Partenza con polemiche per Agrigento Capitale della Cultura. E anche il programma non convince
Lunghe attese, mistero sui contenuti, comunicazione assente e finalmente la presentazione del programma a Roma. Agrigento Capitale 2025 parte con qualche malumore e tanta buona volontà. Ma si poteva fare decisamente di più. E intanto si punta alla riapertura di importanti siti cittadini
Dovevano esserci anche il Ministro della Cultura Alessandro Giuli e il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani alla conferenza stampa del 14 gennaio, a Roma, attesissima ouverture dell’anno aureo di Agrigento Capitale italiana della Cultura. E invece no. A poche ore dall’evento la notizia correva di bocca in bocca, di giornale in giornale: un doppio forfait dovuto ufficialmente a improrogabili impegni istituzionali, ma il sospetto che si trattasse di un segnale severo, di una presa di distanza, anche solo di una simbolica ammonizione, c’è stato eccome. L’atmosfera, da mesi, è tutt’altro che distesa.
Aspettando Agrigento Capitale 2025
A risuonare sono ancora le parole pronunciate nei giorni scorsi da Pietrangelo Buttafuoco, brillante intellettuale vicino al centrodestra, neo Presidente della Fondazione Biennale di Venezia (a cui ha già regalato due ottime, coraggiose nomine, con Caterina Barbieri Direttrice artistica del settore Musica e Koyo Kouoh Direttrice del settore Arti Visive): “Avevo un’idea ben precisa, che fosse l’occasione delle occasioni. Credo che ci siano tutti i presupposti affinché da Roma, quindi dal comando centrale, si abbia la consapevolezza di impugnare il tutto, anche a costo di essere sgarbati nei modi, perché non si può perdere questa occasione”. In sostanza una richiesta di commissariamento, per quella che potrebbe trasformarsi nella solita “formula aritmetica che porta “piccioli””, ovvero soldi a palate da distribuire, in assenza di una progettualità adeguata.
Parole pesanti, almeno quanto il silenzio dei due convitati di pietra, Giuli e Schifani, mentre in sottofondo monta l’amaro brusio imbevuto di polemiche, ironia, diffidenza, delusione: dagli errori ortografici sui nuovi cartelli stradali ANAS, contagiati da un impertinente eco dialettale (“Contrata Caos” e “Valle di templi”), alle infiltrazioni d’acqua che hanno accolto la performance della Toscanini Jazz Orchestra al Teatro Pirandello, pochi giorni prima dell’arrivo del Presidente Mattarella, che proprio lì saluterà l’avvio ufficiale di Agrigento Capitale, il prossimo 18 gennaio.
E questo, in fondo, è solo colore. A pesare, durante un lungo anno e mezzo di silenziosa preparazione – che avrebbe potuto dare vita a una narrazione progressiva, a una strategia di avvicinamento – sono stati le tempistiche dilatate, il vuoto di notizie, l’assenza di un programma di comunicazione, con la sensazione che la Fondazione “Agrigento 2025”, costituitasi (con gravissimo ritardo) per organizzare e promuovere l’evento, fosse il solito carrozzone burocratico, motore di una giostra che piazza incarichi e capitali, ma che sul piano concreto e intellettuale non ce la fa. Sensazione diffusa, nell’ovvia speranza che – al netto delle lentezze, dei piccoli incidenti e di qualche gaffe – saranno i fatti a smentire.
