BoCS Art. Torna la residenza d’artista a Cosenza
È stata inaugurata lo scorso luglio la seconda edizione della residenza d’artista nata nella città calabrese. Quest’anno sono stati ventotto gli artisti, per lo più emergenti, chiamati a interagire con la popolazione locale, coinvolgendola in azioni partecipative. Abbiamo chiesto a una di loro, Virginia Zanetti, di raccontarci com’è andata.
UN GRADITO RITORNO
Il dialogo tra l’arte contemporanea e il pubblico, il coinvolgimento della popolazione e del territorio, la riqualificazione del lungofiume Crati e della zona limitrofa sono gli obiettivi di BoCS Art Cosenza, progetto di Residenza Artistica, partito a luglio dello scorso anno e organizzato dal Comune e dalla Provincia di Cosenza, grazie a un finanziamento dell’Unione Europea stanziato per riqualificare alcune zone depresse dell’Italia meridionale.
La residenza, affidata al critico d’arte Alberto Dambruoso, nel corso del 2015 ha coinvolto circa 180 artisti tra italiani e stranieri, appartenenti a diverse generazioni e con percorsi di ricerca differenti – dalla pittura alla scultura, dalla fotografia all’installazione, dalla performance alla video-installazione, fino alla Street Art. Ciò ha permesso di offrire al pubblico di Cosenza l’opportunità di conoscere le modalità tecnico-espressive più contemporanee e agli artisti di stabilire un senso di legame fisico-spirituale con i luoghi, la memoria della città e con i suoi abitanti.
GLI ARTISTI DI IERI E DI OGGI
Tra gli artisti della prima edizione ricordiamo Flavio Favelli con il suo discusso murales dedicato al calciatore Gigi Marulla; l’opera fece infuriare i tifosi del Cosenza Calcio scatenando una serie di polemiche fino a indurre il Sindaco della città bruzia a chiamare lo street artist Lucamaleonte per un intervento “riparatore” più consono ai gusti della popolazione calcistica cosentina. Sempre tra i partecipanti della precedente sessione ricordiamo anche la partecipazione di Raffaele Fiorella, Giovanni Gaggia, Marco Raparelli, Iginio De Luca, Angelo Bellobono, Paolo Grassino, Alessandro Fonte, Stefano Canto, Paolo Chiasera, Giuseppe Teofilo, Giulia Caira, Arash Radpour, Andrea Facco, Matteo Fato, Daniele d’Acquisto, Giuseppe Ciracì, Vincenzo Rusciano.
La seconda edizione di BoCS Art, inaugurata lo scorso 1° luglio, ha visto la partecipazione di ventotto artisti, molti dei quali emergenti o poco conosciuti, con l’obiettivo di coinvolgere in modo più attivo gli abitanti della città, non solo attraverso l’accesso ai box/studio per confrontarsi con i diversi autori e con le loro opere, ma anche rendendoli partecipi di azioni performative messe in scena dagli artisti sul territorio.
PAROLA A VIRGINIA ZANETTI
Tra gli eventi realizzati durante questa prima tornata estiva, si è contraddistinto per la capacità di coinvolgimento il progetto performativo di Virginia Zanetti (Fiesole, 1981), che ha innescato una vera e propria “chiamata alle arti” per realizzare la sua opera collettiva I Pilastri della Terra. L’azione concepita dall’artista toscana riproduce una sorta di ribaltamento del nostro punto di vista e attiva un’estensione di riflessioni differenti, in grado di ribaltare il presente e disegnare diverse possibilità per costruire un futuro diverso.
Abbiamo chiesto all’artista di raccontarci la sua esperienza in una breve intervista.
Per BoCS hai ripetuto la tua azione collettiva I Pilastri della Terra, già realizzata in India qualche mese fa. Come nasce l’idea di questo progetto?
L’idea nasce dalla volontà di ribaltare il punto di vista dell’essere umano che, da sfruttatore delle risorse umane e ambientali, diviene esso stesso sostegno per la Terra e la propria comunità. L’intenzione è quella di realizzare un’opera collettiva che generi una nuova visione sulla possibilità di emancipazione delle persone attraverso un’azione che ribalti il punto di vista: l’individuo sorregge il mondo, insieme ad altri, sfumatura determinante tra l’assumere un ruolo attivo o passivo nella società.
La rivoluzione umana di un singolo individuo può concorrere alla trasformazione e al cambiamento del destino di una nazione e di tutta l’umanità. Per questo mi piacerebbe portare questo lavoro in tutto il mondo. Ho scelto l’India per iniziare questo progetto perché è un paese che riflette in modo significativo il contrasto che si sta manifestando tra spiritualità e sviluppo capitalistico. Così ho deciso di lavorare in aree rurali dove queste contraddizioni si manifestano in modo più evidente. In questi luoghi ho coinvolto le persone delle comunità locali, realizzando una serie di laboratori e azioni partecipative per incoraggiarle ed esplorare il potenziale individuale e collettivo. Il progetto invita ogni persona a capovolgere il proprio punto di vista e la prospettiva con cui vedere il mondo.
Nell’azione hai coinvolto le persone della città di Cosenza. Com’è avvenuto il loro coinvolgimento e in che modo i performer hanno accolto questa particolare esperienza?
