Arte e agricoltura. Intervista con Fernando Garcia Dory

Lo abbiamo visto al PAV di Torino e poi alla Biennale di Istanbul. Sarà in Messico, a Londra e alla Biennale di Jakarta. Ma cosa c’entra il movimento rurale spagnolo con l’arte contemporanea? Lo abbiamo chiesto a Fernando Garcia Dory.

Come nasce Campo Adentro
Il progetto nasce nel 2006, dopo aver proposto di creare una Commissione per l’Arte e il Mondo Rurale in seno al movimento sociale della Plataforma Rural. Da allora inizio a dar forma a un’azione che renda visibile la mia idea di unione tra arte, agricoltura e territorio.

Qual è l’obiettivo che volevi raggiungere quando il progetto è nato nel 2010?
Gli obiettivi erano: far sedere allo stesso tavolo soggetti politici governativi, movimento sociale rurale e mondo dell’arte e aprire un dibattito sociale riguardo il presente e il futuro del mondo rurale. Allo stesso tempo abbiamo provato tecniche pedagogiche per gli artisti interessati a lavorare in questo campo, aprirlo come piattaforma di collaborazione e ampliare la mia agenzia.
Possiamo dire di aver iniziato a camminare lungo un sentiero inesplorato. Abbiamo dato vita a una riflessione che non esisteva in Spagna. Abbiamo sperimentato pratiche artistiche, lavorando in 22 Paesi, e con il formato della mostra.

Cos’è successo durante questi anni?
Dopo questo primo periodo di produzione (2010-2013) abbiamo iniziato un periodo di riflessione e valutazione (2013-2015) lanciando il gruppo di studio, pubblicazioni, nuove forme sperimentali di produzione nel mondo rurale (come Metodo Mobile) e abbiamo esteso il lavoro all’Europa (la stessa politica agraria che intacca i campi) con inland.org.
C’è un cambiamento nell’identità: se Campo Adentro era un’azione amichevole e dinamica per aprirsi alla cittadinanza, Inland diventa una struttura piú centrata sul fare che sul comunicare, forse in parte piú introspettiva, e il cui obiettivo è creare uno “stato dentro lo stato” che favorisca nuovi insediamenti rurali con produzione culsperimentale.

Fernando Garcia Dory, Inland - diagramma

Fernando Garcia Dory, Inland – diagramma

Il tuo lavoro si indirizza verso un’idea di connessione e cooperazione tra differenti sistemi sociali e produzione artigianale attraverso una visione artistica contemporanea. Non trovi che l’arte “impegnata” – in fase espositiva e decontestualizzata – corra due rischi: il primo, e più immediato, è quello di tralasciare la produzione estetica che, diventando secondaria, si trasforma spesso in mera documentazione; il secondo è che, proponendo solo in forma frammentaria tutto il processo realizzato sul campo, se ne comprometta la complessità e si banalizzino contesti e relazioni sociali?
In questi dieci anni è risultato problematico trovare il modo in cui questo tipo di arte relazionata con i processi sociali si incastri con le forme d’arte convenzionali. C’è qualcosa che non funziona ma ancora non so esattamente cosa. Da un lato l’arte “sociale” è una forma d’arte d’emergenza in periodi di transizione, mentre dall’altro non esiste ancora il sistema artistico capace di accogliere questi altri metodi di produzione e circolazione dell’arte.

Quindi come si risolve la questione estetica?
La produzione estetica finale in relazione al modo di presentare un processo continua a essere un obiettivo da perseguire, malgrado possa sembrare contraddittorio. Credo che i processi possano essere complessi e vari e, nonostante ciò, generare quella forma.
In progetti come La Colonia o La Escuela de Pastores, alla fine sono rimasto pienamente soddisfatto della scultura che riassume la mia relazione emozionale con il lavoro in campagna. Pertanto, una buona causa non è una scusa per un’arte pessima.

E per quanto riguarda il secondo problema?
Sto cercando di affrontarlo. È una trattativa: non puoi dare al museo il puro oggetto, perché cederesti all’impulso di confronto, di attrito con quella struttura che eventualmente, in forma dialettica, porterà un cambiamento. Né puoi essere ingenuo e pensare che il processo sociale possa esistere così com’è in un museo. È un ambiente tossico per il processo sociale, a meno che non approdi con molta forza.
Per le mostre di Campo Adentro e Inland ho sperimentato con un formato di breve durata con un pubblico primario, che per esempio può essere quello che sta collaborando al processo creativo nei vari Paesi, e uno secondario, che è quello che si avvicina a vedere una mostra. In Olanda, ad esempio, Inland si presenta nello spazio in una maniera in parte tradizionale e nello stesso tempo viene portato avanti il processo di ricerca con un gruppo di “agenti” che danno vita all’Agenzia di Estensione Inland Olanda.

Come hanno influito sulla tua ricerca artistica le posizioni critiche rispetto all’arte relazionale Anni Novanta mosse da Claire Bishop?
Certamente m’è parsa importante la chiamata di Claire Bishop affinché l’arte si occupi dei conflitti esistenti visibili o latenti e che venga coinvolta di più nella ricerca di altre forme di società, andando oltre la condizione economica capitalista della sua esistenza, ben oltre la facile empatia del visitatore di una galleria.
Tuttavia non sono d’accordo su come include il lavoro di Santiago Sierra dentro quest’arte pubblica critica che sarebbe utile oggigiorno: mi pare infatti uno spettacolo di crudeltà molto poco costruttivo.

Fernando Garcia Dory, Inland a Istanbul

Fernando Garcia Dory, Inland a Istanbul

Non è la prima volta che partecipi a una mostra di Marco Scotini: avete entrambi una visione dell’arte come possibile campo di indagine per una “resistenza civile”?
Da quando ho conosciuto Marco alla mostra Vegetation as a Political Agent ho scoperto una persona inserita nel meccanismo dell’arte che non solo è cosciente di questa posizione, ma anche dell’urgenza del momento attuale e di cercare altre funzioni dell’arte al di là della pura compiacenza estetica. Mi sento vicino al discorso ben articolato con cui accompagna i suoi progetti espositivi e spesso penso: “Dovrebbero esserci piú curatori cosí!”.

Ci parli del progetto presentato alla mostra al PAV Grow it yourself, che comprendeva i lavori di Mario Garcia Torres e Susana Velasco? Il lavoro di un artista come Piero Gilardi ha influito sulla tua ricerca?
Gilardi è stato un esempio di ricerca formale e coinvolgimento sociale per molti anni. Mi interessa come si avvicina alle realtà marginali, dalla pianta all’indigeno al “protester.Per Gilardi decisi di mostrare Inland in un modo pedagogico, come una mostra più convenzionale, non attivata a causa della mancata unione politico-culturale. L’installazione pretende pertanto di essere un cavallo di Troia o un prologo di ciò che Inland è e pretende di essere, per poter iniziare un processo di estensione nel contesto italiano.

Carolyn Christov-Bakargiev ti ha invitato alla Biennale di Istanbul 2015 con il progetto The Water Course. Ce ne parli?  
Lo spazio a Istanbul era un’altra Agenzia di Estensione di Inland in Turchia. Spiega il progetto ma si concentra su quattro casi studio con cui ho lavorato lì. L’installazione converge in parte nella sala dell’Ayran Bar, negozio di artigianato della cooperativa di donne curde con cui ho lavorato, e mostra altri esempi di trasformazione sociale e lotta popolare in Turchia.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Continuerò sulla linea di questo anno di sviluppo locale, con Método Móvil nelle contrade in lotta per la terra in Spagna, il progetto del villaggio e una mostra a Madrid, e nel frattempo sviluppando Inland in Olanda, Scozia e Finlandia. E poi la Biennale di Jakarta, che apre il 14 novembre, e altri progetti in Messico e a Londra.

Katiuscia Pompili

http://fernandogarciadory.com/

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Katiuscia Pompili

Katiuscia Pompili

Nata a Catania, ha studiato a Napoli Conservazione ai Beni Culturali all’Università Suor Orsola Benincasa laureandosi con una tesi in arte contemporanea su Nan Goldin. Fa parte del gruppo di curatori usciti dalla scuola salernitana dei critici Angelo Trimarco e…

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