Arte pubblica a Milano. Il problema della scultura della donna che allatta non è il soggetto
“Dal latte materno veniamo” è il titolo della statua in bronzo realizzata da Vera Omodeo, e rifiutata dalla commissione che si occupa di arte pubblica, perché lesiva della sensibilità universale. Ma a nessuno interessa dire che l’arte pubblica si pianifica sulla qualità dell’opera e dell’artista?
Della maternità, Vera Tiberto Omodeo Salé ha fatto un tema ricorrente per le sue sculture. Scomparsa alla soglia dei cent’anni nel 2023, difficilmente avrebbe potuto immaginare la polemica – presto diventata bagarre politica – che negli ultimi giorni sta imperversando su uno dei suoi lavori più cristallini, la statua in bronzo di una donna che allatta, recentemente donata dai suoi figli al Comune di Milano. Dal latte materno veniamo è un’opera che può ascriversi alla serie – iconograficamente antichissima – delle “Madonne del latte”; e nelle storia della scultrice, formatasi all’Accademia di Brera con Francesco Messina e Romano Rui, attinge a una vicenda molto intima, legata appunto alla maternità e allo scampato pericolo di non poter avere figli (ne metterà al mondo sei) in seguito a una grave forma di nefrite.
La statua di donna che allatta di Vera Omodeo
Non è però necessario indagare nell’album dei ricordi dell’artista per ritenere capziosa la valutazione della commissione che a Palazzo Marino si occupa di vagliare le proposte di collocazione di manufatti artistici negli spazi pubblici di Milano. Commissione che ha deciso di respingere l’idea – avanzata dagli eredi di Omodeo a seguito della donazione alla città – di installare la scultura “incriminata” in piazza Eleonora Duse, in quanto portatrice di “valori non condivisi”. Nello specifico, la motivazione del rifiuto risiederebbe nel fatto che l’opera affronta “il tema della maternità con sfumature squisitamente religiose”.
Una decisione che, con la Milano Art Week in partenza, si è rapidamente propagata nei palazzi della politica, sollecitando al contempo l’opinione pubblica, tra imbarazzi, difese d’ufficio, flashmob e pareri illustri. Così al sit-in spontaneo di un gruppo di mamme in allattamento ritrovatesi per protestare contro il rifiuto lo scorso 6 aprile in piazza Duse, ha fatto eco, dagli studi televisivi di Dritto e Rovescio, l’intervento del presidente del Senato Ignazio La Russa, che chiede di esporre la statua a Palazzo Madama, come “inno alla maternità”.
Il rifiuto della commissione arte pubblica di Milano
Mentre i vertici di Palazzo Marino accavallano reazioni scomposte: “Il motivo della bocciatura va chiesto ai commissari che si sono espressi. Io non mi sostituisco a una valutazione che è stata fatta” si difende l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi “Con il sindaco abbiamo visto insieme l’opera, conoscevo la proposta di donazione che mi era stata anticipata. Non mi sembra sia un’opera che possa in qualche modo dare adito a qualcosa di offensivo nei confronti di nessuno. È una maternità, è una figura femminile che allatta. Non c’è sicuramente volontà di offendere o sminuire quella che è una proposta generosa in memoria di un’artista che conosciamo e che valuteremo con grande attenzione”. Il sindaco Beppe Sala, dal canto suo, si è esposto, in un primo momento, pregando la commissione “che non risponde a me, di riesaminare la questione. Il mio giudizio è che non penso che la statua urti nessuna sensibilità, anzi mi sembra un po’ una forzatura sostenere che non risponda a una sensibilità universale”.
E infatti, registrato anche il dissenso dell’assessore regionale alla Cultura Francesca Caruso (“L’immagine della donna che allatta il figlio fa parte della nostra cultura identitaria e non può in alcun modo offendere la sensibilità delle persone. Auspico che il Comune possa fare una giusta valutazione. Regione Lombardia è e sarà sempre aperta a iniziative che valorizzino la cultura e l’arte in ogni sua forma e si rende disponibile, qualora il Comune non trovasse un luogo idoneo, a ospitare l’opera”), Sacchi fa sapere di aver convocato i figli dell’artista, che a propria volta si dicono aperti ad altre proposte.
Dove sarà collocata la statua sulla maternità?
