Semplicemente Serj. Intervista con l’artista
Serj è nato a Bergamo nel 1985 ma la sua storia da artista è scritta quasi tutta a Roma. Ed è proprio nella capitale che siamo andati a vedere la sua personale. In quella stessa galleria Operativa che lo aveva già ospitato in una collettiva. Abbiamo colto l’occasione per una breve conversazione.
La tua mostra alla Operativa arte contemporanea si intitola Mira-Morsa, unificando due concetti oggettuali – la mira e la morsa, appunto – che delineano lo spazio dell’installazione. Puoi spiegarci il loro significato e come sei arrivato a usarli in contemporanea?
La serie di opere presentate all’interno della mostra sono frutto di una più ampia ricerca intitolata mira del distacco; mira-morsa ne è la messa a fuoco parziale. Il concetto di mira è sempre stato presente all’interno della mia produzione artistica e si presenta più come una dichiarazione d’intenti che come una forma oggettiva. In effetti, mira è scelta tra infinite possibilità, è un punto che contiene una volontà sempre uguale a se stessa ma inafferrabile e irripetibile. Mirare è cercare di carpire un punto specifico, colpirlo, afferrarlo; le opere presenti in mostra svolgono semplicemente questa funzione.
E la morsa?
Morsa, al contrario di mira, si presenta come forma oggettuale, è l’elemento reagente, quello che dà avvio alla trasmissione delle forze, è la tensione d’origine che determina i comportamenti dei diversi segni; solo successivamente il suo significato vira verso altre possibilità.
Mira e morsa sono termini che oscillano, si muovono sui propri stessi limiti. Avvicinare questi due termini è stato sia un modo per descrivere inequivocabilmente delle opere sia una dichiarazione programmatica.
In che relazione poni questa personale con la precedente collettiva Il peso della mia luce, alla quale hai preso parte sempre qui a Operativa?
Il peso della mia luce è stata prima di tutto una fondamentale occasione di confronto con gli artisti presenti in mostra e la verifica di un campione della mia generazione che opera a Roma. I lavori che ho esposto in quell’occasione (un’installazione sonora e delle carte) sono stati una prima stesura di quella che è oggi la mia personale.
Quelle opere si presentavano come pure indagini di possibilità, nello specifico, possibilità di segno. Quella serie di lavori è in assoluta continuità con quelli oggi in mostra, sia per quanto riguarda le modalità di utilizzo dei materiali sia per quanto riguarda concetti come ridondanza, macchina, potenza e mira.
Un’altra parte della tua produzione è rappresentata dai dipinti e dai disegni, ma anche da video e tracce audio. Vuoi creare un intero cosmos artistico?
È sempre stato fondamentale per me non affidarmi a un unico medium espressivo. Ampliare al massimo le possibilità di scelta significa potermi permettere di concentrarmi sull’ideazione e lo sviluppo di un’opera piuttosto che, viceversa, sulla forzatura di uno specifico mezzo espressivo (o presunto tale) a caccia di improbabili risultati.
L’utilizzo nel mio lavoro di suono, video, elemento installativo o pittorico coincide con la volontà di non crearmi inutili maestrie e al tempo stesso aumentare esponenzialmente le possibilità di segno; al tempo stesso noto che tutti questi segni muovono verso uguali impressioni.
Come lavori quando realizzi le installazioni che coniugano dispositivi meccanici, elaborazione pittorica della superficie e suoni?
In generale intendo sempre l’opera come macchina; questo ovviamente non implica necessariamente l’utilizzo di dispositivi meccanici. Credo che ogni opera d’arte, nella storia, possa essere intesa come macchina. Per quanto riguarda il mio lavoro, se per macchina si intende un congegno composto da parti che è in grado di produrre un qualcosa, quando avvicino o metto in contatto diversi materiali, forme, elaborazioni o disposizioni (quindi parti), si avviano macchine capaci di produrre senso in maniera autonoma: è inevitabile.
Questo è ciò che trovo più interessante: indurre possibilità. Piuttosto che soffermarmi su un’idea di dispositivo meccanico, credo di prestare maggiore attenzione alla meccanica intesa come osservazione e utilizzo dei comportamenti specifici di ogni elemento che vado a disporre. Questo, in fase di elaborazione dell’opera, si traduce in un atteggiamento assolutamente empirico che mira ad assecondare il gioco, inteso come spazio delle possibilità. Quando questo gioco si stabilizza finisce il mio lavoro.
Chiara Ciolfi
Roma // fino al 31 gennaio 2015
Serj – Mira-Morsa
OPERATIVA ARTE CONTEMPORANEA
Via del Consolato 10
[email protected]
www.operativa-arte.com
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