Quando inizieremo a capire che lo spazio pubblico è cultura? 

Le città non possono appartenere alle macchine. Devono tornare a essere spazi di condivisione pubblica, di cultura, di crescita. Ecco alcune buone e cattive pratiche emerse in Italia negli scorsi mesi

Forse dovremmo meglio focalizzare quanto rilevante sia l’utilizzo che facciamo dello spazio pubblico rispetto alle strategie culturali dei territori, delle città, degli enti pubblici e locali.  Il suolo pubblico è l’ultimo grande cespite economico in capo ai Comuni (e in qualche caso allo Stato, pensiamo agli stabilimenti balneari…). E i Comuni, o lo Stato, possono ben decidere se utilizzarlo con una visione, oppure se svenderlo per quieto vivere. 

Mappare le auto in sosta vietata a Milano 

Tre episodi capitati nelle ultime settimane ci potrebbero far riflettere su quanto le strategie sottese allo sfruttamento o alla valorizzazione del suolo pubblico impattino anche sulle scelte culturali, sulla reale e non ipocrita “tutela” dei centri storici, sulle errate abitudini dei cittadini e sulla percezione che abbiamo sul ruolo che lo spazio pubblico deve avere nel nostro essere cittadini. A metà maggio un gruppo di 2000 cittadini è riuscito in una sola serata a contare tutte – tutte! – le autovetture ferme in sosta abusiva nel territorio comunale di Milano. Il numero è risultato gigantesco. Già, ma cosa c’entra il mondo della cultura, dell’arte, della creatività con tutto questo? Moltissimo anche se non ce ne rendiamo conto. Ogni metro quadro di suolo pubblico rubato da attività fuori luogo se non addirittura illegali come la sosta abusiva delle auto è uno spazio sottratto a cultura, creatività, progetto. Sempre. Quanti architetti potrebbero lavorare nello spazio che migliaia di automobili parcheggiate illegalmente occupano? Quanta arte pubblica si potrebbe fare? Quanti designer potrebbero applicarsi al ridisegno di quegli spazi? Quanti urbanisti potrebbero proporre la loro visione se il suolo non venisse derubricato a autorimessa abusiva? Quante di queste auto, infine, si trovano in zone rilevanti dal punto di vista culturale che così risultano illeggibili? Quante davanti alle scuole? Quante a rendere complicato l’accesso a musei e monumenti? Decidere come adoperare lo spazio pubblico è la scelta politica più profonda di una comunità. E in Italia la decisione è sempre figlia di analisi vecchie e superate.  

Il profitto camuffato da cultura 

Ma andiamo oltre e passiamo a Firenze. Mentre scrivo si sta svolgendo a Piazzale Michelangelo una manifestazione dedicata alla pizza. Sfilata di forni, pizzaioli, musica e assaggi. Il suolo pubblico è un cespite economico importante per le amministrazioni comunali, dicevamo sopra. I Comuni possono decidere di far fruttare al meglio il suolo pubblico per poi ricavarne le risorse da reinvestire in asili nido, assistenza agli anziani, manutenzione, cultura. In questo caso il Comune di Firenze ha deciso di concedere un patrocinio utile a scontare all’organizzazione gli oneri di occupazione di suolo pubblico. Il motivo? Pitti Pizza & Friends (la manifestazione si chiama ingannevolmente “Pitti” evocando la storica rassegna dedicata alla moda) avrebbe rilevanza “culturale”. Peccato che di culturale ci fosse davvero poco e che anzi i pizzaioli invitati fossero lungi dall’essere i migliori artigiani della città. Semmai, insomma, una manifestazione diseducativa… Eppure si è deciso di utilizzare (strumentalizzare!) il concetto di cultura per giustificare un inopportuno regalo di suolo pubblico a soggetti privati neppure troppo qualificati. 

Il caso dei dehors 

Passiamo al terzo esempio. Questa volta c’è di mezzo il Governo Meloni e per una volta non in senso negativo. In particolare il Ministro della attività produttive Adolfo Urso. Il quale ha esternato la necessità di stabilizzare i dehors dei bar e ristoranti concessi temporaneamente durante il Covid. “I dehors portano degrado? No, possono anche valorizzare le strade” ha detto Urso. Il Ministro ha ragione e lo dimostrano le politiche di tutti gli altri Paesi occidentali che puntano sempre di più ad una socialità da marciapiede a scapito di un utilizzo antiquato della strada concepita come parcheggio o inospitale distesa d’asfalto. In Italia invece siamo ancora al punto in cui se in una strada ci sono decine di autovetture in sosta illegale e pericolosa vengono tendenzialmente tollerate dalle Polizie Locali, le stesse Polizie Locali che però non si tirano indietro a comminare sanzioni anche di migliaia di euro per qualche centimetro di tavolino fuori posto. Uno strabismo inedito in Occidente. Uno strabismo che governa le scelte delle Soprintendenze che non hanno mai eccepito su strade e piazze storiche tramutate in parcheggi e che invece trovano mille cavilli ogni volta che si deve autorizzare un tavolino all’aperto anche del più rispettoso e qualitativo dei ristoranti. Lo stesso strabismo che ha guidato le reazioni alla proposta del Governo, anche qui strumentalizzando la cultura e urlando allo “stupro dei centri storici a causa dei tavolini“, una sciocchezza che non è stata ripetuta solo dalle solite finte associazioni di difesa dei consumatori, ma pure da alcuni enti locali come addirittura il Comune di Roma. 

Dobbiamo cambiare il modo in cui concepiamo lo spazio pubblico 

Le analisi su questi episodi dovrebbero appoggiare su una concezione dello spazio pubblico radicalmente diversa rispetto a quella dominante. Che sia fortemente connessa alla cultura di una comunità e alla sua identità più profonda. Dobbiamo decidere se iniziare a considerare lo spazio pubblico la terra di tutti oppure se continuare a ritenerlo la terra di nessuno. 

Massimiliano Tonelli 

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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