BoCS. La residenza raccontata da Angelo Bellobono
Sono state tante le polemiche suscitate a Cosenza dalle opere di Flavio Favelli e Lucamaleonte. Ma la residenza d’artista calabrese è stata anche molto altro. Qui la racconta un altro protagonista, Angelo Bellobono. E domani ci saranno nuovi racconti.
Dalla terra puoi lasciarti travolgere o ascoltarla raccontare. Ho scelto di ascoltarla camminandoci sopra senza calpestarla, e la sua potenza mi ha raccontato quello che doveva essere ascoltato. I complessi di inferiorità e le fraintese modernità sono alla base dell’instabilità del mondo. Questo si percepisce nettamente nel nostro Paese e in tutta l’aria mediterranea, un’amnesia dei luoghi che disintegra intere comunità senza produrre nulla di nuovo, ma solo rifiuti di esistenze, accennate e che raschiano il fondo.
Cosenza, la Calabria, la Sila, la cultura arbereshe mi hanno offerto più di quanto le parole di Levi, De Martino e Pavese erano, finora, state in grado di darmi. Il conflitto tra una civiltà che crolla, ma vuole continuare ad esistere, che resta viva sotto le macerie, che dialogano attraverso squarci sotterranei. La Calabria che ho conosciuto è potenza assoluta, resistenza di un sud che vuole riaccogliere e raccogliere, rimescolandola, la sua storia e la sua memoria.
La residenza, situata sul lungofiume Crati, che nasce sui versanti silani occidentali e sfocia sulle coste orientali, è circondata dalle montagne e dal centro storico della città, un nucleo di case precarie che disegnano un luogo che vive di vita propria.
Ancora una volta ho cercato un senso di appartenenza corporale ai luoghi, un’esperienza necessaria a leggere le sedimentazioni del paesaggio, le sue memorie primordiali, i suoi archivi e suoi incontri con l’uomo, esperienza tramutatasi in azioni, dipinti e incontri, al fine di attivare una riflessione sull’idea di confine e paesaggio, territorio vissuto, percepito e condiviso.
Partendo quindi dalla Sila, spartiacque ideale tra oriente e occidente, ho cominciato il mio percorso di scoperta e relazione con questi luoghi, continuando a ricucire le montagne di questo Mediterraneo, che si sta rivelando uno dei luoghi attualmente più interessanti al mondo.
Dunque su quelle montagne, ponte tra oriente e occidente, ho sventolato bandiere, di quelle montagne ho dipinto atmosfere, in quelle montagne ho scoperto la resistenza di antiche culture venute da oriente, gli arbereshe. Poi, scendendo, ho scoperto la stupefacente bellezza del centro storico di Cosenza, di coloro che lo abitano, un luogo anch’esso montagna, di rovine, ma non di morte, perché vivo anche nei meandri più abbandonati.
Cominciamo dunque a raccontare queste due intense settimane.
La visita rubata a Cavallerizzo, Kajveric in arbereshe, mi ha permesso di conoscere una storia importante.
A Cavallerizzo non è permesso entrare, dal marzo 2005 una frana ha isolato questo antico borgo albanese sulle montagne calabresi. Tutta la popolazione fu trasferita in un anonimo villaggio, costruito su un sito geologicamente ancor più instabile… tutti tranne una, l’unica persona che ancora vive nel paese fantasma, l’ultima cavallerizza di Kajveric. La sua resistenza è lucida e determinata. Visitando il paese ho raccolto le sue parole e immagini, poi alcuni preziosi reperti trovati dentro le case distrutte, abbandonate in fretta con il loro carico di umanità quotidiana. Su un rosone, su un libro di Scandberg, l’eroe della resistenza albanese, e nella pagina di un elenco telefonico del 1992 relativa al paese, ho dipinto il ritratto di questa donna.
Poi, sulla vetta di Botte Donato, la cima più alta della Sila, ho lasciato piccole ed effimere tracce, per me importanti al fine di rappresentarla, la cima, come ponte e porta tra oriente ed occidente.
Ridisceso a valle, ho poi camminato in lungo e in largo per il centro storico di Cosenza, alla ricerca di storie che vogliono e devono essere raccontate, per costruire un ponte tra i BoCs d’artista del lungofiume e la gente che abita vite precarie. Così ho piantato la mia bandiera d’occidente sulle rovine di un antico palazzo crollato nell’aprile scorso. Gli stessi bambini dei quartieri hanno poi voluto improvvisarsi sbandieratori e mi hanno seguito sul fiume, dove hanno visitato curiosi tutti gli studi e gli artisti al lavoro, presentandosi come miei amici e giovani collezionisti, e riportandosi a casa una piccola collezione di disegni.
Angelo Bellobono
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati