Caos sulle concessioni museali. Posizioni giuridiche e prospettive per una (migliore) gestione

Torniamo a parlare del delicato sistema delle concessioni dei servizi museali aggiuntivi e, in particolare, delle biglietterie, dopo che quelle della Galleria dell’Accademia di Firenze e dei Musei del Bargello sono state scorporate

Il tema delle concessioni delle biglietterie e dei servizi aggiuntivi nei musei statali continua ad essere molto dibattuto. Questa volta, al centro dell’attenzione, è finita la cessazione dei servizi di biglietteria in proroga della Galleria dell’Accademia di Firenzee dei Musei del Bargello disposta dal Ministero della Cultura. A sospendere in via cautelare l’efficacia dell’atto disposto dal Ministero è stato il Tar Toscana, il quale ha ritenuto che lo “scorporo del solo servizio di biglietteria dal rapporto concessorio possa compromettere, in tutto o in parte, i servizi accessori di valorizzazione attualmente gestiti in forma integrata (art. 117 D. Lgs. 42/2004), con conseguente pregiudizio dell’interesse pubblico alla pienezza dell’offerta culturale in un sito di fondamentale importanza quale è quello oggetto del ricorso”.
La questione, che investe le modalità di valorizzazione dei beni culturali, suscita almeno due considerazioni, una di tipo giuridico che qui è possibile solo accennare, e una relativa alla prospettiva delle politiche pubbliche nella gestione del patrimonio culturale italiano.
La disciplina relativa alle concessioni dei servizi aggiuntivi, ora servizi per il pubblico, è stata introdotta dalla Legge Ronchey (Legge n. 4 del 1993), recepita e rivista nell’articolo 112 del testo unico di cui al d.lgs. 490 del 1999 ed è stata poi riorganizzata nel codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs 42/2004) il cui testo è stato oggetto di diversi interventi correttivi.

Concessioni museali: cosa dice il Codice dei beni culturali

Sul piano giuridico il Codice prevede la possibilità che i servizi culturali (il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e prodotti editoriali,  la gestione dei punti vendita e l’utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni, i servizi di accoglienza, di guida e assistenza didattica, i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba, l’organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, ecc.) possano essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, vigilanza e di biglietteria. Sorprende che la giurisprudenza entri nel merito delle scelte gestionali di un Istituto censurando la scelta di separare l’attività di bigliettazione, che in molti istituti è stata internalizzata, dalle attività di valorizzazione.
È utile qui richiamare il contenuto della Circolare n. 49/2009 del Segretariato Generale del Ministero recanti le linee guida in materia di affidamento in concessione dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico negli Istituti della cultura statali: “l’attivazione della “gestione integrata” dei servizi di valorizzazione costituisce per gli uffici del Ministero l’esito, certamente auspicato dalla normativa, di una valutazione discrezionale e non un obbligo. Prevedere il contrario significherebbe in sostanza vincolare l’amministrazione ad adottare progetti gestionali inefficienti e inefficaci, anche (in taluni casi) palesemente diseconomici, sottoponendola, inoltre, alle scelte delle imprese, privandola della possibilità di valutare opzioni alternative e della stessa capacità di stimolare il confronto concorrenziale e la crescita qualitativa nel settore”. Posizione questa che non necessita di ulteriori commenti.

Musei del Bargello, Firenze. Photo Fabiana Privitera
Musei del Bargello, Firenze. Photo Fabiana Privitera

