Se non avete capito il discorso del ministro Alessandro Giuli studiate di più 

Supercazzola del ministro o mediocrità degli eletti, e degli italiani, che non comprendono un testo con subordinate più lungo di una riga? In campo politico, se si vuole criticare, la prima strategia è armarsi. Di buone letture…

Ha fatto tanto scalpore mediatico – e prodotto una valanga di battute, meme e risate – il discorso del neoministro della cultura Alessandro Giuli pronunciato nel corso dell’audizione alle Commissioni Cultura della Camera e del Senato. Si tratta di una relazione lunga e articolata in cui il ministro delinea i campi d’azione del suo mandato: una vera e propria prolusione per far conoscere le sue strategie e la sua linea politica. Potremmo dire il suo “manifesto”, per usare una parola e un concetto del lessico novecentesco, ormai démodé, ma che di certo è nei pensieri dello stesso Giuli.  

Alessandro Giuli: la parte contestata 

La parte più “teoretica”, e contestata, del suo intervento si apre analizzando la velocità spiazzante con cui il cambiamento agisce nel nostro tempo. “Il movimento delle cose è così vorticoso, improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni, che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone delle ultime generazioni ha cominciato a mutare con esso”, spiega Giuli. Che poi prosegue mettendo una di seguito all’altra una serie di parole poco usate, ma non per questo incomprensibili: “Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo che rimuove i pericoli dell’ipertecnologicizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro”. Si può non essere d’accordo interamente, ma lo scenario tratteggiato dal ministro appare ragionevolmente sensato, anche se con un lessico e dei concetti non propriamente popolari. Ma avrebbe dovuto esserlo Giuli? A tutti i costi? 

La supercazzola degli ignoranti e gli errori del ministro Giuli 

La polemica è stata lanciata da alcuni deputati che hanno trovato incomprensibili alcuni dei passaggi, ed è difficile non credere loro, visto il livello mediocre, e talvolta vergognoso, di molti degli eletti a Camera e Senato. D’altra parte, è giusto però considerare che il ministro ha commesso due errori. Il primo è stato sopravvalutare gli uditori confondendo la Commissione Cultura con un’aula universitaria o una conferenza. Il secondo invece riguarda l’assenza di incisività, sia per la lettura veloce e noiosa, che per le scarse capacità oratorie ed empatiche, tanto necessarie più si mira in alto. Gli uditori non hanno così atteso molto a evocare la supercazzola di Ugo Tognazzi nel noto film Amici miei, con il risultato di spostare l’attenzione e le critiche più sul linguaggio che – come sarebbe stato auspicabile per le controparti politiche – sui contenuti politici. Anche se, a dirla tutta, il linguaggio è per eccellenza uno strumento politico. Che va saputo usare. 

Alessandro Giuli: le parole sono importanti. E si possono rubare 

Giuli, come molti esponenti della sua area politica, è ossessionato dal desiderio di cambiare la storia politica e culturale del nostro paese strappandola alla sinistra. Il ministro stesso ha parlato più volte del progetto di capovolgere l’egemonia della sinistra proponendo valori differenti e opposti, che possono essere ricondotti agilmente a una matrice identitaria e post-fascista. Una delle più evidenti strategie messe in atto è stata quella di appropriarsi dei miti altrui, che si è attuata attraverso una rilettura spavalda e manipolatoria delle fonti dell’avversario politico e, spesso, impossessandosi del suo pantheon di riferimento: la battaglia di Giuli e delle destre, dunque, verrà combattuta ambiziosamente rubando gli dèi dai templi degli avversari. Non per niente nel suo discorso il Giuli ha citato, per dirne solo alcuni, figure come Adriano Olivetti, Pier Paolo Pasolini o Antonio Gramsci, che ha indicato spesso come uno degli intellettuali di riferimento. E naturalmente, in questa battaglia appropriativa, il ministro non poteva ignorare il linguaggio colto con cui l’intelligencija di sinistra si esprime, al costo di risultare impopolare dimenticando la tagliente osservazione che lo stesso Gramsci, un secolo fa, annotava: “l’intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano”. Tale aspetto ci indica, però, che è forse proprio il mondo intellettuale e di sinistra quello a cui Giuli mirava col suo discorso, e a cui voleva comunicare, forse inconsapevolmente, di sentirsi allo stesso livello. Perché evidentemente – non solo per i tanti Michele Apicella, ma anche per un ministro con un’aquila romana tatuata sul petto – “le parole sono importanti”. 

Alessandro Giuli: la classe dirigente al bar 

Ho trovato del tutto fuori luogo la critica per la presunta incomprensibilità del discorso del ministro che è provenuta da svariati parlamentari, ossia membri di quella che siamo soliti considerare la classe dirigente del nostro paese. Politici che solitamente si vantano senza ritegno, quasi fosse un loro merito, che l’Italia è la nazione con il maggior numero di beni che sono patrimonio dell’umanità tutelati dall’Unesco, il paese in cui è stata inventata l’opera o che è stato la culla del Rinascimento. Mi chiedo il livello di comprensione di tali persone e che letture abbiano. Su cosa ragionano e si misurano? Di cosa si dovrebbe parlare, infatti, nelle Commissioni Cultura delle nostre Camere? Con che linguaggio? È quel consesso il bar in cui si prende il cappuccino alla mattina, facendo due chiacchiere a caso, o una sede istituzionale in cui si immaginano al massimo livello le strategie culturali del nostro paese?  

Le critiche ad Alessandro Giuli 

Inutile dire che ho trovato poi risibili le critiche che provengono coloro che si occupano di cultura, in primis artisti, curatori e giornalisti che parlano in angloitaliano o scrivono in artecontemporaneese stretto. Ma anche quelle dei giornalisti sedicenti popolari (spesso populisti) che hanno perso l’occasione di occuparsi d’altro e non si sono accorti che, per esempio, la parola “apocalittismo” l’aveva usata Norberto Bobbio – un altro mito della sinistra saccheggiato – in un dialogo con Goffredo Fofi già nel 1989, come segnalato Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca. Per non parlare di chi critica e basta, e magari non ha capito Giuli semplicemente perché non è più abituato a leggere frasi più lunghe di una riga. Se dovete criticare il ministro – e ben venga – fatelo per le sue politiche. Mentre, se non riuscite a capirlo, consiglio vivamente di ricominciare a leggere e di spendere meno tempo su Tik Tok. 

Daniele Capra 

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Daniele Capra

Daniele Capra

Daniele Capra (1976) è curatore indipendente e militante, e giornalista. Ha curato oltre cento mostre in Italia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio, Austria, Croazia, Albania, Germania e Israele. Ha collaborato con istituzioni quali Villa Manin a Codroipo, Reggia di Caserta, CAMeC…

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