Meno del 10%. Occorre forse nuovamente ripensare le biblioteche 

Su una collettività di 100 abitanti, soltanto 10 frequentano la biblioteca. Perché e come aumentare l’utenza di questo importante servizio?

Negli ultimi anni, il settore bibliotecario, investito dalle grandi trasformazioni della nostra società, ed in particolar modo dall’avvento dei contenuti digitali, ha sviluppato una importante riflessione sul proprio ruolo e sulle proprie caratteristiche. Importanti segnali sono arrivati dalle biblioteche più innovative, che hanno avuto il coraggio di mettersi in discussione e trovare una linea di intervento che riuscisse ad inquadrare una delle più importanti istituzioni culturali della storia all’interno della società contemporanea. Sono emersi tantissimi progetti e sviluppate molteplici riflessioni, come quella che vuole la biblioteca come istituzione volta a garantire l’accessibilità culturale, e non solo la propria custodia. 

Chi sono gli utenti delle biblioteche 

A fronte di tale fermento culturale, però, la raccolta di dati Minicifre della Cultura restituisce una condizione tutt’altro che ottimistica: secondo l’Istat, infatti, gli utenti di biblioteche si attestano a 5,7 milioni di cittadini. Meno del 10% dell’intera popolazione. 

Si tratta di un dato che deve far riflettere, e deve far riflettere in primo luogo le istituzioni (Comuni, Sistemi bibliotecari): inutile affrontare tale evidenza assumendo un atteggiamento arrogante, e delegando quindi il mancato successo delle biblioteche a politiche culturali inefficaci, a mancanza di fondi, o ad un disinteresse da parte dei cittadini. Molto più utile, e costruttivo, è invece una riflessione volta a comprendere come incrementare tali utenti, considerando anche la capillarità che l’ente biblioteca ha nel nostro Paese (sempre secondo le Minicifre, le biblioteche aperte al pubblico sono 8.131. 

Proviamo dunque ad affrontare con ordine la questione. 

La volontà politica di istituire una biblioteca riflette l’idea che il sapere e il sentire umano, che da sempre viene codificato e trascritto nei libri, richieda vada tutelato e custodito. Si tratta di una scelta politica che comporta un costo, costo che si riflette necessariamente sui conti pubblici e che quindi viene legittimamente sostenuto dalla collettività. 

La volontà politica di rendere una biblioteca aperta al pubblico, riflette l’idea che tale sapere e sentire umano vada reso accessibile alle persone, al di là della propria capacità economica. Ciò riflette, a propria volta, il credo che sia utile, se non necessario, fare in modo che i cittadini possano avere accesso alla conoscenza, per migliorare la loro qualità della vita e per migliorare la collettività nella sua interezza. Un’ambizione, in pratica, che giustifica anche i costi di apertura al pubblico delle biblioteche. I cittadini, in altri termini, pagano più tasse per garantire a chi ne avverta l’esigenza, la possibilità di accedere, gratuitamente, ad un insieme molto eterogeneo di saperi e di conoscenza. 

I costi del settore bibliotecario 

Ciò significa, quindi, che è compito di chi apre o gestisce una biblioteca fare in modo che i costi (gran parte dei quali sostenuti dalla collettività), siano concepiti come investimenti utili. In altri termini, è compito di chi gestisce le biblioteche fare in modo che tali biblioteche vengano apprezzate dalla cittadinanza e vengano, di conseguenza, frequentate. 

Se ciò non accade, allora le strade da percorrere sono sostanzialmente due: l’intera struttura si pone come obiettivo quello di incrementare le visite, gli utenti, i prestiti (o i download digitali), anche costituendo servizi innovativi, non solo dal punto di vista tecnologico, ma culturale, oppure si può ridurre la spesa verso le biblioteche, mantenendo soltanto quelle che riescono a garantire una concreta fruizione, e destinare ad altre attività le risorse mal spese dalle biblioteche italiane. 

È chiaro che la diffusione delle biblioteche rappresenti un caposaldo della nostra cultura; è chiaro che mantenere le biblioteche aperte al pubblico rappresenta un’importante opportunità per la cittadinanza; è altrettanto ovvio che chi si occupa di cultura ambisca ad una fruizione sempre più estesa delle biblioteche.  

