Trump tra mitologia tolkieniana ed epica hillbilly. Immaginario di una campagna elettorale
Che cosa c’entra Tolkien con il turbocapitalismo contemporaneo? Perché i finanziatori repubblicani, per la maggior parte tycoon dei social, sono così attirati dalle vicende della Terra di Mezzo? Storia di un fraintendimento letterario, tra tecnologia, dinastie e “vacanze dalla democrazia”
La campagna elettorale americana, tra colpi di scena e tragedie sfiorate, offre anche uno spaccato interessante sul tipo di ideologia in costruzione nella politica e nella società di destra americane.
La campagna elettorale negli Stati Uniti
Gianni Riotta su la Repubblica del 17 luglio 2024 ha descritto molto bene il mondo che supporta Donald Trump nella corsa alla Presidenza 2024. Se infatti fino a qualche anno fa i magnati della Silicon Valley erano quasi tutti giovani progressisti in maglietta e sneakers, il nuovo scenario dei finanziatori repubblicani è composto principalmente da tycoon dei social e dell’intelligenza artificiale pericolosamente innamorati del modello oligarchico, definito allegramente “una vacanza dalla democrazia”. Si tratta di personaggi come Peter Thiel, uno dei principali sponsor di Trump e soprattutto di J.D. Vance, lo stesso Elon Musk – che sale agli onori delle cronache un giorno sì e l’altro pure per le sue boutade che tali non sono – e Bill Ackman, il re degli hedge fund che nel tempo libero si sta dedicando ultimamente a comporre niente meno che “una nuova filosofia del XXI Secolo”.
Tolkien e il turbocapitalismo contemporaneo
Non è un caso che pressoché tutti questi ‘semidei’ del turbocapitalismo contemporaneo siano innamorati del Signore degli Anelli – o almeno, della loro personale versione della trilogia di J.R.R. Tolkien. I nomi delle società richiamano costantemente Arda: Mithril Capital – dal metallo elfico, nella lavorazione del quale i massimi esperti sono però i nani – è la società per cui Vance venne assunto come broker nel 2017 da Thiel, il quale finanziò poi il fondo del futuro senatore, fondo intitolato Narya come uno degli anelli del potere; Palantir di Joe Lonsdale, altro elemento di questo cerchio magico, si riferisce alle sfere di cristallo del libro (dette anche Pietre Veggenti o Pietre Vedenti), mentre i droni dei gemelli Winkelvoss si chiamano Anduril, come la spada di Aragorn (significativamente, la traduzione è: Fiamma dell’Occidente)… e così via.
Questa lobby tecnologica e tecnocratica – ignorando bellamente il fatto che gli hobbit, veri protagonisti della saga, siano un popolo pacifico e in fondo pigraccione, molto umile ma all’occorrenza tenace e coraggioso – sono attirati dall’idea di una società governata da sovrani e nobili, da dinastie di esseri privilegiati (umani, elfi, nani): in cui tutti gli altri, ça va sans dire, non sono cittadini ma sudditi. Al centro di tutto, al posto della magia c’è ovviamente la tecnologia, declinata in tutte le possibili versioni contemporanee del controllo (sociale, psicologico, economico, politico, militare, culturale).
Il Signore degli Anelli in un futuro-presente distopico
Ci sarebbe da ridere (e Tolkien magari ne riderebbe…), se non fosse una prospettiva inquietante e dai risvolti ampiamente tragici. Non è del resto la prima volta che Il Signore degli Anelli, uno dei libri di culto per la generazione di sessantottini rockettari e strafatti (Stephen King del resto l’ha raccontato da par suo) viene deviato da un punto di vista di destra: altrove, avevo parlato della storia tutta particolare dell’appropriazione della trilogia da parte della nuova destra italiana negli anni Settanta, a partire dalla prima edizione di Rusconi e dai Campi Hobbit (anche lì, si ignorava il fatto abbastanza palese che la vicenda – composta tra il 1937 e il 1949, e pubblicata tra il 1954 e il 1955 – fosse anche una enorme metafora della seconda guerra mondiale, in cui gli hobbit erano di fatto gli inglesi e Sauron, ovviamente, Hitler…).
La novità però è che questa nuova appropriazione, operata da super-ricchi ipoteticamente colti e raffinati, si salda in maniera abbastanza naturale, anche se apparentemente stravagante, con un’altra narrazione culturale molto potente. Che è quella del solito J.D. Vance il quale, nonostante prima di diventare senatore e candidato alla vicepresidenza fosse broker e titolare di fondi d’investimento, non si perita di esibire le sue credenziali di povero e svantaggiato, figlio di una tossicodipendente e cresciuto dalla nonna che è riuscita a mandarlo a Yale, nel bestseller A Hillbilly Elegy (tradotto abbastanza impropriamente in Italia con Un’elegia americana), divenuto anche nel 2020 un film diretto da Ron Howard.
La mitologia Hillbilly di J.D. Vance
Hillbilly è in effetti termine intraducibile, di origine scozzese (dalla Scozia e dall’Irlanda del Nord proveniva infatti la gran parte degli immigrati originari nelle Tredici Colonie): sta per “buzzurro”, “cafone”, ed è vicino semanticamente a white-trash e redneck: indica cioè quella sottocultura rurale statunitense di bianchi impoveriti, rissosi e rancorosi che costituisce la base elettorale fortissima di Trump e che è stata celebrata negli ultimi anni da grandi scrittori come Kent Haruf e Chris Offutt e da serie televisive bellissime come Ozark e Justified.
Dunque, se narrativamente questo mondo umano e culturale, che era stato raccontato innanzitutto da John Steinbeck, William Faulkner e Erskine Caldwell in chiave di riscossa sociale (del resto, la codificazione definitiva degli hillbilly in termini di categoria sociale e di costume avviene proprio negli anni Trenta) e che i fratelli John e Robert Kennedy erano riusciti a ispirare negli anni Sessanta con la loro visione di progresso e di miglioramento, costituisce un riferimento imprescindibile che anche la sinistra democratica – negli Stati Uniti così come in Italia – dovrebbe finalmente riuscire a intercettare nuovamente (sarebbe anche l’ora, del resto), come esso sia riuscito a fondersi con una mitologia improbabile (condita con riferimenti a René Girard e Leo Strauss) fatta di privilegi dal sapore medievale, droni che funzionano come spade magiche e intelligenza artificiale al servizio esclusivo della ricchezza e dello sfruttamento, rimane un vero mistero.
D’altra parte, si tratta di uno dei fenomeni culturali più vistosi e importanti del 2024, soprattutto per gli impatti e le conseguenze possibili sugli scenari del futuro vicino e lontano: “I democratici credono nel progresso, noi no. Noi sveglieremo la gente dal Truman Show dei media e di Washington, squali famelici. Noi siamo nazionalisti bianchi e non ce ne vergogniamo”, afferma placido Curtis Yarvin, filosofo-blogger molto apprezzato e seguito da Vance.
Christian Caliandro
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