Il concept per Agrigento Capitale
E subito prima dei fatti, però, c’è la teoria. Ovvero la linea scientifica e curatoriale, la cornice narrativa: quello che ha convinto la commissione chiamata ad assegnare l’ambito titolo nel marzo del 2023. Una suggestione semplice, persino banale, ma che funziona sul piano della comunicazione e che consente un’ampia gamma di declinazioni: si tratta dei quattro elementi naturali o “radici” – aria, acqua, terra, fuoco – individuati dal filosofo presocratico Empedocle di Agrigento (V sec. a. C.) come fondamento della sua cosmogonia, mescolati o separati sulla base dell’influsso che due forze superiori, l’Amore e l’Odio, esercitano sull’Universo. Lo schema empedocleo diventa spunto visivo e concettuale, per un programma che ruota intorno al tema della natura, tra conflitto e armonia, giungendo al valore della differenza, delle connessioni, dell’accoglienza, della molteplicità, del rapporto tra il sé e l’altro. Queste le parole chiave di un evento che nel corso di 12 mesi punta a generare processi inclusivi, orientati alla partecipazione dei cittadini, alla restituzione di spazi urbani e culturali, alla creazione di relazioni tra persone e istituzioni, al potenziamento della forza attrattiva del territorio.
La campagna di comunicazione di Agrigento Capitale
Fondamentale, in tal senso, il ruolo della comunicazione, fin qui quasi assente. A intestarsi l’incarico, con un ritardo inspiegabile, è la società Qubit, che a Roma ha illustrato il nuovo brand: l’iconica A di Agrigento, prima lettera dell’alfabeto e simbolo universale del principio delle cose, scandita attraverso 4 colori e 4 pattern essenziali, corrispondenti ai 4 elementi di Empedocle. Tanto semplice quanto graficamente efficace, certamente migliore del pasticciato logo della candidatura, che ripartiva l’effige del chiacchierato Telamone in 4 improbabili blocchi decorativi. Poco strategico, in ogni caso, utilizzare due loghi e tirar fuori quello definitivo a manifestazione iniziata.
A incarnare i valori del progetto è una campagna di manifesti, elaborata solo a fine dicembre intorno sull’idea di una cultura che non respinge ma accoglie. Concept non originale ma suggestivo: gli antichi simulacri antiche spezzano il loro silenzio marmoreo ed entrano in contatto con le persone. Peccato che la realizzazione lasci a desiderare: immagini ottenute con l’intelligenza artificiale, risolte nella macchietta di abbracci retorici e di statue posticce, contro sfondi da cartolina. Lo sguardo di un artista, di un grande fotografo, di un autore che risolvesse il tema in una chiave estetica interessante, avrebbe fatto la differenza. Intanto, languono i canali social: il profilo Instagram di Agrigento 2025, ad esempio, è fermo a soli 5 post, più o meno gli stessi che animano la scarna pagina Facebook.
Il programma di Agrigento Capitale della Cultura
L’attesissimo programma, pubblicato il 14 gennaio, svela tutti gli appuntamenti distribuiti fra i 12 mesi di celebrazioni. Mostre, residenze, proiezioni, ma anche momenti dedicati al food e alla tradizione locale, come le esperienze enogastronomiche nel Giardino della Kolymbethra o come il tradizionale Festival del Mandorlo e quello del Folklore. Fortissimo ilsostegno della Regione siciliana. Una messa a disposizione totale, con risorse pari a 4 milioni per il 2024 e a 3 milioni per il 2025, garantendo altresì piena collaborazione attraverso le strutture regionali che operano sul territorio agrigentino (musei, parchi, soprintendenze). Peccato che, a sfogliare la ricca scaletta, la sensazione è quella di trovarsi dinanzi a un evento tutt’altro che straordinario. Fatte salve le buone intenzioni e le energie spese, il tutto sembra ridursi a una programmazione di medio livello, senza picchi, senza presenze autorevoli, senza progettualità ambiziose e innovative, con molti dejà vu e poche novità entusiasmanti.
E allora stupisce – vista la natura del territorio – la carenza di riflessioni sui temi dell’antico, della classicità, del reperto e del frammento, di proposte espositive originali e scientificamente articolate in ambito archeologico puro, ma anche – ad eccezione di una performance dello scenografo e costumista Simone Valsecchi – orientate all’affascinante dialogo tra l’antico e il contemporaneo (vengono in mente opere di autori diversi e importanti come Elisa Sighicelli, Francesco Jodice, Paolo Gioli, Candida Hoefer, Frencesco Vezzoli, Masbedo, Giulio Paolini, Kiki Smith, giusto per citarne alcuni a caldo).
E in tema di arte e fede era proprio necessaria una mostra sulla festa di San Calogero o sulla Patrona dell’Arma dei Carabinieri? E perché riproporre la mostra presentata un anno fa dall’Arcidiocesi di Agrigento, sui 9 fotografi siciliani che raccontano la settimana pasquale?
Antichità in mostra
Mostra di punta, a proposito di archeologica, è quella allestita al Museo archeologico Pietro Griffo, “Da Girgenti a Monaco, da Monaco ad Agrigento con i vasi della collezione Panitteri”. Piccola ma preziosa, si configura come un unico prestito, un focus su 10 dei 47 vasi, tra crateri e anfore a figure nere o rosse, di produzione attica, venduti nel 1824 al principe Ludwig I di Baviera da don Giuseppe Panitteri, alto prelato della curia di Agrigento. Gli oggetti, parte della collezione permanente dello Staatliche Antikensammlungen di Monaco, riproducono scene epiche e mitologiche, come quelle di Aiace che trasporta il corpo senza vita di Achille, o di Odisseo che fugge dal Ciclope, o ancora le gesta delle amazzoni o i poeti Alceo e Saffo che intonano i loro versi.
Un ritorno in Sicilia, dunque, che però non avviene dopo 2 secoli, come vorrebbe la comunicazione ufficiale. Gli anni, per dovere di cronaca, sono 37: nel 1988 veniva infatti inaugurata a Villa Genuardi la mostra internazionale “Veder greco, le necropoli di Agrigento”, accompagnata da un importante convegno, operazione straordinaria che metteva in dialogo materiali emersi dai nuovi scavi con un gran numero di storici vasi provenienti da quei siti, finiti nelle collezioni di prestigiose istituzioni straniere (in città come Berlino, Cambridge, Los Angeles, New York, Francoforte, Karlsruhe, Lisbona, Londra, Parigi). Un’ampia selezione dalla collezione Panitteri (poco meno di una trentina di elementi) venne esposta in quell’occasione.
Sarà invece un percorso tra documenti e reperti di archeologia medievale la mostra “Agrigento e i Chiaramonte tra potere, magnificenza e devozione”, allestita nell’ex convento di S. Spirito, un omaggio alla nobile famiglia, tra le maggiori espressioni del feudalesimo siciliano, a cui si deve tra l’altro l’edificazione di importanti palazzi ed edifici religiosi nell’agrigentino.
Il contemporaneo di Agrigento Capitale
Un salto nel Secolo breve con “Il ’900 delle Fondazioni. Da Giorgio De Chirico a Lucio Fontana”, mostra con un impianto semplice e un numero ridotto di opere, per imbastire un viaggio della storia dell’arte e nei principali movimenti artistici europei, attraverso un massimo sforzo di sintesi. Una specie di mostra-bignami, con autori fondamentali come Pellizza da Volpedo, Depero, Morandi, de Chirico, Guttuso, Vedova, Fontana, Accardi. Nella sede di Villa Aurea si concentranocosì 25 opere di 22 artisti, provenienti dalle 20 regioni d’Italia, messe a disposizione da fondazioni bancarie e culturali.
Quanto al contemporaneo più stretto, delude l’assenza di progettualità davvero importanti e di grandi nomi internazionali, ma anche dei migliori artisti siciliani delle ultime generazioni che avrebbero meritato spazio.
Quanto sarebbe stato intelligente immaginare ad esempio una retrospettiva di Rosa Barba, artista e filmmaker nata ad Agrigento nel 1972 e cresciuta in Germania? Celebrata dai musei di tutto il mondo, nel 2024 presente al MoMa di New York e alla Kunsthalle di Amburgo, presente con una personale all’Hangar Bicocca di Milano nel 2017, sarebbe stata la migliore guest star in quest’anno agrigentino, con una sicura risonanza oltreconfine. E perché non rendere omaggio a un maestro del calibro di Richard Long, ripartendo magari dalla famosa opera-pellegrinaggio del 1997, che lo vide spostarsi a piedi da Palermo fino ad Agrigento?
