Le politiche del Ministero della Cultura sono ferme agli Anni Sessanta
Il Ministero della Cultura saluta i numeri relativi alle aperture museali di Ferragosto come una scommessa vinta. Forse però dovrebbe pensare a uscire dal XX Secolo e imparare ad assumersi rischi, anche guardando all’esempio del privato
Solo in un Paese in cui per tanto, troppo tempo, il mondo della cultura ha avuto un atteggiamento presuntuoso nei riguardi di visitatori e turisti ci si può realmente meravigliare che tante persone decidano di visitare i monumenti a Ferragosto. Certo, un successo importante, perché non bisogna mai dare per scontato che le persone decidano di dedicare parte delle proprie ferie o dei propri giorni festivi alla cultura. Per quanto importante, tuttavia, la “sorpresa” che viene comunicata è quella di un popolo per cui il 15 agosto non esiste altro dio che la spiaggia al mare, vale a dire il popolo italiano degli Anni Sessanta.
Le aperture museali di Ferragosto
Del tono di fiera rivendicazione che emerge dalle rassegne stampa che nei giorni immediatamente successivi al 15 agosto hanno riempito il web si intuisce anche la sorpresa di un Governo che, in fondo, identifica in questo trend il risultato positivo di una “scommessa”. Quasi sotto i baffi il Ministero volesse dire: “Avete visto? Voi volevate chiudere, e invece, aprendo, sono venute tantissime persone!” Accogliendo con un benvenuto nell’era contemporanea Ministri e Ministeri, quindi, si può anche osare qualche riflessione in più: ora che tutti hanno scoperto che se alcuni musei o luoghi della cultura sono aperti nei giorni di festa le persone tendono a visitarli, si può anche iniziare ad immaginare che se i musei fossero aperti anche in orari non diurni, qualcuno li visiterebbe ugualmente.
Non siamo più negli Anni Sessanta. Il Ministero se ne è reso conto?
Per chi non se ne fosse accorto, infatti, a partire dagli Anni Sessanta in poi, ci sono stati un po’ di cambiamenti nello stile di vita degli italiani. Oggi i negozi aprono anche nel week-end. I centri commerciali accolgono più fedeli delle chiese, e hanno anche orari più estesi. Le persone hanno innalzato il livello di domanda di esperienze culturali e si è assistito ad un’esplosione a dir poco nucleare di offerte di ristorazione e di locali dedicati alla “movida” e alla “mala-movida”, come piace tanto affermare nelle edizioni locali dei quotidiani. Ebbene: a chi ci governa da quasi un secolo di ritardo, varrebbe forse la pena raccontare che quella “noia” che nelle riviste patinate è stata riscoperta come elemento necessario per stimolare la fantasia dei pre-adolescenti troppo spesso lobotomizzati dagli smartphone, in molti casi non solo è presente, ma talvolta è anche alla base di consumi di alcolici che non rientrano nella definizione d’abuso, ma che ci vanno spesso vicino.
Le aperture di musei (e non solo) vanno fatte con criterio
Così come forse varrebbe ben la pena pensare che aprire non solo i musei, ma anche le biblioteche, e gli altri luoghi della cultura potrebbe essere un investimento utile per poter fornire, sul territorio e non sulla carta stampata, un’alternativa interessante al solito locale, con i soliti conoscenti. Un investimento che avrebbe senza ombra di dubbio dei ritorni differenti in termini di tempo: se il Colosseo di notte potrebbe avere anche un pienone, il museo della civiltà contadina probabilmente no. Ma se da sempre si pretende che questi luoghi siano di proprietà pubblica e non privata è anche perché non dovrebbero essere completamente assoggettati alle regole di mercato. Un investimento sociale che creerebbe sicuramente nuovi posti di lavoro (se gestito con logiche contemporanee), e nuove tipologie di abitudini, condizione che potrebbe fare emergere anche nuove tipologie di riflessioni.
Il Ministero deve imparare ad assumersi dei rischi
Ma il settore pubblico vuol vincere facile. Fare numeri. Diramare numeri. Eppure ci sono manager che, in ambito squisitamente privato, hanno il coraggio di andare di fronte agli azionisti e affermare che è necessario talvolta operare in perdita per creare nuove fette di mercato. Si assumono rischi. Di fronte a persone che sono lì soltanto per i ritorni economici. Evidentemente, anche la logica del “mercato”, nell’immaginario di chi ci governa, è rimasta identica a quella di tanti anni fa.
Stefano Monti
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