La giurisprudenza delle concessioni museali

Giova ricordare infine, tra le notevoli censure in sede giurisprudenziale e di prassi, che l’Anac nella delibera n. 629 dell’8/09/2021, assunta nell’ambito dell’istruttoria sulle concessioni dei servizi museali, in ordine al prolungamento sine die dei contratti in essere in molti istituti del Ministero, concluse che il prolungato affidamento in gestione dei servizi non fosse “coerente ai principi del diritto euro-unitario in materia di contratti pubblici, trasposti nella legislazione nazionale come evolutasi nel tempo, e in particolare alle disposizioni in materia di rinnovo e proroga dei contratti in essere”.
Infine è opportuno segnalare che giurisprudenza costante ha rilevato che l’affidamento dei servizi aggiuntivi di assistenza agli utenti costituisce una figura di concessione di servizio pubblico, mentre l’esternalizzazione dei servizi strumentali dà luogo ad un appalto di servizi. Talvolta, come indicato dall’art. 117, comma 3, del Codice dei beni culturali è possibile che si realizzi la concessione integrata, ma tale ipotesi rappresenta solo una mera possibilità, poiché la concessione è propria dei soli servizi aggiuntivi.  Sicché questi ultimi, in caso di uso di tale strumento giuridico, che costituisce una modalità di gestione finalizzata alla valorizzazione indiretta, non possono divenire in alcun caso né formalmente, né sostanzialmente accessori (in termini Cons. Stato, V , 7 Dicembre 2017, n. 5773 e Cons. Stato, V 27 Ottobre 2020 n. 6549).

La valorizzazione del patrimonio non passa solo dalla bigliettazione

Fin qui gli accenni alle considerazioni giuridiche. Considerazioni ben più importanti restano quelle relative alle politiche pubbliche di valorizzazione dei beni culturali che non possono certo essere confinate alla gestione della bigliettazione, che pure tanto spazio, sorprendentemente, occupa ancora nel dibattito pubblico. A distanza di trenta anni dalla legge Ronchey è di tutta evidenza che quel paradigma che aveva ispirato il primo tentativo di modernizzazione dei servizi culturali debba essere oggi profondamente revisionato. In un mondo attraversato da trasformazioni sociali, economiche e culturali così profonde, immaginare che le politiche di gestione dei beni culturali e il coinvolgimento dei privati debba essere ancorato ad una formula, quella della gestione integrata dei servizi di bigliettazione con i servizi di valorizzazione, che ha finito peraltro con il deprimere proprio quest’ultimi, appare quanto meno antistorico.

Museo del Bargello. Photo via Wikipedia
Musei del Bargello. Photo via Wikipedia

Valorizzare significa prestare attenzione ai temi sociali del presente

Le politiche pubbliche di gestione dei beni culturali non possono oggi prescindere innanzitutto dalla complessità e dalla ricchezza del mondo dell’imprenditoria culturale e creativa, che questo sì che necessita di essere coinvolta nei processi di gestione del nostro patrimonio culturale a tutti i livelli: dall’arte contemporanea, ai centri culturali indipendenti, allo spettacolo dal vivo, al design, all’innovazione tecnologica. Così come non è possibile ignorare i processi di innovazione sociale scaturiti dall’esigenza di includere, in una prospettiva nuova, inclusiva, moderna le comunità e le contraddizioni sociali e culturali che le attraversano. La povertà educativa, la globalizzazione, il cambiamento climatico, le questioni di genere, le discriminazioni sociali, l’accessibilità, il digital divide, sono le sfide che oggi si presentano nell’ambito delle politiche pubbliche nei luoghi della cultura.

I benefici della collaborazione pubblico-privato

Nuove forme di collaborazione pubblico-privato hanno necessità di imporsi per rispondere alle sfide che gli istituti hanno di fronte.
La crescente diffusione di modelli organizzativi e gestionali volti ad utilizzare in una nuova prospettiva le capacità e le energie del settore privato nonché le recenti discipline introdotte nel nostro ordinamento come la sussidiarietà orizzontale, la Convenzione di Faro, le norme innovative del codice dei contratti pubblici, la concessione dei marchi, la valorizzazione economica, sono un segnale incoraggiante che necessita di essere perseguito con convinzione.
I partenariati speciali pubblico-privati che in tanti istituti stanno prendendo forma, così come gli strumenti dell’azione sussidiaria, corrispondono oggi alla necessità di perseguire in modo efficace gli obiettivi dell’azione pubblica e di fronteggiare la riduzione progressiva delle risorse finanziarie disponibili per la cura e la valorizzazione del patrimonio culturale.
Parafrasando Lorenzo Casini, il patrimonio culturale è la nostra eredità del futuro, non disperdiamola.

Marco D’Isanto

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Marco D'Isanto

Marco D'Isanto

Marco D’Isanto, è consulente di istituzioni culturali, enti del terzo settore e imprese culturali. Laureato in Economia all’università Federico II di Napoli, è dottore commercialista in Napoli con Master in Management Pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Parthenope di…

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