Quando preparo un progetto instauro un dialogo con persone provenienti da altre discipline su specifiche tematiche da cui partire per sviluppare una ricerca; lo sport è stato il punto di incontro per parlare delle modalità di sviluppo individuale e per esplorare le problematiche del territorio e della comunità. In questo caso l’unico requisito richiesto al performer era saper stare nella posizione della verticale per alcuni secondi: hanno accolto la chiamata persone di svariate età e provenienti da vari ambiti culturali.
Per coinvolgere le persone ho proclamato, tramite BoCS Art, una chiamata pubblica su vari media e ho contattato personalmente associazioni sportive e scuole di danza del territorio cosentino. In particolare, ho collaborato con la direttrice artistica della compagnia di danza Continuity Fluid Performers, che, appassionatasi all’idea, mi ha aiutato nella coordinazione dei laboratori e dell’azione collettiva. Questa collaborazione interdisciplinare è sfociata in un’ulteriore performance realizzata durante l’apertura della mostra presso i BoCS sul lungofiume Crati, in cui i danzatori hanno interpretato la tematica del progetto interagendo con il pubblico.
Lo scopo della mia azione è capovolgere il punto di vista di ognuno, sia dei performer sia delle persone che hanno condiviso questa esperienza, e di creare una nuova comunità eterogenea errante, composta da individui che non si conoscevano, alla ricerca di una nuova etica o spiritualità.
Quali sono i concetti che intendi esplorare con la tua azione I Pilastri della Terra?
Le persone che fanno la verticale sorreggono il mondo e diventando i Pilastri della Terra, innescando un processo di costruzione collettiva di nuove idee da utilizzare per trasformare il presente e disegnare nuove vie. Il lavoro esplora i concetti di Rinascita, Risurrezione e Rivoluzione attraverso il cambiamento della visione. Tramite un movimento di verticalità che supera la forza di gravità – sfidando la morte, intesa anche in senso metaforico – si sovverte la postura naturale con un atto di volontà.
Come in India anche a Cosenza hai scelto due luoghi particolari: la Cava di Sabbia e il Monte Cocuzzo. È solo una scelta estetica o nasconde anche un tentativo di capovolgimento di queste specifiche realtà?
L’azione di fare la verticale in un particolare contesto assume uno specifico significato per le persone in relazione al luogo in cui vivono e lavorano, evidenziandone l’interdipendenza; ad esempio l’azione svolta dai figli dei contadini dei campi di cotone intorno a Nagpur spostava l’attenzione sullo sfruttamento dell’ambiente e dei lavoratori.
Lo stesso è avvenuto a Cosenza. Insieme alle persone abbiamo esplorato il territorio e la scelta dei luoghi è stata condizionata da un fascino estetico sorretto dalle storie raccontate dalle persone in modo spontaneo: una cava di sabbia nella zona industriale di Zumpano e il Monte Cocuzzo.
La mia intenzione non è quella di realizzare un’indagine giornalistica o una denuncia diretta, ma di creare insieme un’azione poetica che faccia guardare oltre la rassegnazione e l’accettazione passiva dei meccanismi che hanno caratterizzato per anni la gestione delle risorse umane e ambientali di un territorio.
Secondo te questa residenza costituisce un mezzo per la crescita socio-culturale della città o rimane un momento riservato soltanto agli addetti al settore?
Questa residenza, come altre operazioni politico-culturali, contiene in sé varie contraddizioni e offre allo stesso tempo agli artisti e alle persone la possibilità di utilizzarle per creare valore attraverso le proprie scelte. Sta sempre nella responsabilità individuale di ogni artista e degli individui che appartengono alla comunità, la scelta di utilizzare una possibilità per creare valore in un territorio, dialogando con realtà contraddittorie. Per quanto mi riguarda, nei miei progetti cerco di coinvolgere il maggior numero di persone estranee al sistema dell’arte, con le quali instaurare un dialogo inerente a specifiche tematiche. Devo dire che la parte più interessante del mio lavoro è lo scambio circolare che si genera tra persone che normalmente non sarebbero entrate in relazione tra loro per opinioni differenti. Il fatto che questo avvenga per mezzo del linguaggio dell’arte capovolge un altro luogo comune: quello che vede l’arte contemporanea come qualcosa di poco accessibile alle persone comuni. Per concludere, credo che la responsabilità della crescita sia sempre reciproca e che occorra una continua apertura verso il diverso e l’ignoto.
Su cosa stai lavorando al momento?
Sempre parlando di interdisciplinarità, sono stata coinvolta nel progetto A più voci di Palazzo Strozzi, a Firenze, nell’ambito del quale sto collaborando con il dipartimento educazione e alcuni operatori geriatrici per creare un laboratorio incentrato sulla relazione esistente tra care giver e persone affette da Alzheimer. Attraverso il gesto e il corpo abbiamo dato forma a emozioni e dinamiche invisibili che sostengono questi legami di co-dipendenza affettiva e materiale. La collaborazione è nata a marzo 2016 e continuerà in vista della prossima mostra dedicata ad Ai Wewei. Il progetto verrà presentato nell’ambito di un convegno internazionale che si svolgerà a novembre a Palazzo Strozzi.
Giovanni Viceconte
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