Osservatorio curatori. Alessandro Demma
Ottava tappa della nostra panoramica sulle nuove leve italiane. Questa volta è il turno di Alessandro Demma. Critico d’arte e curatore classe 1976, collabora stabilmente con l’IGAV – Istituto Garuzzo per le Arti Visive di Torino ed è docente presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata.
Il mio percorso tra i sentieri dell’arte si è strutturato negli anni della mia formazione all’Università degli Studi di Salerno con il felice incontro con Angelo Trimarco e Stefania Zuliani, nel solco del pensiero di Filiberto Menna, che a Salerno fu titolare della prima cattedra istituita in Italia di Storia dell’arte contemporanea, e con la città di Napoli che, nella metà degli Anni Novanta, continuava a mostrare alcune delle esperienze fondamentali dell’arte del presente.
Un cammino che mi ha portato a Torino, prima al Castello di Rivoli e oggi all’IGAV. Incontri ad arte che hanno segnato e caratterizzato il mio approccio metodologico alla pratica di critico e curatore, a un’apertura verso le scienze umane sempre attento a un confronto interdisciplinare per affrontare la complessa realtà linguistica dell’arte contemporanea.
Nella mia attività di critico militante mi sono sempre occupato delle trasformazioni, dei mutamenti, delle dinamiche processuali del presente dell’arte, di utilizzare la scrittura come momento d’indagine e analisi del contemporaneo, di lavorare alla costruzione di mostre intese come produzione di pensiero, come momento di riflessione e di analisi per stabilire un dialogo tra gli artisti, le opere e il pubblico. È proprio in questa direzione che il mio disegno critico prende forma, nella realizzazione di mostre intese come scritture espositive, nel dare la possibilità al pubblico di leggere l’esposizione esattamente come un libro, con la differenza che mentre il libro ha un rapporto di uno a uno fra il testo e il lettore, la mostra può e deve creare un’interagenza collettiva, non semplicemente di scambio, quanto di confronto, di dialogo.
Sono fermamente convinto che una mostra non possa essere un evento “silenzioso”, una semplice disposizione organica e organizzata delle opere esposte (come spesso siamo costretti a vedere) ma il momento in cui il critico, attraverso una scrittura espositiva, pone in un rapporto dialogico l’opera e il pubblico, propone un pensiero ad alta voce, un gesto, un’idea, un’intima prospettiva.
La pietra angolare del mio lavoro è, dunque, la relazione tra l’opera (l’artista) e l’universo umano che la osserva. Ecco perché sono certo che, nella condizione attuale di bulimia e assuefazione dell’immagine, si debba prendere coscienza del valore filosofico-intellettuale del lavoro critico-curatoriale in modo da, utilizzando le parole di Rainer Maria Rilke in uno dei Sonetti a Orfeo, “coinvolgere” il pubblico a “sapere l’immagine” (Wisse das Bild), conoscerla, sperimentarla e indagarla per partecipare a quella comunione (magica ed eroica) dell’arte cara a Piero Manzoni: “Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte”.
a cura di Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #29
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