Brain Drain. Parola a Marilena Caddeo
Operatrice culturale, Marilena Caddeo è partita da Carloforte, nella profonda Sardegna di Iglesias-Carbonia, per approdare a Tulkarem, ovvero nei territori palestinesi in Cisgiordania. La abbiamo incontrata per farci raccontare la sua esperienza.
Marilena, vivi in Cisgiordania. Cosa ti ha portato in questi luoghi?
Sono arrivata in Palestina per la prima volta grazie a un tirocinio al Cesvi, per seguire nello specifico un progetto di creazione di cooperative femminili, volute per rafforzare il ruolo delle donne nella società e per generare reddito nel distretto di Tulkarem. È con questa esperienza che sono entrata in contatto con la Palestina, conoscendone giorno per giorno la realtà politica, economica e socio-culturale. Sopratutto, ho avuto modo di entrare in relazione con la popolazione locale, soggetta quotidianamente alle gravi costrizioni e arbitrarie violazioni di diritto perpetuate dall’occupazione israeliana. Nonostante ciò, questa gente è caratterizzata da una forte ospitalità, amicizia, rispetto e apertura verso l’altro. È la solidarietà verso questa gente, verso la loro lotta per l’indipendenza e il riconoscimento della propria esistenza e identità che mi ha spinto a restare.
Quali progetti stai promuovendo?
Ho appena terminato il coordinamento di un progetto di interscambio culturale presso l’associazione palestinese Dar Qandeel for Arts and Culture di Tulkarem. Il progetto ha riguardato l’istituzione di un programma di educazione artistica, nato dall’incontro fra artisti italiani e palestinesi, a beneficio dei ragazzi del distretto di Tulkarem. L’obiettivo è stato dare loro l’opportunità di acquisire una formazione artistica senza doversi spostare nei centri più grandi della Cisgiordania, lontani da casa, ovviando così alle problematiche di costi e movimento causate dall’occupazione economica e politica israeliana. Contemporaneamente, il progetto ha valorizzato l’uso dell’arte quale ponte di comunicazione fra i popoli del Mediterraneo, accomunati da similarità storiche e culturali, dando visibilità all’attuale scena artistica palestinese, abbattendo le barriere fisiche e strutturali imposte dall’occupazione e lottando contro ogni forma di stereotipo o discriminazione.
Lo scambio è stato volutamente incentrato fra gli artisti dell’area di Tulkarem e gli artisti di dell’associazione teatrale Botti du Schoggiu dell’Isola di San Pietro (Sardegna) da cui provengo. Si è voluto in questo modo anche dare voce al potenziale artistico e specificità culturali delle aree isolate dei rispettivi Paesi, fuori dai riflettori dei media e dall’attenzione degli esperti del settore, valorizzandone l’identità e le peculiarità.
Quali sono le condizioni di lavoro culturale in questi territori martoriati dalla guerra e dalle tensioni?
In Palestina la cultura è uno strumento di lavoro fondamentale di promozione di una cittadinanza attiva, capace di parlare a tutte le categorie sociali e alle relative fasce di età. Specialmente nelle aree maggiormente colpite dal conflitto, la cultura è uno strumento di lavoro efficace per alleviare le condizioni psicofisiche della popolazione, promuovendone le abilità comunicative, capacità di autoespressione e sviluppo di una propria autoconsapevolezza.
Vi sono tuttavia evidenti difficoltà di lavoro con cui ci si scontra, recandosi ad esempio in aree conservatrici e caratterizzate da una società patriarcale, dove il concetto di attività propriamente culturali e ricreative senza il ritorno di un beneficio o riscontro economico non sono ancora pienamente concepite. Nei centri maggiori della Cisgiordania, la sfida che bisogna affrontare è quella di rendere l’arte a portata di tutti, portandola da un pubblico di nicchia all’attenzione della gente comune.
Credi che la cultura faciliti processi di coesione sociale, lavorando sull’inclusione?
Qui non si può prescindere dal peculiare contesto politico, dalle dinamiche dettate dal conflitto e dall’occupazione israeliana. Qui la cultura è lo strumento più importante per proteggere l’identità di un popolo e salvaguardarne la memoria storica. Contro i tentativi di normalizzazione e negazione dell’esistenza di un popolo, la cultura è incentrata sulla promozione e valorizzazione della tradizione e del patrimonio storico, sul legame con la propria terra, sull’espressione del diritto alla libertà e all’autodeterminazione. Con la costruzione del legame culturale tra passato e presente, tra vecchie e nuove generazioni, si lavora sulla costruzione della nazionalità di un popolo, sullo sviluppo delle future generazioni e sulla costruzione di una società attiva e consapevole.
Dove sono i luoghi dell’arte in Palestina?
Ramallah e Betlemme sono i centri maggiori (oltre Gerusalemme, non raggiungibile dagli artisti cisgiordani). Poi posso citare il museo di Mahmood Darwish, il Ramallah Cultural Palace. Per quanto riguarda i teatri, l’Ashtar theatre (Ramallah), la Kasaba theatre (Ramallah), Al Hara theatre (Betlemme). Interessanti centri culturali: Popular Arts Centre, El Fonoun, che si occupa di danza tradizionale palestinese a Ramallah. Non sono esattamente centri culturali, ma associazioni impegnate nell’organizzazione di eventi.
Esistono curatori d’arte, artisti che fanno mostre?
Non esistono veri e propri curatori d’arte. Le gallerie vengono organizzate sempre in posti diversi, per le difficoltà sociali. L’unica galleria stabile è la Al Mahta Gallery di Ramallah. Fra gli artisti palestinesi, posso citarti Iyad Zidane, Alaa Abu Saa, Saliman Mansour, che sono fra i pochi attivi con mostre.
Come ti sembra l’Italia da qui? Come svolgevi il tuo lavoro prima?
La società palestinese è in pieno fermento. L’attenzione sul settore delle arti e della cultura sta crescendo, sia da parte dei donatori internazionali che da parte delle autorità nazionali. Non avverto la stessa dinamicità all’interno della società italiana. Le autorità italiane stanno sottovalutando da troppo tempo le arti e la cultura quale mezzo di sviluppo e promozione sociale. Di sicuro lavorare direttamente presso associazioni locali ti porta ad accentuare le tue abilità di dialogo e comprensione, e ad acquisire una prospettiva maggiormente relativa del mondo che ti circonda.
Quali somiglianze e differenze nel lavorare per la cultura?
Sicuramente le differenze credo siano rintracciabili nelle diversità fisiche e strutturali dei rispettivi contesti. Le similarità credo siano individuabili nella sfida comune: portare l’arte in mezzo alla gente, abbattendo ogni barriera di comunicazione e differenze sociali.
Tornerai?
Difficile a dirsi, di sicuro ho un legame molto forte con la mia terra. Posso dire che per il momento vorrei continuare a lavorare alla promozione di una coscienza comune, alla costruzione di ponti di comunicazione che accrescano i sentimenti di consapevolezza e solidarietà tra i popoli, contribuendo alla promozione di una cittadinanza globale.
Neve Mazzoleni
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