La Pietà
I soggetti iconografici e la loro evoluzione nel corso dei secoli. Ovvero, come ti traduco le immagini in un viaggio attraverso le epoche. Analizzando temi religiosi, biblici ed evangelici, figure allegoriche e fantastiche, personaggi mitologici e santi, avvenimenti storici, elementi della natura e oggetti. Icon (on) Graphy prende avvio con l’analisi iconografica della Pietà.
Nel penultimo atto della Passione, tra la Deposizione e il Compianto, s’inserisce uno dei motivi più drammatici: il momento in cui Maria prende consapevolezza della morte di Cristo. Parliamo della trasposizione iconografica della Pietà, la cui origine è da ricondursi a Simeone Metafraste, agiografo del X secolo, che per la prima volta descrisse l’episodio fino ad allora ignorato dai Vangeli e dall’arte paleocristiana. Un’interpretazione prettamente umana del dolore materno di fronte alla morte del figlio si traduce con la Vergine che sorregge il corpo esanime di Cristo sulle ginocchia prima di affidarlo a Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea per la sepoltura.
Di origine germanica, l’iconografia prende spunto dal gruppo scultoreo denominato Vesperbild e si diffonde tra Francia e Italia dalla seconda metà del XIV secolo. Uno dei più antichi esempi è la Pietà Roettgen, scultura lignea che, per il forte impatto emotivo, appare connessa al Crocifisso di tipo renano, cruento per la minuta descrizione di piaghe e ferite e per il dolore che traspare dalla muscolatura contratta.
Ma la diffusione capillare è da collocarsi in epoca rinascimentale dove artisti come Cosmè Tura, Ercole de Roberti, Giovanni Bellini, Sebastiano del Piombo si misurano con l’episodio senza sostanziali variazioni se non per alcuni tra i quali Botticelli, Raffaello e Tiziano che introducono altri personaggi come la Maddalena, San Giovanni e Nicodemo. Sino ad arrivare alla Pietà per antonomasia. È con Annibale Carracci che l’iconografia si modifica sostanzialmente con Maria che, lacerata dal dolore, si adagia mollemente sul bordo del sarcofago chiudendo gli occhi.
Tra Seicento e Settecento le raffigurazioni diventano meno frequenti sino alla seconda metà del XIX, quando Gustave Moreau realizza una Pietà come opera prima, seguita da quella con angeli di William Adolphe Bourguereau e dall’interpretazione che ne dà Van Gogh ispirandosi a Delacroix.
Assume valenza di provocazione e dissacrazione con Marina Abramovic – e la performance Anima Mundi in duetto col compagno dell’epoca – e Sam Taylor Wood, che si autoritrae sulle scale con l’attore Robert Downey. E se per Sukran Moral la Pietà è al femminile, per René Cox è rigorosamente afro-americana. David LaChapelle mostra il corpo devastato di una vittima per droga sorretto da Courtney Love, mentre femmina e piccolo di scimmia impersonano una pietà in versione animale nel manifesto pubblicitario per la Lega Antivivisezione.
Le versioni più recenti risalgono alla 54. Biennale, a opera di Lee Yongbaek, per il padiglione Coreano, e di Jan Fabre, nella michelangiolesca trasposizione dove lo stesso artista, in abito da sera, viene sorretto da una Vergine il cui volto è divenuto teschio. Una Pietà-vanitas, monito dell’impietoso scorrere del tempo.
Roberta Vanali
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