L’autonomia differenziata delle Regioni è legge. Riflessioni e conseguenze sul patrimonio culturale
Dopo il via libera del Senato la Camera ha approvato il disegno di legge Calderoli sull’autonomia delle Regioni ecco cosa accade nell’ambito dei beni culturali e del paesaggio
Tanto tuonò che piovve: l’Autonomia regionale differenziata è legge. E come per la sanità si espande anche a scuola, ai beni culturali e del paesaggio, al turismo ecc. Una prospettiva volta a favorire una migliore “valorizzazione di tutti i beni e servizi presenti sul territorio regionale”, si dice, e che, per esempio, in materia di patrimonio, vuole rendere più incisiva la separazione tra i principi di tutela, in capo allo Stato, e di valorizzazione, in capo alle Regioni.
Autonomia differenziata delle Regioni. Una rischiosa frammentazione
Questa prospettiva, se da un lato poteva avere in nuce anche dei principi buoni, come facilitare la sussidiarietà gestionale del patrimonio e del paesaggio, ponendo il bene del territorio e delle sue specificità al centro delle future politiche locali (di contro una generalista centralizzazione statale), dall’altro (per com’è stata presentata) pare porre le basi per una rischiosa (ulteriore) frammentazione nell’attività di gestione strategica dei nostri beni comuni. Amplificando, se possibile, differenze geografiche e una già grave polarizzazione di investimenti e interventi territoriali su poche aree del Paese. Ovvero si potrà anteporre al valore nazionale la “necessità di autonomia di sviluppo” secondo un’accezione fortemente localistica, spingendo le politiche regionali in alcuni casi, per esempio, verso una valorizzazione “senza se e senza ma” posta contro altre interpretazioni della materia e sicuramente contro una gestione organica nazionale. Il che significherà doverci confrontare presto con 20 strategie e idee di patrimonio e paesaggio (e del suo uso/abuso), di turismo e accessibilità inevitabilmente molto differenti tra loro, con tutte le storture e i protagonismi del caso.
Autonomia differenziata delle Regioni. L’uso e l’abuso dei luoghi della cultura
Uno scenario che potrebbe portare all’uso e abuso di luoghi della cultura per i motivi più disparati e quasi senza più un controllo. O ancora all’uso e abuso di contratti non uniformati o pratiche di appalto e subappalto nei servizi accessori tanto di musei, quanto di biblioteche o di parchi naturali o di aree archeologiche. Senza contare il dilatarsi (se non il blocco) dei lavori, ordinari in essere e straordinari in divenire, di ministeri e assessorati delle regioni obbligati a dividersi attività e azioni. Un rallentamento che potrebbe protrarsi per mesi nell’attesa della definizione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale) o delle procedure o del coordinamento Stato-Regioni; o ancora per l’inquadramento dei vari passaggi di consegne tra uffici di gradi ed enti diversi, e per le diverse responsabilità (anche sul pregresso) cui i vari funzionari saranno chiamati a esercitare. E tutto questo in un momento in cui la commissione europea annuncia possibili infrazioni a carico del nostro paese per “eccesso di deficit”, e la reattività gestionale, programmatica e progettuale, che dovrebbe essere operativa al 100%, con centinaia di milioni di euro del PNRR da investire e migliaia di gare da fare e valutare, rischia di vedersi bloccata da rimpalli e lungaggini nei processi decisionali, inceppandosi nelle classiche logiche delle bandierine.
Autonomia differenziata delle Regioni. Valorizzazione e tutela del patrimonio culturale
Occorre allora particolare attenzione a tutto questo e andare oltre le semplificazioni spicciole e il mantra del “con i soldi a casa nostra saremo tutti più ricchi”. Che a maneggiare i principi costituzionali cardine dell’unità nazionale che “toccano” il nostro bene comune, serve accortezza; e per quel che riguarda il settore culturale ne occorre ancor di più perché la valorizzazione non può essere considerata sconnessa dalla tutela, o peggio in opposizione, ma come sua finalità ultima: senza valorizzazione la tutela non si compie, riducendosi a mera conservazione. Viceversa, oggi la valorizzazione a tutti i costi, quindi senza un’applicazione organica e regolata da una visione di “paese”, sarebbe un esercizio di sola commercializzazione effimeramente locale dei beni che, se non governata, potrebbe mettere a rischio il patrimonio stesso e la sua sopravvivenza.
Autonomia differenziata delle Regioni. La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi
Tanto più che oggi anche il paesaggio è saldamente parte integrante del patrimonio culturale e dell’eredità-culturale tanto della nazione che delle comunità. Già perché non più di un paio di anni fa la nostra Costituzione è stata modificata propri in questo senso (nel disinteresse quasi generale): la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, nell’interesse delle future generazioni, sono stati aggiunti all’Articolo 9, da sempre un esempio straordinario di lungimiranza e di cura dell’identità nazionale, che connota il nostro paese come un paese di Cultura: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Autonomia differenziata delle Regioni. Conclusioni
Una modifica che fa sì che il paesaggio venga riconosciuto come bene-culturale, frutto di stratificazioni e azioni svolte in modo sostanzialmente dialettico tra uomo e natura. Un elemento costituente la nazione, tanto nella sua propria dimensione storica quanto in quella proiettata al futuro, in cui la sfera emotiva e quella identitaria delle comunità, assieme ai processi di identificazione e senso di appartenenza, assumono una valenza nuova. Non può esser cristallizzato, uniformato, soggetto com’è a incessanti trasformazioni fisiche, giuridiche e dell’economia. È cultura, narrazione, riconoscibilità, ma anche bene e soggetto-oggetto giuridico, e come tale risulta centrale nella definizione e nell’evoluzione sociale identitaria, non solo locale. Una complessità interpretativa che si riverbera non più solo su come il paesaggio stesso viene raccontato (rurale, habitat naturalistico, bene e testimonianza storico-culturale, hub turistico), ma anche su come viene gestito, percepito, apprezzato e solo da lì valorizzato e protetto. Ecco, con l’autonomia regionale tutto questo rischia di venir meno a favore di una sbandierata specificità territoriale di campanile, che ne limiterà portata e rilevanza a “auspicio” o “buon intento”.
Massimiliano Zane
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati