18App, Carta Cultura Giovani, Carta del Merito? Qualche riflessione critica

Le nuove misure adottate dal Governo per l’erogazione del bonus cultura ai giovani destano polemiche e criticità; perché, al di là delle questioni concettuali, è in gioco il ruolo dello Stato come partner stabile negli investimenti di settore

Non sono mancate in questi giorni critiche, più o meno dirette, alle nuove misure adottate per l’erogazione di quello che per anni è stato il Bonus Cultura 18 App. Pur trattandosi di un tema noto, può essere utile farne un breve riepilogo. Nel 2016 lo Stato decide di incentivare i consumi culturali erogando a tutti coloro che compiono 18 anni un bonus fisso, pari a 500,00 € da spendere in beni e servizi culturali. La misura, chiaramente, riscuote immediata popolarità, trattandosi di una somma ingente per un ragazzo di quell’età. Presto però si rendono necessari dei correttivi, a causa di comportamenti poco edificanti da parte di alcuni beneficiari che, pur apprezzando il bonus non ne condividono le limitazioni al consumo, preferendo destinare quell’importo a spese non culturali.

Bonus cultura: le nuove misure del Governo

Nel corso del tempo si applicano dunque dei correttivi al bonus che arginano ma non eliminano completamente le distorsioni (condizione su cui dovremmo porci delle serie domande); fino ad arrivare al nuovo Governo Meloni, che tra le prime azioni propone e sviluppa delle modifiche sostanziali della misura. La carta 18App cede il passo a due distinte misure: la Carta della Cultura Giovani e la Carta del Merito. La prima che sostanzialmente pone un limite massimo di reddito ISEE per l’ottenimento della Carta della Cultura. La seconda, l’istituzione della Carta del Merito destinata a coloro che si diplomano con il massimo dei voti (o con lode) entro un certo limite di età (19 anni). In aggiunta a tali variazioni, il Governo ha previsto di far fronte alla riduzione della platea, effetto diretto del limite massimo di ISEE, rendendo le due carte cumulabili, e consentendo così ai ragazzi con il maggior rendimento scolastico di raggiungere quota 1.000 €.
Scelte politiche di equità? Scelte dettate dalla volontà di ridurre gli effetti sul bilancio? Necessità di intervenire per mostrare un nuovo cambio di paradigma all’interno della presunta egemonia culturale di sinistra (cavallo di battaglia per lunghi mesi dell’attuale esecutivo)? Volontà di modificare una misura popolare per poter godere di maggiore visibilità? Forse nessuna di queste motivazioni, o forse tutte insieme, non importa.

Il calo dei consumi del Bonus Cultura

Negli ultimi giorni sono stati pubblicati i risultati raggiunti dalla misura, per la prima volta al banco di prova dopo l’introduzione delle modifiche. Così Il Sole24Ore: “Il nuovo bonus cultura, che ha sostituito il precedente 18App, ha deluso le aspettative con una riduzione dei beneficiari e una diminuzione degli introiti nel settore culturale. Le nuove carte basate su criteri economici e di merito hanno complicato l’accesso dei giovani alla cultura, portando a una situazione di insoddisfazione e richieste di revisione della misura”.
Al centro delle polemiche, soprattutto, il calo di beneficiari e il calo dei consumi, che sono stati in ogni caso significativi. Le prime stime tendono a evidenziare tali aspetti: a fronte dei circa 458mila beneficiari dell’anno precedente, si stima che i beneficiari di quest’anno siano al massimo 118mila. Mentre, sul lato delle risorse, risultano essere stati spesi 108 milioni a fronte dei 190 milioni accantonati per la misura.

Bonus Cultura

Le considerazioni sulle nuove modalità di erogazione del Bonus Cultura

Questi dati meritano senza dubbio alcune osservazioni: la prima, di natura garantista, è legata al fatto che si tratta del primo anno in cui avviene tale modifica e che pertanto negli anni successivi si potrebbe assistere ad un’inversione di tendenza. La seconda è che, in parte, il calo dei beneficiari è un effetto desiderato. Riducendo la platea attraverso vincoli di reddito e di merito, è naturale che i beneficiari siano di meno rispetto agli anni precedenti. La terza è di natura procedurale, legata alle maggiori informazioni che i giovani (e relative famiglie) devono produrre per accedere al bonus, che potrebbe aver influito in modo significativo. La quarta è di natura politica. Leggendo le varie notizie, infatti, emerge che il dissenso più che tra i giovani proviene dagli operatori del settore, che avendo subito un significativo calo delle vendite, hanno tutto l’interesse all’estensione di tali agevolazioni.

