura è una cosa seria, che non può essere presa sottogamba per strappare qualche risata ai tanti che ne fanno oggetto di scherno. Lei, probabilmente, alla presentazione del Festival del Cinema di Venezia non avrebbe stroncato un film italiano in concorso, e invece di fronte all’arte valgono ancora pregiudizi e sorrisini pur di opporsi agli odiati intellettuali o ai professoroni, come li definisce Matteo Salvini.
Del resto, lei prima della presentazione ha schizzato l’acqua contenuta nella vasca centrale come fosse una burla e non un’installazione con i suoi delicati equilibri. “Lo avrebbe fatto un bambino“, ha affermato infastidito. Ma è proprio questa la ragione per cui non andava fatto!
Cadendo nella provocazione di Francesca Pini che l’ha intervistata per il Corriere TV, ha ammesso di essere un Gianburrsaca, quando sarebbe bastato il rispetto istituzionale. Ha perfino detto che “questa roba qua non se la sarebbe portata a casa…”.
E poi, caro Sindaco, eviti la retorica secondo cui l’arte deve piacere a tutti. Non è certo questo il suo scopo. Semmai è aiutarci a comprendere la realtà. Come ha scritto Umberto Eco: “È sempre stata l’arte, per prima, a modificare il nostro modo di pensare, di vedere, di sentire“.
Nel giustificare le sue critiche al Padiglione Italia ha affermato che fa fatica a trovare in quest’installazione la classicità e la storia del figurativo italiano. Lei, che per lungo tempo ha avuto la delega alla cultura, può spiegarci cosa c’entra? Non crede che si tratti dell’ennesimo luogo comune? Sin dal 1947 il movimento Forma 1 – a cui hanno preso parte, tra gli altri, Carla Accardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio e Achille Perilli – ha espresso l’esigenza di sviluppare un’arte segnica e astratta alternativa alla figurazione. E negli anni Sessanta il movimento dell’Arte Povera, tra le più importanti esperienze europee del dopoguerra, ha sconvolto ogni forma di rappresentazione tradizionale.
Forse sarebbe il caso di guardare l’opera di Bartolini senza pregiudizi. E poi, eventualmente, criticarla. Ma nelle sedi opportune.
Alberto Fiz
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