Governo Meloni. A livello culturale due anni di calamità
Ormai in Italia la cultura, le grandi mostre pubbliche, i musei nazionali invece di raccontarsi per i loro contenuti sono protagonisti delle trasmissioni di inchiesta di prima serata. Da Report a Le Iene. Un danno di immagine clamoroso
Ci sono dei mezzi disastri – e ci siamo fin troppo abituati – e poi però ci sono i disastri su tutta la linea, le tragedie, le sciagure, le catastrofi. Chiedo aiuto sui sinonimi perché occorrono tutti…
Il fallimentone cui ci riferiamo è la gestione della cultura in questi due anni di Governo Meloni. Non che in altri settori l’esecutivo abbia brillato (anzi, dall’economia alle lobbies, dall’immigrazione alle relazioni internazionali, dalla scuola alla sanità c’è da mettersi le mani nei capelli), ma almeno talvolta ha salvato forma e apparenza. E invece sulla cultura no, sulla cultura si è scelto di sbracare in maniera inaudita, ricorrente e plateale. Gettando nello sconforto ed esponendo a figuracce clamorose un’intera industria che contribuisce ad una quota non secondaria dell’economia del Paese. Figuracce che sono state inanellate all’insegna di cosa poi? Di una lotta all’egemonia culturale della sinistra? Ma di questo passo ci costringeranno di tornare in ginocchio dalla sinistra affinché si riprenda la sua presunta egemonia. Intanto gli scandali, gli errori, l’amichettismo, la cialtronaggine, la prepotenza degli amministratori sul mondo della cultura sono diventati protagonisti delle trasmissioni d’inchiesta giornalistica come Report e Le Iene.
Cultura: due anni da vergognarsi
Ma ricostruiamo cosa è successo in questi due anni di vergogna. In principio fu Vittorio Sgarbi. Vi ricordate? Già la goffaggine di indicarlo come sottosegretario, già la spericolatezza di coprirne gli eccessi quando andava in giro per convegni e conferenze proferendo parolacce, volgarità, turpiloquio e dichiarazione sessiste, già l’imbarazzante siparietto dei suoi rapporti conflittuali col ministro e infine le dimissioni dopo inquietanti accuse circa appropriazioni indebite e fraudolente di antichi dipinti.
E Gennaro Sangiuliano? Un anno di fila a predisporre iniziative quasi esclusivamente per Napoli e per la Campania mica per il bene della città, no, ma più probabilmente per prepararsi nella maniera più scomposta possibile a correre alle elezioni da governatore di quella regione. Nel tempo libero clamoroso gaffeur e perfetto sparring partner di Geppi Cucciari. Ma le gaffes almeno fanno ridere, alcune decisioni però fanno piangere; soprattutto fa piangere la propensione, il modello operativo, l’approccio: togliersi dai piedi gente competente e sostituirla con amici. Spesso incompetenti, ancor più spesso impresentabili. Il tutto è per fortuna terminato grazie ad un post Instagram dell’amante del ministro, Maria Rosaria Boccia, che girava per il ministero come consulente fantasma. Ci siamo liberati così di Sangiuliano ma ci si è accumulata sul groppone un’altra figura di palta di cui hanno parlato i giornali di mezza Europa e di cui magari parleranno ancora visto che la trasmissione Le Iene hanno scoperchiato un altro caso relativo ad un preziosissimo regalo – una chiave d’oro – che Sangiuliano ha ricevuto dal Comune di Pompei e non ha restituito al Ministero come regolamento impone e come pure aveva dichiarato falsamente di aver fatto.
Dopo i mesi patetici di Sangiuliano ecco Giuli
Sangiuliano è poi stato sostituito da Alessandro Giuli al quale è stato fatto subito capire quale fosse il contesto: sei un ministro tecnico, sì, ma devi fare come dice la politica. Appena Giuli ha iniziato a formare il suo staff circondandosi di persone di fiducia (e nella fattispecie, per una volta, in gamba come Francesco Spano) apriti cielo: il partito della premier gli ha sguinzagliato i cani facendo sbranare i suoi collaboratori. Colpevoli di cosa? Di essere omosessuali, o meglio “pederasti” per usare il linguaggio di alti esponenti di Fratelli d’Italia. Forse è opportuno ribadirlo per sottolinearne la gravità: in Italia siamo rapidamente arrivati al punto in cui ci si deve dimettere da incarichi pubblichi se si è omosessuali perché ad alcuni esponenti dei partiti populisti di governo l’omosessualità non è gradita. Peggio che nella Russia di Putin o nell’Ungheria di Orban. E intanto siamo col Ministero della Cultura senza Capo di Gabinetto, con le attività arenate.