Le premesse da cui partiva il bonus cultura

Tuttavia, su quest’ultimo punto, vanno prese delle posizioni chiare, sia da parte degli operatori che da parte del Governo, relative alla stessa ragion d’essere di questi bonus economici. Il bonus cultura 18app partiva da importanti premesse concettuali: il consumo culturale è essenziale per le nuove generazioni; nella gerarchia delle preferenze dei consumi, quello culturale risulta essere meno attrattivo di altri; tuttavia, dato che il nostro Paese ritiene prioritario stimolare tale inclinazione, eroga ai giovani un bonus che consente loro di spendere dei soldi “gratis”, anche con l’obiettivo di “abituare” i giovani al consumo culturale e di far crescere i successivi consumi in modo “spontaneo”. Azione che ha indubbiamente funzionato e, come detto, forse anche troppo.

Il nuovo approccio adottato dal Governo

Le nuove carte cultura si fondano invece su un approccio diverso. La cultura è un consumo importante e tutti devono essere messi in condizione di poterne fruire; ma il relativo sostegno deve essere meritato. Quindi, da un lato si opera riducendo le distorsioni, con il sostegno delle famiglie meno abbienti (unite a quelle che chiaramente non dichiarano in modo capillare i propri redditi, ma questo è un altro problema), dall’altro si premiano le persone che, per l’alto rendimento scolastico, si presume possano essere più interessate alla cultura. Posizioni molto nette, e di natura concettuale, che possono essere ritenute giuste o sbagliate a seconda del proprio libero pensiero.

Il sostegno alla cultura, una scelta di campo

Di certo, una volta che come Nazione abbiamo deciso di sostenere la cultura, è anche necessario tener conto dell’importanza di sostenerne consumi e diffusione. Tuttavia, va tenuto in considerazione che supportando in modo “artificioso” i consumi si rischia di generare una bolla foriera di distorsioni, seppur piccole, sul piano della concorrenza e del mercato. Così come va tenuto conto che queste modifiche rappresentano, sotto il profilo del rapporto tra pubblico e privato, uno degli aspetti che pregiudica maggiormente lo sviluppo del settore culturale; a causa dell’incoerenza, dell’incostanza, dell’indeterminatezza e, per certi versi, dell’inaffidabilità del settore pubblico. Evidenze tecniche basate su un principio semplicissimo: se un’impresa sa che può contare su un determinato tipo di consumo, adeguerà i propri investimenti e la propria produzione sulla base dei trend che sono stati sviluppati. Se lo Stato decide di voler incentivare tale consumo, e rende la misura strutturale, l’impresa svilupperà un piano pluriennale di crescita considerando le misure previste e stimando gli effetti nel tempo. Il rischio d’impresa è sempre esistente, perché è chiaro che i cittadini possano decidere di allocare le extra-risorse in altri consumi o avvalersi dei competitor, ma questo fa parte delle regole del gioco. Quello che però non fa parte delle regole del gioco è immaginare che al cambio di governo, un flusso di entrate attese venga ad essere sovvertito per una decisione politica repentina.

Quali saranno le conseguenze del nuovo bonus cultura?

Ciò detto, le cose sono andate così, e adesso bisogna capire il modo in cui il sistema culturale si adeguerà al nuovo contesto di medio periodo.  Ma da questa vicenda sarebbe interessante comprendere, alla luce di dati puntuali e analitici rilasciati dai soggetti coinvolti, gli effetti aggregati di questi cambiamenti. Ad esempio, è vero che i giovani dopo il bonus cultura hanno incrementato i consumi rispetto ai coetanei del passato che non avevano avuto accesso al bonus? O ancora, è possibile che la riduzione dei consumi culturali sia dovuta alla loro natura “aggregativa”? Per cui limitare gli aventi diritto di fatto ridurrebbe i consumi in modo più che proporzionale? Guardando la vicenda da più punti di vista emerge l’assenza di una “vera verità”, ma solo visioni diverse, confutabili o meno, contestabili o meno.
A prescindere dalla propria opinione, però, ciò che appare è un’attitudine poco stabile alle decisioni assunte in ambito culturale da parte del settore pubblico e questo, bisogna dirlo, è un errore oggettivo del tutto bipartisan.
Il punto è che la cultura richiede tempo. E il tempo richiede partner stabili. Se lo Stato è in grado di esserlo, può far del bene agli investimenti. Altrimenti, forse è il caso che eviti incursioni.

Stefano Monti

Libri consigliati:

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più