Che fatica difendere lo spazio pubblico a Roma. La battaglia sulla Trinità de’ Monti “francese”

La battaglia romana contro la rivendicazione francese della Scalinata di Trinità de' Monti. Due libri di Pio Pecchiai e Carlo Alberto Ferrari rovesciano le certezze emerse negli scorsi giorni

Nel mondo in cui ci si affanna per essere un’ora avanti e sentirsi moderni al centro impossibile della globalizzazione, c’è sempre qualcuno che invece scava all’indietro nel tempo, per spaccare il minuto e vedergli le carte. In questo senso Roma è un campo perfetto. E alla fine ha ragione se, oggi come ieri, questioni vecchie di secoli riappaiono in maniera carsica.

Sulla scalinata di Trinità dei Monti

La scalinata di Trinità de’ Monti è bene pubblico di Roma dalla sua progettazione e nessun altro ha le carte per rivendicarne la proprietà. Lo giurano e documentano due libri: “La scalinata di Piazza di Spagna” dell’archivista e cultore di cose romane Pio Pecchiai, edito da Palombi nel 1941 e ristampato nel 1989, che ricostruisce la nascita della scalinata sulla salita al colle del Pincio da Campo Marzio. E il libro inchiesta “I viventi diritti dell’Italia a palazzo Farnese, alla scalinata e alla Trinità de’ Monti”, pubblicato nel 1965 da Bestetti e scritto da Carlo Alberto Ferrari, già ingegnere chimico industriale, professore universitario, soldato e partigiano decorato, qui nelle vesti di Ispettore Onorario per i monumenti della Provincia di Roma su incarico del Ministero della Pubblica Istruzione. Il primo: esaustivo, elegante, moderno nella sua fluidità. Il secondo: memoriale poderoso, debordante, allucinato, 409 pagine, 72 illustrazioni indiziarie. Entrambi sono un ripasso di storia cittadina, una difesa accorata dello spazio pubblico, entrambi attingono alla sapienza di catasti, mappe, cartine, registri, archivi, denunce, testamenti, lettere, sentenze, circolari, lapidi, manifesti. 

Perché una scalinata a Piazza di Spagna

La questione è complessa da ricapitolare. Pecchiai e Ferrari rovesciano alcune certezze emerse in questi giorni. La Corte dei conti francese dice: non abbiamo una stima del valore del patrimonio romano, non lo conosciamo con precisione. Il rischio di esproprio per questa ignoranza si sarebbe già materializzato nella scalinata “realizzata con fondi francesi”.Quali? Quelli privati del lascito testamentario di Stefano Gueffier, segretario d’ambasciata, che abitava ai piedi della salita della Trinità. Lascito esiguo, 12 mila scudi destinati ai padri Minimi di Trinità de’ Monti per la costruzione. La scalinata ne costerà 55 mila. Serviranno 4 proroghe papali, oltre 60 anni e 9 papi (1660-1726), per permettere ai Minimi di trovare faticosamente la somma, ricavata grazie un sistema di compravendita e rendite immobiliari delle case romane a ridosso della Trinità. Case oggi scomparse, spesso vendute o ereditate da benefattori italiani, principali sostenitori della chiesa, dove ⅔ di tombe e cappelle sono occupati da famiglie romane. Povero Gueffier, all’inaugurazione nemmeno una menzione sulle lapidi. E neanche una via sullo stradario moderno. 
La scalinata nasce per pubblica comodità per l’accesso al colle del Pincio. È nel segno di Roma: lo dice la donazione “per suo ornamento e pubblica utilità” e gli stessi Minimi, “fabbrica di utilità civica”. L’esigenza già esisteva. A partire dal 1576 per salire al Pincio “il Tribunale delle Strade costruì due vie tortuose che salivano in cima, solo pedonali, si possono vedere nelle piante storiche. In seguito, vennero ombreggiate con degli olmi”. Deve essere stato bellissimo camminarci dentro. Un editto del 1664 chiedeva di non danneggiare gli alberi e non appenderci i panni. “Se non fosse stata pubblica, il Tribunale non avrebbe fatto eseguire i lavori sulla costa pinciana”, cioè il suolo occupato oggi dal complesso della gradinata.

