Brain Drain. Parola a Francesco Stocchi
Da due anni curatore di successo nel dipartimento di arte moderna e contemporanea del Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, unico italiano, dove è stato nominato su chiamata per arricchire lo staff di una delle istituzioni di riferimento del Paese. Ancora un talento del nostro sistema dell'arte che ci siamo fatti scappare.
Quali sono le maggiori differenze rispetto a come lavoravi in Italia?
Come curatore indipendente, In Italia non lavoravo per una sola istituzione, ma per una pluralità di organizzazioni. Questo significa mantenere da esterno relazioni completamente diverse. Quello che noto in una cultura decisamente pragmatica come quella olandese è che una risposta affermativa rimane un sì, mentre una risposta negativa un no. C’è una chiarezza e una trasparenza differenti. In Italia è difficile avere un quadro chiaro. Però è vero che questa fluidità rende possibile anche ciò che sembra impossibile.
Cosa offre il sistema dell’arte olandese?
Negli ultimi quarant’anni la cultura del welfare olandese si è resa più strutturata in termini operativi. La presenza dello Stato negli ambiti culturali ha permesso lo sviluppo di interscambi, inducendo molti artisti internazionali a guardare all’Olanda come un luogo dove venire a lavorare. Il sostegno dello Stato ha anche permesso la realizzazione di progetti importanti per le arti visive. Molti artisti ne hanno beneficiato, aprendo i propri studi e realizzando le proprie idee e opere, altri invece si sono impigriti e hanno perso lo spirito della ricerca, adagiandosi sugli aiuti e i finanziamenti che venivano erogati dalla comunità.
La sostenibilità di questo modello è oggi in discussione. Io sono curioso di verificarne gli esiti, secondo me interessanti per il sistema dell’arte.
Cosa le manca dell’Italia in termini professionali?
Sono in continuo dialogo con l’Italia per il mio lavoro, così come con altri Paesi. Dunque non posso dire che mi manchi realmente o che rimpianga un determinato aspetto. La mostra che verra inaugurata l’8 febbraio al Boijmans van Beuningen, dal titolo Brancusi, Rosso, Man Ray. Framing Sculpture, è un esempio di come il mio trasferimento non abbia comportato un allontanamento da una ricerca estetica che guarda anche all’Italia. La mostra è un’indagine intorno alle interdipendenze di tre artisti molto diversi fra loro, ma accomunati dall’approccio interdisciplinare che ha messo in relazione scultura e fotografia. Forse quello che mi manca dell’Italia è un certo gusto dell’avventura.
Quali differenze nella visione e strategia culturale fra Italia e Olanda?
Sono modelli completamente diversi. L’Italia è un Paese feudale, l’Olanda una monarchia parlamentare. In Italia ci sono 60 milioni di abitanti, mentre in Olanda solo 6 milioni. Questo comporta una facilitazione nella pianificazione culturale, nonché una maggiore coesione nelle decisioni. Tutto ciò determina anche un controllo idoneo e puntuale sull’operato delle iniziative culturali.
Tornerai in Italia? A quali condizioni?
Sicuramente, ma non si tratta di condizioni. Sono decisioni personali.
Ti senti di contribuire al dibattito italiano sull’arte e la cultura, o ne hai preso le distanze?
Credo che il discorso sull’arte debba essere sempre preso su un piano internazionale.
Neve Mazzoleni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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