Brain Drain. Parola a Mercedes Auteri
Museologa e storica dell'arte, Mercedes Autieri è ben nota ai lettori di Artribune e Artribune Magazine. Dal Centro e Sud America, infatti, invia reportage e recensioni. Ora però ci siamo fatti raccontare perché ha abbandonato la Sicilia per attraversare l’oceano, in un viaggio che l’ha portata da Catania a Città del Messico.
Cosa fai a Città del Messico?
Insegno Storia dell’Arte e Museologia e sviluppo progetti educativi sperimentali per i musei. Sto lavorando a un modello di valutazione dell’impatto sociale delle mostre di arte contemporanea sul visitatore, presso il MUAC – Museo Universitario de Arte Contemporaneo. Il focus è qualitativo, e prevede l’invenzione di attività da somministrare al pubblico, con le quali coinvolgerlo nelle specifiche esposizioni. Questionari, interviste a risposta aperta, tavole rotonde, laboratori didattici ecc.
La forza è testarsi in un museo universitario di arte contemporanea (modello molto sviluppato nel continente americano e pochissimo nel continente europeo) che lavora sull’interdisciplinarietà. Relazionandomi con tutte le facoltà dell’università (la UNAM – Universidad Nacional Autonoma de Mexico, una delle più grandi e riconosciute di tutto il Latino-America), è stato possibile selezionare studenti per percorsi di formazione e, insieme a loro, lavorare alla somministrazione degli strumenti di valutazione al pubblico, sviluppando differenti punti di vista nelle attività legate all’esposizione. L’idea di fondo è che “nadie sale como entró”, “nessuno esce (dal museo) come è entrato”, campagna di pubblicità e sensibilizzazione realizzata proprio durante questo semestre. La relazione tra le persone e l’arte qui è molto meno elitaria che in Italia. I musei sono completamenti aperti alla comunità e la comunità è ansiosa di frequentarli. Pertanto gli studi sul pubblico – se utilizzati in chiave interdisciplinare attiva, qualitativa, formativa – possono avere grandi ricadute istituzionali sul museo e territoriali sulla società.
Come ti trovi in Messico? Quali sono i pro e i contro della vita laggiù?
Il primo “contro” per me è stato la burocrazia: quando nel novembre del 2012 hanno uniformato le leggi migratorie a quelle degli Stati Uniti, non sono riuscita ad avere il visto di residente e il permesso di lavoro prima di un anno. Ancora oggi, dopo quasi due anni, ho in sospeso alcune faccende amministrative da regolarizzare. Per fortuna ho cominciato a guadagnare da subito lavorando all’Istituto Italiano di Cultura di Città del Messico, a cui ho proposto dei corsi di Museos y patrimonio (un unicum nel panorama dei corsi speciali proposti dagli Istituti di Cultura) che hanno avuto molto successo. Parlo agli studenti messicani dei musei e del patrimonio italiano (museografia, capolavori nelle sale, grandi nomi e grandi artisti, nonché la relazione con il territorio e dunque con il turismo culturale). Ho conosciuto così persone appassionate.
Un “pro” del Messico è certamente l’amabilità, la curiosità, la voglia di migliorare della gente. Molti “contro” sono però legati all’insicurezza nelle strade, alle forti differenze economiche che generano estrema povertà accanto a smodato lusso, all’enormità della città (25 milioni di abitanti in tutto il Distretto Federale della Città del Messico: in una sola città abita, moltiplicata per cinque volte, tutta la popolazione della mia regione di nascita, la Sicilia) che spesso non consente facilità di spostamento, relazioni, vivibilità a ritmi umani degli spazi e delle distanze. All’interno della città, come diceva Johnny Stecchino nell’omonimo film parlando di Palermo, c’è il grave problema del “traffffico” (ma anche del narcotraffico, della violenza, dell’illegalità). Fuori dalla città, spesso a portata di autobus, ci sono gli splendori dell’intero Paese (l’archeologia e la cultura millenaria del Chiapas, dello Yucatan, di Oaxaca) e, a portata di aereo, le meraviglie del resto del continente, la natura incontaminata, la fauna, la flora e la frutta più buona del mondo.