Oppure perché non celebrare il pittore franco-russo Nicolas de Staël, protagonista nel 2023 di una mostra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris? Le sue tele dei primi anni ‘50, frutto di un lungo soggiorno ad Agrigento, sono veri distillati di poesia, tra cieli imbevuti di luce nera, architetture fantasma, infiniti orizzonti di colore puro. Condurli nei luoghi che le ispirarono sarebbe stata una rara occasione di valorizzazione.
Di buon livello comunque la proposta artistica in programma, tra residenze e progetti site-specific di taglio socio-politico e sensibilità per il paesaggio: da Rafael Y. Herman e Tanja Boukal, entrambi concentratisi su Lampedusa, alla nota illustratrice Daniela Vetro, con una graphic novel dedicata ad Agrigento; dalla catanese Maria Domenica Rapicavoli alla romana Marina Sagona, residenti a New York, protagoniste del progetto “Sponde” sul tema dell’identità territoriale e delle migrazioni; e ancora il curatore Shourideh Molavi della Columbia University, con un programma dedicato alla Palestina, o l’artista-designer Edoardo Malagigi, con un’opera pubblica sul tema dei migranti, un monumentale Pinocchio in plastica riciclata e una scultura ispirata alle colonne del Tempio della Concordia, realizzata con cartoni riciclati di tetrapak. Non poteva mancare il solito Banksy acchiappa-pubblico, con opere provenienti dalla Banksy Modeste Collection, raccolta itinerante messa su da un collezionista.
Musica e teatro per Agrigento Capitale
Anche nella sezione teatro sono assenti compagnie internazionali di rilievo, progetti d’avanguardia, realtà della scena sperimentale più autorevole, tra performance, danza, new media, musica, drammaturgie nuove: bastava dare un’occhiata al catalogo delle varie edizioni del Roma Europa Festival per trarre ispirazione e magari puntare su un progetto nuovo di zecca, assegnato a un’eccellenza. E invece il programma si riempie di spettacoli riciclati, come quelli di Ambra Angiolini, Rocco Papaleo, Nency Brilli o come la popolare scenografia di Savatteri, “Il Risveglio degli dei”, già visto la scorso estate proprio nella Vale dei Templi, oltre agli omaggi a Franco e Ciccio, a testi della tradizione siciliana e al Festival Pirandelliano che era parte della stagione 2024-2025 del teatro Luigi Pirandello.
L’unica produzione presentata come novità internazionale è una versione attuale dell’Otello, per la regia di Giorgio Pasotti, con la star di “Mare fuori” Giacomo Giorgio. Per la musica, tra un concerto di Allevi e un tributo a Morricone, i concertisti del Klangforum Wien si misurano con brani selezionati tramite una Call for Scores dedicata all’area del Mediterraneo, poi con l’evento sonoro diffuso Urban Interaction e con un live immersivo dedicato al Simposio di Platone.
Gli spazi di Agrigento (forse) recuperati
Quanto all’impegno per recuperare spazi chiusi e dimenticati, l’input generato dalla vittoria di Agrigento pare abbia favorito improvvise accelerazioni e virtuose collaborazioni tra istituzioni, al fine di raggiungere in tempo traguardi ormai sbiaditi. C’è un anno di tempo per verificare se il miracolo sarà compiuto.
Un caso a sé è quello dell’ex Museo civico di piazza Pirandello, precipitato nelle sabbie mobili della peggiore inettitudine amministrativa, da circa cinquant’anni chiuso per esigenze di ristrutturazione: inaugurato nel 1927, vide trasferire nel ’69 le sue importanti collezioni di reperti (emersi dagli scavi nella Valle dei Templi) nel nuovo Museo archeologico nazionale di Agrigento, intitolato a Pietro Griffo. L’importante Pinacoteca, che annovera anche splendidi quadri di Lojacono e Giambecchina, venne successivamente spostata in altre sedi per avviare un processo di riqualificazione e riallestimento: processo ancora incompiuto, nell’inaudito groviglio di ritardi amministrativi, sciatterie, variazioni continue ed errori di progettazione, sprechi finanziari, cambi di poltrone, scarichi di responsabilità interventi sbagliati o incompleti. L’ultimo capitolo si è aperto nel 2018, con un cantiere che sulla carta si sarebbe dovuto chiudere entro un anno.
