10 anni di Art Bonus. Intervista all’ex Ministro Dario Franceschini
Un bilancio dopo 10 anni dalla nascita della misura che oggi costituisce il principale strumento di mecenatismo culturale dell’ordinamento italiano. A tirarlo è chi l’ha istituita
A seguito dell’articolo di Artribune che ha tirato le somme di 10 anni di Art Bonus, abbiamo chiesto a Dario Franceschini, ex Ministro dei Beni e delle Attività Culturali che nel 2014 introdusse la misura, le sue impressioni sulla sua efficacia, 10 anni dopo la legge che la istituiva.
Intervista a Dario Franceschini
A dieci anni di distanza, l’Art Bonus si può considerare un successo? I risultati ottenuti finora hanno soddisfatto le aspettative? Sarebbe opportuno introdurre qualche accorgimento?
Dopo dieci anni, l’Art Bonus può essere considerato sicuramente un grande successo nazionale. Ha raccolto un notevole numero di donazioni, circa un miliardo di euro, da parte di oltre 40mila mecenati che hanno permesso il finanziamento di numerosi progetti culturali. Tuttavia, c’è ancora spazio per miglioramenti, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione delle donazioni. Servono campagne di comunicazione e promozione della misura per favorirne la conoscenza anche in quei territori e regioni dove ha avuto meno successo. Bisogna incentivare il più possibile le iniziative dal basso, delle comunità, che anche in forma di crowdfunding sostengono realtà culturali significative per le loro identità. A riguardo, bisogna rendere ancora più semplici queste forme di condivisione.
Un punto di forza e un limite (o più) dell’Art Bonus?
L’Art Bonus ha incentivato le donazioni al patrimonio culturale, creando un meccanismo virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato. Uno dei limiti è la concentrazione delle donazioni su grandi e note realtà culturali, lasciando spesso in ombra le piccole e medie istituzioni. Per superare questo limite, serve un nuovo impulso portando nel pubblico figure professionali dedicate alla raccolta dei fondi e alla gestione dei rapporti con i nuovi mecenati. C’è poi il tema del patrimonio culturale privato. È ora di aprire una discussione in Parlamento su questo tema, verificando cosa è stato realizzato in altri Paesi senza preconcetti, puntando ad arrivare a un’estensione anche in Italia che preservi le donazioni al pubblico e metta dei limiti chiari per evitare abusi.
Come si potrebbe agire per favorire una distribuzione capillare delle donazioni a fronte dell’enorme frammentazione e diffusione del patrimonio culturale sul territorio nazionale?
Per favorire una distribuzione più diffusa delle donazioni, bisogna promuovere la conoscenza di realtà culturali meno note attraverso campagne di comunicazione dedicate. Si dovrebbero creare piattaforme online che mettano in contatto donatori con una vasta gamma di progetti culturali, inclusi quelli meno conosciuti.
Purtroppo, constato che l’attuale governo non sembra puntare molto su questa misura. Sbagliano, dovrebbero promuoverla e crederci di più, non solo per aumentare i fondi per la tutela, ma soprattutto per il suo grande valore educativo. Gli anglosassoni parlano da molto tempo di “Give back”. Anche in Italia dobbiamo favorire questa cultura; è arrivato il momento di restituire. Non vorrei che le resistenze sull’Art Bonus derivino dal fatto che la misura è nata in un’altra stagione politica ed è fortemente legata alla gestione del Ministero della Cultura che porta il mio nome.
Ma più in generale a che punto è il mecenatismo culturale oggi in Italia? Forse siamo ancora indietro rispetto alla possibilità di percepirlo come una forma di arricchimento collettivo?
Il mecenatismo culturale in Italia è in crescita, ma c’è ancora molta strada da fare. La cultura del mecenatismo non è ancora completamente radicata come forma di arricchimento collettivo. Molti italiani non vedono ancora il sostegno alla cultura come un dovere civico e un’opportunità per contribuire al bene comune. È necessario continuare a lavorare sulla sensibilizzazione del pubblico e sulla semplificazione delle procedure per le donazioni, affinché il mecenatismo culturale diventi una pratica diffusa e riconosciuta. Come ho detto più volte quando ero Ministro della Cultura, vorrei che arrivasse il momento in cui un’impresa, soprattutto una grande impresa che esporta nel mondo, si vergogni se non destina una parte dei propri utili al patrimonio culturale del Paese. Mi aspetto che la cultura del “Give back” anglosassone diventi più sentita in Italia: chi interviene in cultura lo deve fare per vocazione morale.
Livia Montagnoli
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