Shrive il lussurioso
Torna la rubrica “Opera Sexy” diretta da Ferruccio Giromini. Direttamente dal numero 15 di Artribune Magazine, ecco illustrata l’opera dell’inglese di Rupert Shrive.
Già a sei anni, copiando con le matite colorate il potente San Giorgio e il drago di Paolo Uccello, decise d’acchito che da grande avrebbe fatto l’artista. L’inglese Rupert Shrive, nato nel 1965 a West Runton e cresciuto nel Norfolk, dopo essersi fatto espellere a 17 anni dalla scuola “normale” si è finalmente iscritto alla Norwich School of Art, poi al St. Martins a Londra; ha aperto il suo primo studio a Soho, proprio sopra il Coach and Horses Pub, dove ha avuto modo di conoscere e frequentare Francis Bacon; e alla fine, dividendosi tra la capitale britannica e quella francese, si è imposto internazionalmente grazie all’invenzione di una pittura tutta sua, una pittura che si fa scultura. Eccolo difatti dipingere ad acrilici su fogli di carta da pacchi, e ormai più frequentemente su pvc, e poi accartocciare ad arte il tutto, in un inusuale processo di creazione e distruzione, o se volete di strutturazione e destrutturazione, che finisce per essere insieme iconico e iconoclastico. Dalle piatte due dimensioni alle plastiche tre, l’effetto è quasi cubista: un concentrato marasma di più punti di vista per un’immagine da ricostruire mentalmente.
I suoi soggetti sono in genere grandi ritratti femminili ravvicinati, volentieri colti in un momento di intenso godimento: un’estasi invasiva che si legge lucente negli occhi chiusi, o persi in un vuoto altrove, e nelle labbra semiaperte nell’incontrollabilità di un orgasmo vibrante. Non a caso uno dei suoi dichiarati soggetti ispiratori è la celeberrima Santa Teresa del Bernini, la più famosa estasi della storia dell’arte, a cavallo indecifrabile tra il sacro piacere spirituale e il laico piacere corporale. A sottolineare ciò, Shrive ricorre ancora alla sperimentata iconografia santateresiana per rappresentare, nella sua imponente serie dei Sette Peccati Capitali, la Lussuria.
Tali opere viscerali sembrano così altrettanti reperti salvati in modi fortunosi da un gigantesco cestino della carta straccia. Saltuariamente l’artista li combina anche con altro da sé: ora sbucanti stropicciati da uova di struzzo dischiuse, ora accostati a conchiglie marine, ora addirittura non più appesi al muro ma spuntanti dirompenti da dietro l’intonaco della parete, in un più estremo empito anelante di passare dal loro mondo nel nostro. E a riconferma della sistematica sensualità di fondo del suo procedere espressivo, Shrive ha realizzato pure una significativa monumentale citazione anticoromana del Fallo alato pompeiano, cantata in versi e in prosa d’incandescente passione dalla spagnola Maximina Bescós: “Verga bella e dura / padrona dei miei giorni e delle mie notti / delle mie sere e delle mie mattine… Guardala come cresce, come tende la testa per alzarsi fino alle stelle. E come palpita lussuriosa nel riempirsi di sangue fino ad esplodere dentro lo stretto condotto che sbuca nelle viscere della femmina! (Oh mia succosa fichetta, apriti al tuo signore, alla lancia che sei nata per ricevere!)”. Un peccato vero, mortale! A fondante riprova di quanta lussuria può scatenare un artista abile tentatore.
Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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