Come quella che il sindaco di Milano sarebbe pronto ad avanzare, dopo aver recepito una suggestione del giornalista Enrico Mentana: “Mi ha scritto Enrico Mentana, milanese vero, proponendomi di collocare la scultura alla Mangiagalli, dove lui è nato, come tanti altri milanesi” spiega Sala a mezzo social “Mi sembra un bella idea, magari collocandola nei giardini che circondano l’ospedale. Sarebbe un gesto oltremodo simbolico, proprio in questo momento storico in cui la denatalità è uno dei problemi principali del nostro Paese. È sarebbe anche un omaggio ai sacrifici, non riconosciuti a dovere, che milioni di donne affrontano ogni giorno per crescerci. E questo sì che è un valore universale. Chiederò quindi alla Commissione di esaminare la mia proposta”.
Una soluzione che a molti milanesi, pronti a commentare la riflessione di Sala, parrebbe però un ripiego: “La statua dev’essere esposta in una piazza pubblica”, sostiene un fronte sempre più numeroso di persone sorprese (e indignate) per la valutazione della commissione che, per prima, aveva suggerito ai figli di Omodeo di destinare la scultura “a un istituto privato, un ospedale o un istituto religioso, all’interno del quale sia maggiormente valorizzato il tema della maternità”.
La rappresentazione delle donne nell’arte pubblica
Le parole di Serena Omodeo Salè, figlia della scultrice – che negli anni Ottanta fu la prima artista donna a realizzare ilportale di una chiesa, quella di Santa Maria della Vittoria, in via De Amicis – sintetizzano meglio di tante rivendicazioni di parte il pensiero comune: “Non ci interessa rinchiudere l’opera. In città ci sono solo due statue dedicate a donne e questa è anche stata realizzata da un’artista donna. Inoltre una donna parzialmente nuda non mi sembra affatto un soggetto religioso”. Al caso si lega, infatti, anche l’annosa questione sull’enorme divario ancora esistente tra le figure maschili e femminili rappresentate nelle statue di Milano (e non solo: Torino ha da poco promosso un’iniziativa a riguardo). E ora c’è chi – la consigliera Pd Angelica Vasile – avanza la proposta di collocare una statua di donna in ogni municipio della città.
Chi era Vera Omodeo
In parallelo, però, corre l’auspicio che il dibattito sull’arte pubblica possa tornare a infiammarsi sulla qualità degli interventi artistici (non sempre all’altezza della situazione) e sulla reale autorevolezza degli autori in base al loro curriculum anziché incartarsi su retoriche e capziose ideologie contemporanee. La chiave di lettura da privilegiare, in questa situazione come ogni qualvolta si discuta di destinare un’opera d’arte a uno spazio pubblico (tanto più se si tratta di un contesto di grande valore urbanistico come piazza Eleonora Duse: “La statua può essere collocata in un luogo pubblico, ma dovrebbe trattarsi di uno spazio raccolto, di dimensioni contenute. Non per ragioni ideologiche, ma per far sì che possa essere esaltata nel contesto che la ospiterà”, ha spiegato l’architetto Giuseppe Marinoni, presidente della Commissione Paesaggio del Comune e membro della commissione di cui sopra, spiegando il rifiuto di piazza Duse), infatti, dovrebbe vertere, innanzitutto sull’autorevolezza del percorso professionale e del contributo al dibattito creativo dell’artista in questione.
Scultrice e ceramista, nata a Milano, Vera Omodeo ha realizzato nel corso della sua carriera soprattutto opere di piccole dimensioni, soggetti femminili in gran parte, in terracotta o bronzo, spesso donate a enti benefici perché venissero vendute all’asta. Il suo lavoro più celebre, come detto, si apprezza non lontano dalle Colonne di San Lorenzo, presso la chiesa rumena ortodossa di Santa Maria della Vittoria, edificio di origine cinquecentesca rimaneggiato nel corso del Novecento. Nel 1980, l’artista fu incaricata di realizzarne il nuovo portale in bronzo, decorato a bassorilievo con sette scene sacre, dall’Annunciazione alla Pentecoste. Negli ultimi anni della sua vita si è dedicata anche al disegno. Una domanda che si dovrebbe porre ancor prima di entrare nel merito del soggetto è: l’autore per la sua storia e il suo percorso ha pieno titolo di avere una sua opera pubblica collocata in uno spazio cittadino?
Livia Montagnoli
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