È però altrettanto chiaro che su una collettività di 100 abitanti, soltanto 10 vanno in biblioteca. E questo non può essere un risultato sufficiente. 

Come implementare il pubblico delle biblioteche 

Atteso dunque che le biblioteche non si occupano soltanto di custodia e conservazione di libri (altrimenti non avrebbe senso tenerle aperte al pubblico), diviene quindi necessario comprendere come fare in modo che le biblioteche possano raggiungere un sempre maggior numero di utenti, e divenire un luogo abituale per tutti i cittadini, e non solo per gli studenti di ogni ordine e grado, dall’asilo alla ricerca. 

Una linea, piuttosto diffusa, è l’estensione dei servizi: in biblioteca ci si va per le funzioni storicamente attribuite a questa tipologia di istituzione, ma anche per fruire di ulteriori contenuti, siano esse mostre temporanee, videogames, o accedere a banche dati digitali. Un’altra linea, meno perseguita, è la creazione di “nuovi servizi”: in questo senso, quindi, la biblioteca può sviluppare servizi al cittadino che permettano di generare dei benefici concreti e palpabili per la cittadinanza. Organizzare visite turistiche. Corsi di formazione specifica. Creare contest contenutistici, sviluppare servizi al cittadino che esulino l’oggetto e il concetto di libro. Altra ancora è sviluppare i servizi bibliotecari all’interno di centri polifunzionali, con l’obiettivo di creare dei “poli culturali” che attraggano i cittadini in modo del tutto simile a quanto osservabile con i centri commerciali.  

La sfida della scarsa utenza nelle biblioteche 

Tali sviluppi, è chiaro, non sono riscontrabili in tutte le città, né in tutte le biblioteche: a fronte di biblioteche che puntano molto sull’intelligenza artificiale ci sono biblioteche che non dispongono di un sistema di consultazione digitale; a fronte di biblioteche realizzate anche dal punto di vista estetico sul modello delle biblioteche del nord-Europa, ci sono ancora biblioteche in cui l’utente sente di varcare una dimensione a lui aliena, che divide il mondo tra Lettori e Non Lettori, e che, chiaramente, quello è un mondo di Lettori al quale è naturale si senta alieno. 

La comunicazione nel settore bibliotecario 

Al di là di tali differenze, tuttavia, è necessario che il nostro sistema bibliotecario affronti nuovamente la sfida della scarsa utenza. Ed è necessario lo faccia con una logica sempre più aperta alle innovazioni, tenendo il passo con la moltitudine di agenti (economici e non economici) che competono per l’attenzione e il tempo dei cittadini. 

Volendo ricorrere ad un linguaggio più emotivo, l’Italia ha bisogno di biblioteche che si battano per l’attenzione dei cittadini, adottando, se necessario, le stesse tecniche di comunicazione, promozione e marketing che adottano altre organizzazioni. Dall’apertura di centri pop-up nelle stazioni, alla creazione di servizi al cittadino che favoriscano l’afflusso anche di non lettori; dall’imposizione, per legge urbanistica, di aperture di spazi di lettura come elemento di miglioramento necessario per aprire nuovi centri commerciali, o nuovi supermercati. La creazione di spazi caffè in collaborazione con biblioteche, l’adozione di sistemi di logistica che consentano alle biblioteche di consegnare a domicilio come avviene con tutti gli altri prodotti editoriali. Una gestione attiva degli spazi bibliotecari, con sale co-working, o con sale riunioni da poter fornire a pagamento alle start-up o alle organizzazioni del terzo settore. La gestione misurata di tutti i servizi, con un’analisi della soddisfazione dell’utenza e della non-utenza per comprendere quali siano i principali punti di criticità. 

Il modello di biblioteca che può vincere in un Paese che ha un’elevatissima soglia di analfabetismo funzionale, un bassissimo livello di consumi culturali, in una società sempre più assuefatta al consumo parossistico di contenuti digitali, è una biblioteca organizzata, gestita e immaginata proprio per coloro che non leggono. 

Perché sono quelle donne e quegli uomini che dichiarano di aver letto meno di un libro nel corso dell’ultimo anno i beneficiari reali delle biblioteche. 

Chi ama leggere, leggerebbe anche senza. 

Stefano Monti 

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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