Non solo arte: il disastro della Rai
In parallelo a tutto questo il Governo in soli due anni è riuscito a demolire credibilità, risultati, capacità di coinvolgimento del pubblico della Rai. Che è comunque la più grande e strutturata azienda culturale del paese. Devastata sul profilo degli ascolti, disertata dai suoi migliori talenti che hanno riparato con eccellenti risultati nelle emittenti concorrenti e imbottita di personaggi superati, fallimentari, qualche volta imbarazzanti e sicuramente inadeguati. Vincitori di un programma per il solo merito di essere amici di chi governa. Pino Insegno è un caso di scuola, ma ce ne sono a mezze dozzine. Vuoi far lavorare in tutti i modi i tuoi amichetti, presidente Meloni? Fallo, per carità. Tutto sommato così fan tutti. Ma almeno costruisciti prima una cerchia di amici in gamba, no?
La situazione incresciosa alla Galleria Nazionale di Roma
Ma continuiamo la collezione. Grida vendetta quello che è successo alla Galleria Nazionale di Roma, uno dei musei più prestigiosi della Nazione che da mesi è sulla graticola e la cui autorevolezza si sta sbriciolando. Forse per scaltrezza di Giuli ai tempi in cui era presidente del Maxxi, tutte le porcherie sono state dribblate da Via Guido Reni e sono finite in Viale delle Belle Arti. E così la Galleria Nazionale si è trovata a tramutarsi in raggelante location per iniziative politiche, oltretutto di scarsa caratura come la presentazione di un libro di Italo Bocchino o la festa del quotidiano Il Tempo (uscendo dalla quale il dirigente Rai Orsini dava dell’infame al giornalista Formigli) . L’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere ospitato in un museo nazionale. I dipendenti del museo indignati che hanno protestato durante queste assurde manifestazioni sono stati minacciati da alcuni squadristi. Altri dipendenti, colpevoli di aver scritto una lettera alla direttrice, sono stati da quest’ultima segnalati con nome e cognome al Ministero inaugurando una stagione di intimidazioni.
Futurismo a Roma. Una mostra-scandalo che andrebbe annullata
Non paghi di aver squalificato l’immagine della Galleria Nazionale con queste iniziative, l’hanno resa anche teatro della mostra più assurda del decennio sulla quale Report è tornato con un lunghissimo servizio: quella sul Futurismo che inaugurerà a dicembre 2024. Non abbiamo spazio qui per ripetere qui la sfilza di anomalie che hanno reso patetica questa rassegna ancor prima di inaugurare anche perché ne abbiamo parlato già molte volte su Artribune. L’unico auspicio qui è che l’inaugurazione della mostra venga per il momento congelata rendendosi conto che non vi sono le condizioni serene per realizzare un evento che è una sequela di atrocità organizzative e curatoriali invece che un’esposizione di opere.
Ci sarebbero un tot di altri episodi, passaggi sconclusionati, nomine inaccettabili da menzionare per completare il quadro su 24 mesi di fallimenti, ma lo spazio è terminato. Non è questione di parte politica, beninteso: è pieno di nazioni, regioni, grandi città dove governa la destra e dove la cultura è tenuta assolutamente in debita considerazione. Ma qui non si tratta di destra, si tratta di populismo, ignoranza, cialtronaggine, prepotenza. Un mix micidiale. Restano a causa di tutto ciò due anni di dannosissima figura meschina a livello mondiale. E chissà i prossimi due… Con un settore della cultura che sembra così rassegnato da non aver manco voglia di contare i danni.
Massimiliano Tonelli
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