Annunciato anche il termine dei lavori di restauro e adeguamento che dal 2021 interessano l’ex settecentesco Collegio dei Padri Filippini, da allora inaccessibile, proprio là dove sono conservate le opere della Pinacoteca del Museo civico: destinato a diventare Museo multimediale della Città di Agrigento, consentirà di immergersi in una storia millenaria, che va dalla fondazione di Akragas ai nostri giorni. La Pinacoteca, in teoria, dovrebbe tornare invece nel rinnovato Museo di piazza Pirandello, ma è ancora tutto da capire.
Altra restituzione annunciata quella di Palazzo Tomasi, che diventerà sede della Fondazione Agrigento 2025 e hub culturale, in un centro storico a cui dedicare attenzione in vista di una rigenerazione, e infine quella dell’ex Monastero e Carcere di San Vito, struttura religiosa quattrocentesca, nel 1864 ceduta dai francescani al Governo Italiano e trasformata in penitenziario. Nel novembre 1996 i detenuti furono trasferiti nella moderna casa circondariale e lo spazio – nei secoli sottoposto ad alterazioni plurime – è rimasto chiuso, in stato di abbandono. I lavori di restauro in questi 20 anni sono stati più volte annunciati, avviati e gestiti a singhiozzo.
Agrigento, dopo il 2025
Ma cosa resterà al termine del fortunato anno agrigentino? Domanda di rito, che in casi come questo preoccupa cittadini e istituzioni: oltre le luci dello spettacolo e le celebrazioni, i poderosi investimenti cambieranno qualcosa sul territorio, nell’immediato e in prospettiva? L’ambizione sacrosanta è quella di sommare benefici concreti a ritorni immateriali, sul piano della consapevolezza e delle crescita collettiva, ma anche su quello della comunicazione e del posizionamento internazionale: forte di un patrimonio culturale antichissimo, dai fasti della Magna Grecia fino alle eccellenze di grandi scrittori contemporanei, l’immagine di Agrigento e della sua provincia prova oggi a cercare un riscatto, un’affermazione nuova, un potere evocativo che superi il sentimento di sfiducia, il peso dell’atavica cappa mafiosa, la percezione di una marginalità e un immobilismo inestirpabili.
Roberto Albergoni, direttore della Fondazione Agrigento 2025, già a capo dell’edizione palermitana di Manifesta, è fiducioso: “La valutazione d’impatto è sempre molto parziale. Dati su esperienze precedenti, anche su Palermo, erano di un moltiplicatore di 1 a 5, tra investimento effettuato e ritorno economico diretto. Ma quanto vale dopo tre anni dalla chiusura di un progetto come Agrigento Capitale incontrare dei giovani che ti dicano “sono tornato per tutto quello che è accaduto”? Quanto vale che le persone tornino nella propria città o che si possano riappacificare con la propria città, pur continuando a vivere fuori? I risultati certo saranno visibili: la riapertura degli spazi, alcune strade migliorate, nuovi giardini, nuove opere pubbliche, ma tutto questo, se non è legato a dei processi che riguardino la dimensione dei cittadini, resta qualcosa di effimero”.
L’evocata “costruzione di cittadinanza” resta chiave strategica, alla base di una prospettiva profondamente e autenticamente culturale. Le energie e le risorse messe in campo potranno allora essere carburante per il compimento di necessarie opere di riqualificazione; ma tenere alto il livello della ricerca e dei contenuti è un compito diverso e difficile, dinanzi a cui la Sicilia, pur tra belle eccezioni, continua a fare fatica.
Helga Marsala
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