Chiesa della Santiss. Trinità de Monti, Roma
Chiesa della Santiss. Trinità de Monti, Roma

Una piazza privatizzata

Il carattere pubblico della costa del Pincio verso piazza di Spagna riguarda anche la piazza di Trinità de’ Monti. È qui il cuore della battaglia, dicono Pecchiai e Ferrari. Quale battaglia? Quella più ampia da parte dei Minimi (e poi delle Dame del Sacro Cuore fino ai Pii Stabilimenti) per realizzare la privatizzazione di piazza di Trinità de Monti, cioè quel tratto di 320 metri di spazio pubblico registrato dalla planimetria del Nolli e dai dipinti di Vanvitelli che va dall’Obelisco sallustiano fino allo slargo davanti a Villa Medici. Aspirazione su cui poggerebbe poi la rivendicazione francese.
Con l’elargizione del 1494 i Minimi comprano la vigna dei Barbaro, centrale per la loro nuova dimora, ma non acquistano “la costa né il ciglio della piazza antistante la chiesa”. “Nella seconda metà del ‘600 i Minimi possiedono tutti i fabbricati della costa del Pincio verso la bassa contrada”, di qui il nuovo pretesto per rivendicare la proprietà della costa davanti alla chiesa e persino quella non fabbricata né cintata che arriva alla Barcaccia, cioè la futura gradinata. Ma pure qui, ribadisce Pecchiai, ai Minimi non viene riconosciuto il possesso. 

La Piazza nel Novecento

Nel 1567 i Maestri delle Strade aprirono a spese comunali una nuova strada sul ciglio del Pincio che allacciava le vie salienti in entrambi i sensi. Così facendo, dice Pecchiai, i magistrati civici definirono la pubblica proprietà di tutta l’area prospiciente il convento e la chiesa della Trinità, fissando anche i vincoli per utilità pubblica imposti alla proprietà privata, cioè i Minimi, confinante con i luoghi pubblici. 
A carico dei Minimi resta la manutenzione stradale, ne faranno un alibi. La battaglia continua dopo che i Minimi lasciano il posto alle Dame del Sacro Cuore, rilevate infine dall’Istituzione dei Pii Stabilimenti, organo responsabile della gestione dei beni francesi a Roma. Spariscono mecenatismo e attaccamento all’urbe, restano brame di occupazione e possesso. Così la racconta Ferrari, che vive la battaglia in prima persona perché abita nel Villino Giulia confinante con la scalinata, come Gueffier 3 secoli prima.
L’ispettore Ferrari è un attivista. Nel 1962 fa causa presso il tribunale di Roma per negare i diritti di proprietà sulla scalinata vantati dai Pii Stabilimenti. Sulla rivista Capitolium l’amministratore dei Pii assicura di avere i documenti della rivendicazione? Ferrari li chiede ma non ottiene risposta. L’extraterritorialità delle Dame? Già bocciata da Corte di Appello e Corte di Cassazione del 1872. La piazza della Trinità e l’odierno viale? Dominio pubblico, lo dice una relazione dell’Archivio storico di Roma del 1907. Ferrari cerca le prove anche nelle lapidi: quella prefettizia murata di proposito sulla rampa Mignanelli, ex viottolo laterale della Trinità, ne attesterebbe l’antica proprietà civica. La lapide col riferimento al Rione IV davanti a Villa Medici sarebbe stata spostata da ignoti negli anni 20/30 per togliere riferimenti allo spazio pubblico. Mentre “Libera proprietà di Francia” sulla scalinata, sarebbe posticcia, secondo Ferrari, priva di qualsiasi rintracciabile validità giuridica. La sfida di Ferrari era iniziata dall’acquisto di un residuo del giardino della vecchia olmata seicentesca, su cui gravava una servitù di passaggio del palazzo accanto, che sale verso la rampa Mignanelli ma ben visibile ancora oggi dalla scalinata. Concesse libertà di passaggio a patto di mantenere simbolicamente una serra di fiori, a ricordo della proprietà. I Pii Stabilimenti fecero guerra anche alla serra, giustificandosi con la lapide francese. 

La battaglia su Piazza di Spagna

Nel memoriale di Ferrari la battaglia della piazza infuria metro dopo metro. Sponda sinistra. Ferrari sostiene che forzando la mano sulla cartellonistica stradale dei lavori di consolidamento della muraglia del convento, i Pii Stabilimenti facciano credere alla burocrazia di essere proprietari della striscia rettilinea lunga oltre centro metri e larga sei, sovrastante il muro di sostegno lungo la salita di San Sebastianello, di proprietà demaniale. 630 mq abusivamente occupati e affittati. È così che sarebbe nato il mitico Cafè du Jardin, denuncia Ferrari. 
In soccorso della sponda destra arriva inaspettatamente il traffico. “Nel 1962 in nome della extraterritorialità un sedicente incaricato dei francesi vieta al cittadino Mario Castelli di parcheggiare l’automobile”. Castelli si rivolge al magistrato ma il Comune, nel frattempo, concede all’ACI un parcheggio a pettine per 80 vetture sullo stesso tratto. Esulta Ferrari: “1156 mq di suolo pubblico sono salvi”. La battaglia non è ancora finita, ma che fatica provare a difendere Roma. 

Stefano Ciavatta

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Stefano Ciavatta

Stefano Ciavatta

Giornalista. Scrive di gente e cose di Roma. Writer, talk, consulenze, ricerche, storie.

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