Quali i luoghi e figure di riferimento della scena odierna?
Questo è uno dei fondamentali “pro” della città, che ha orientato la mia scelta: Città del Messico è la città con più musei al mondo. È il paese delle meraviglie per i museologi. Ce ne sono alcuni grandiosi che hanno fatto scuola, come il Museo di Antropologia, il Museo Nazionale di Storia del Castillo di Chapultepec, il Munal, il Museo di Arte Moderna, il Museo Frida Kalho, il Museo Diego Rivera di Anahuacalli. Sul fronte arte contemporanea, anche se sono di parte, secondo me le mostre che più esprimono l’identità messicana attuale e si aprono anche al panorama internazionale (con un’attenzione alle sinergie con il resto del continente al sud del Messico) si trovano nei musei universitari dell’Unam: Muac, Muca, Casa del Lago, Chopo, Eco, Tlatelolco.
Inoltre, c’è una buona scelta di gallerie che annualmente si riuniscono in una grande fiera internazionale che è Zona Maco e che crea relazioni tra i galleristi e gli artisti messicani e il resto del mondo. Le gallerie più accreditate? Kurimanzutto, Yautepec, Monclova, Ginocchio, Labor, Audiello. Per quanto riguarda le fondazioni private, la più interessante è quella ospitata nelle due sedi del Museo Jumex, è la più importante di tutto il Latino-America, appartiene a Eugenio Lopez Alonso ed è davvero strepitosa.
Gli artisti messicani più interessanti del momento? Teresa Margolles, Gabriel Orozco, Carlos Amorales.
Dove si concentra il mondo culturale?
Città del Messico è il fulcro politico, culturale, amministrativo dei 32 stati compongono gli Stati Uniti Messicani. La vita culturale contemporanea e metropolitana si concentra prevalentemente qui, nel Distretto Federale, oltre ai musei non si contano i teatri, i centri culturali, gli spazi espositivi. Ci sono Stati ancora poco industrializzati e alcuni, pochi e resistenti, che ospitano ritmi e tradizioni delle popolazioni indigene. Certamente, però, ci sono anche importanti realtà emergenti, come nelle città di Oaxaca, Guanajuato, San Miguel de Allende, Queretaro, Monterrey (dove negli ultimi anni sono nati prolifici spazi di arte contemporanea) o nella città di Guadalajara (dove annualmente vengono ospitati una importantissima Feria del Libro e un Festival Internazionale del Cinema).
Come sono i rapporti con il resto del continente? E con l’Europa?
C’è un buon vicinato con i Paesi del Centro e del Sud America. Si soffrono di più le relazioni con gli Usa. I rapporti alla frontiera non sono affatto facili, anzi, molta gente che arriva al Nord attraversando tutto il Sud e il Centro, cerca di oltrepassarla clandestinamente e muore tragicamente. In generale, non si è digerito lo strapotere con cui il vicino di casa ricco si è appropriato di territori che poco più di un secolo fa erano messicani (Texas, California, New Mexico) e non si vede di buon grado che ancora oggi detti legge su alcune dinamiche commerciali. Per quanto riguarda gli scambi culturali, invece, i rapporti sono più rilassati (soprattutto nelle nuove generazioni di studenti, artisti, professionisti che si specializzano nelle università statunitensi).
