L’attentato politico: l’immaginario tra arte e letteratura da Lincoln a Trump 

La scena dell’attentato fallito si inserisce in una lunga tradizione anche visiva della storia americana. L’omicidio politico è infatti parte integrante delle vicende che hanno caratterizzato, e guidato, gli Stati Uniti nell’arco di anni

Qualunque cosa si possa pensare di Donald Trump, è innegabile che l’uomo abbia un talento non comune nell’intercettare e nel maneggiare l’immaginario. Poche scene condensano lo Zeitgeist, lo spirito di questo presente, come quella in cui lui con un rivolo di sangue che gli attraversa metà del volto alza il pugno chiuso e grida alla folla “fight! fight!”.  

Si tratta di una visione oggettivamente potentissima, anche al di là se vogliamo delle conseguenze che potrà avere e che avrà sulla campagna elettorale. Anzi, è come se tutta l’esistenza di questo imprenditore/showman/capopopolo, sconclusionata e sopra le righe (consiglio di vedere, in proposito, su Netflix la serie documentaria del 2018 Trump: An America Dream) convergesse verso questo singolo punto dello spazio e del tempo: Butler, 13 luglio 2024. 

L’omicidio politico in America 

Inoltre, la scena dell’attentato fallito si inserisce in una lunga tradizione anche visiva della storia americana. L’omicidio politico è infatti parte integrante delle vicende che hanno caratterizzato, e guidato, gli Stati Uniti nell’arco di anni, dall’assassinio di Abraham Lincoln ad opera dell’attore John Wilkes Booth nel Ford’s Theatre di Washington (14 aprile 1865, venerdì santo) fino all’omicidio di Bobby Kennedy nella sala da ballo dell’Hotel Ambassador a Los Angeles (5 giugno 1968), e all’attentato nei confronti di Ronald Reagan (30 marzo 1981), attraverso le uccisioni di James Garfield (2 luglio 1881) e William McKinley (6 settembre 1901), e gli attentati a Theodore Roosevelt (14 ottobre 1912) e a Gerald Ford (5 settembre 1975). Questi eventi hanno inevitabilmente influenzato gli artisti (pittori, scrittori, registi, musicisti). L’archetipo, in questo senso, è e rimane la morte di John Fitzgerald Kennedy: Dallas, 22 novembre 1963.  

La storia dei Kennedy 

Da quel punto in poi, la Storia è cambiata traumaticamente (così come è avvenuto l’altro giorno, in un senso diverso; Paolo Mieli nel suo editoriale sul “Corriere della Sera” del 15 luglio ha fatto giustamente notare come, se il colpo fosse andato a segno, oggi avremmo probabilmente la guerra civile in America; così come, se in quel 22 novembre Lee Harvey Oswald o chi per lui avesse ferito Kennedy all’orecchio, la storia mondiale degli ultimi sessant’anni sarebbe stata completamente diversa: migliore o peggiore, onestamente non possiamo dirlo). Così, l’icona di Kennedy, presidente tutto sommato non sempre all’altezza della sua immagine splendente, il potere di questa icona, è inscindibile da ciò che avvenne alle 12.30 nella Dealey Plaza, da Jackie che sale sul retro della limousine presidenziale cercando di raccogliere un pezzo di cervello del marito e dal filmato di Abraham Zapruder, fonte inesauribile di speculazioni e complottismi. 

Jacqueline Kennedy e Andy Warhol 

Andy Warhol, come al solito, fu tra i primi in assoluto a catturare l’attimo, con la famosa serie dedicata a Jacqueline, prima e dopo lo spartiacque, felice e piangente (Nine Jackie, 1964). In letteratura J. G. Ballard, nel 1970, dedicò alcuni epocali e scandalosi frammenti de La mostra delle atrocità (Piano per l’assassinio di Jacqueline Kennedy, Amore e napalm: gli USA formato esportazione) a questo nucleo oscuro e pulsante, attraverso la sua scrittura sperimentale; Don De Lillo in Libra (1988) concentra la sua narrazione postmoderna sulla figura di Oswald, mentre James Ellroy con American Tabloid (1995) ne fa la monumentale metafora dell’America.  Al termine degli anni Settanta, invece, Stephen King aveva rielaborato da par suo il tema dell’omicidio politico ne La zona morta (The Dead Zone, 1979), portato sullo schermo nel 1983 da David Cronenberg: Johnny Smith fallisce nell’uccidere il Stillson, di cui aveva visto la pericolosità grazie ai suoi poteri paranormali, ma la foto del candidato che si fa scudo con il bambino assicura che la visione non si avveri. Il Re torna sull’argomento in chiave più ambiziosa e distopica decenni dopo in 11/22/63 (2011), complessa meditazione sul viaggio nel tempo e sul senso della memoria, immaginando che cosa sarebbe accaduto se l’attentato non avesse avuto luogo. 

JFK: da Oliver Stone a Martin Scorsese 

I fatti di Dallas hanno poi ispirato film come JKF (1991) di Oliver Stone, epica, pantagruelica e paranoica ricostruzione dell’ingarbugliata vicenda, Parkland (2013) di Peter Landesman, Jackie (2016) di Pablo Larraìn e The Irishman (2019) di Martin Scorsese. Altri omicidi politici americani sono stati immortalati in Pride (In the Name of Love) e MLK (1984) degli U2, in Malcolm X (1992) di Spike Lee e in Alì (2001) di Michael Mann. Ma il cortocircuito forse più interessante e inquietante riguarda sempre Warhol, il quale fu come tutti sanno quasi ucciso da Valerie Solanas il 3 giugno 1968. Risvegliatosi dal coma nella stanza di ospedale dopo un lunghissimo intervento chirurgico, vide sullo schermo le scene della sparatoria e pensò subito di essere all’altro mondo e di stare guardando alla TV – in pieno stile pop – la sua stessa morte, realizzando solo dopo di stare assistendo alle riprese dell’omicidio di Bobby Kennedy ad opera di Sirhan Sirhan.  

L’attentato a Donald Trump

In questi riflessi, rispecchiamenti e ripetizioni sta il senso segreto di ciò a cui abbiamo assistito l’altro giorno. Il pugno alzato di Trump, e la folla prima terrorizzata e un attimo dopo urlante (USA! USA!), con la morte che aleggia tutto intorno – un povero vigile del fuoco cinquantenne è rimasto ucciso nella sparatoria, così come il giovane attentatore, e altri due spettatori sono stati gravemente feriti – sono così forti anche perché racchiudono una serie di echi profondi che hanno scavato per decenni nell’immaginario collettivo statunitense e occidentale, articolandolo e stratificandolo.  

Christian Caliandro 

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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