È la scarsa conoscenza, non i ritrovamenti archeologici, a rallentare i lavori
Le nuove tecnologie a supporto dell’archeologia hanno sviluppi anche al di là della conoscenza del passato. Prevenire i rinvenimenti archeologici rende possibile predisporre misure necessarie a non rallentare i lavori
È opinione piuttosto diffusa che i rinvenimenti archeologici rappresentino un ostacolo agli avanzamenti dei lavori. Opinione che sicuramente risponde ad una fenomenologia ricorrente, ma non per questo corretta. Tale opinione, infatti, si basa su una consequenzialità validata dalla prassi: si iniziano i lavori, e mentre i lavori sono in corso, in caso di rinvenimento, ciò che era iniziato rallenta.
La tecnologia al servizio dell’archeologia
Questa prassi, che ha guidato l’andamento dei lavori dell’ultimo secolo, può tuttavia oggi essere invertita. Nell’era dell’Intelligenza Artificiale, e dell’evoluzione della tecnica informatica, sono molteplici gli strumenti, vecchi e nuovi, che permettono di anticipare le possibilità che in un dato territorio, e in uno specifico punto, ci possano essere dei rinvenimenti archeologici. Dall’archeologa Iris Kramer, che ha fondato una start-up che utilizza le immagini satellitari della terra e l’Intelligenza artificiale per identificare potenziali rinvenimenti sotterranei, all’esempio di Terna, che ha recentemente istituito un team di archeologia preventiva al solo scopo di identificare, mediante ricerche d’archivio e mediante la geoelettrica e la magnetometria, se le aree interessate da grandi progetti possono presentare tracce del nostro passato.
Archeologia e rallentamento dei lavori
Tali azioni, ad oggi innovative ma che promettono di diffondersi in modo molto rapido, generano, attraverso un’innovazione di “prodotto”, e di conoscenza, una sostanziale innovazione “di processo”, che può invertire completamente la prassi in essere. Ed è a questo punto che la sovversione dei ruoli può essere realmente compresa, perché nei fatti, non è l’archeologia a rallentare i lavori. È piuttosto la scarsa conoscenza archeologica a farlo. Dal punto di vista manageriale, infatti, l’insieme di conoscenze e di tecnologie ad oggi presenti sono in grado di trasformare la minaccia archeologica.
L’archeologia, tra minaccia e rischio
Nel dettaglio, la minaccia è un evento avverso, mentre il rischio è la probabilità che tale evento possa avverarsi, con una stima degli impatti che tale evento potrebbe generare. La differenza, sia concettualmente che operativamente è sostanziale. E l’archeologia è un ottimo esempio per mostrarla. Se un’azienda inizia dei lavori di scavo con ridotte conoscenze su ciò che può emergere dal suolo, il rinvenimento archeologico è di per sé una minaccia. Una minaccia che per tale azienda è una variabile fuori controllo: non si sa se e con quanta probabilità possa avverarsi, con quale intensità, e con quali effetti sull’intera filiera di produzione del valore. Difficile da contabilizzare in fase di budget, e pertanto difficile da ridurre in caso di verifica dell’evento avverso (sia chiaro che il rinvenimento è per la collettività un evento positivo, ma per l’azienda che deve eseguire i lavori è comunque un concreto ostacolo all’avanzamento delle attività).
Come trasformare la minaccia in rischio
Incrementando le conoscenze preventive del territorio, stimando le possibilità che all’interno di un dato perimetro possano essere custoditi nel sottosuolo rinvenimenti storici, nei fatti, si sta trasformando quella minaccia (evento alieno all’attività aziendale), in un rischio. Un rischio può essere stimato, più o meno con precisione. Ad un rischio possono essere associati effetti specifici in termini di importanza del rinvenimento, e quindi in termini di effetti sui lavori, e sulle conseguenti implicazioni di natura operativa ed economica. Una dinamica che può modificare in modo concreto il modo con cui i lavori vengono progettati ed eseguiti. Da questo momento in poi, non sarà più “il rinvenimento” ad aver rallentato i lavori. Se gli studi saranno efficaci, un rinvenimento sarà già stato ipotizzato, e l’azienda avrà già prima di aver avviato gli scavi definito una serie di soluzioni alternative, e pianificato tutte le procedure necessarie.
Quanto è possibile prevenire i rinvenimenti archeologici?
Ciò non significa eliminare del tutto l’aleatorietà. Significa piuttosto che l’intero processo potrà essere più rapido, e meglio gestito. Partendo da queste premesse, la diffusione di soluzioni come quelle proposte da Terna dipende esclusivamente da riflessioni di natura economica e logistica: banalmente, si tratterà di mettere sul piatto della bilancia il costo di un eventuale rinvenimento con il costo di un’analisi preventiva. Quando il costo dell’analisi sarà inferiore al costo associabile al rinvenimento, allora le aziende ricercheranno soluzioni volte a ridurne la possibile manifestazione. Pur nei limiti dell’impossibilità di prevedere il futuro, che speriamo non venga mai violata, è pur vero che il vecchio “pregiudizio” dell’archeologia nemica dello sviluppo è ormai giunto agli sgoccioli. Accusare un rinvenimento di aver rallentato i lavori, in pochi anni, sarà come accusare una piscina d’esser vuota. A tutti sembrerà evidente che all’azienda, così come allo sfortunato tuffatore, sarebbe bastato controllare un po’ meglio il territorio, per evitare un tuffo nel vuoto.
Stefano Monti
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