Con l’Europa e l’America del Sud c’è un buonissimo rapporto. Il Messico, paese di rivoluzionari, ha accolto a braccia aperte gli spagnoli durante la guerra civile e la dittatura di Franco e moltissimi rifugiati politici che qui hanno trovato asilo durante i vari golpe che hanno costellato il XX secolo in tutta l’America Latina. Contrariamente a quanto si pensa, avendo il Messico subito una cruenta conquista spagnola nel secolo XVI, i messicani non hanno un cattivo rapporto con gli spagnoli, anzi, si sentono in parte spagnoli perché nei secoli l’incontro (scontro) con le popolazioni native ha causato un “mestizaje” che è diventata la forza culturale del Paese. In questo momento un’altra “guerra”, quella della crisi economica e culturale che si è abbattuta sull’Europa del sud, ha portato una nuova ondata di spagnoli e, anche, di italiani, riproponendo antiche rotte migratorie che durante le guerre mondiali avevano reso approdo si salvezza il Nuovo Mondo.
Perché il Messico e non più l’Italia?
Non più l’Italia perché non mi lasciavano lavorare. Il Messico perché, al contrario, mi ha accolto a braccia aperte. Nel 2010 ho potuto studiare i musei universitari degli Stati Uniti e apprendere quanto efficiente sia nel continente americano la relazione tra università, museo e territorio (anche nei musei d’arte e non solo in quelli di scienza come succede in Europa). Ho conosciuto un collega messicano che mi ha invitato a conoscere il modello di post-museo che aveva lanciato in un grande congresso di ICOM – International Council of Museums del 2006 la direttrice dei musei universitari di arte dell’Unam, Graciela de la Torre, anticipando la prossima apertura del Muac. Nel 2012 ho potuto conoscere i risultati del lavoro. La vocazione sociale, interdisciplinare e la grande attenzione alla comunità (non solo universitaria ma dell’intero territorio), la qualità dell’offerta, la capacità di creare un sistema che coinvolge sei musei di arte contemporanea dentro del campus della città universitaria (opera architettonica enorme e totale, affidata ai grandi artisti e architetti messicani del XX secolo) a Coyoacan e distribuiti in altri punti strategici di Città del Messico.
Cosa ti manca della madrepatria?
Sentirmi completamente a casa (tra l’Etna e il mare). La famiglia (le attenzioni dell’infanzia). Gli amici (quelli veri di tutta la vita). Il cibo (il pesce e la parmigiana della nonna, gli arancini di Catania e la granita di Acireale). Non poter lavorare per la mia terra, essere utile, restituirle in qualche modo quello che mi ha regalato per nascita (e tolto per contingenze economiche e politiche a cui la mia generazione ha dovuto assistere, quasi impotente).
Quali punti di forza del sistema italiano porti con te nella tua professione? Cosa hai invece imparato in Messico?
I punti di forza del sistema italiano risalgono agli anni della mia formazione, almeno dieci anni fa. Ora non so se le cose siano cambiate, ma temo il peggio. Allora in Italia era possibile ricevere una solida formazione. Dunque ho portato con me gli studi, la parte metodologica, etica, teorica con cui affrontare il complesso sistema di valori e di progetti professionali. In questo devo molto a Icom Italia, alla mia mentore Alessandra Mottola Molfino, al lavoro della Commissione Educazione con Silvia Mascheroni. Solo che dopo anni di studio e specializzazioni, mi sono accorta che non c’era futuro. Mi sono risolta a portare tutto questo background teorico da un’altra parte. È molto triste che l’Italia non possa raccogliere i frutti del suo ventre e che i giovani vadano via senza poter tornare.
Dal Messico ho imparato che è possibile che valutino il tuo curriculum per quello che vale: l’impegno di anni e anni di studio ed esperienze e che ti facciano lavorare valorizzando il tuo lavoro. Impossibile in Italia. Dal sogno americano ho imparato che esiste e che la Storia di corsi e ricorsi ha fatto sì che molti italiani abbiano trovato qui una seconda casa in diversi momenti, carichi di avversità, incontrando spesso la parte migliore di noi stessi. Dall’America Latina, ho imparato che non si dovrebbe mai viaggiare per conquistare ma, sempre, per essere conquistati.
Neve Mazzoleni
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