Museo del Prado. Intervista al direttore uscente Miguel Zugaza
Grazie a una gestione innovativa ed efficace, negli ultimi quindici anni direttore del museo madrileno ha trasformato quest’ultimo in una sede d’eccellenza. A pochi mesi dalle sue dimissioni, Miguel Zuzaga ci ha raccontato i dettagli della sua scelta.
È stato il più giovane e il più longevo direttore del Prado. Solo per questo Miguel Zugaza resterà negli annali della storia di uno dei musei più importanti al mondo. Dopo quindici anni di onoratissimo servizio, l’ancora giovane manager spagnolo (classe 1964) ha annunciato in novembre l’inaspettata decisione di dimettersi, per ritornare nei Paesi Baschi, sua terra natale, e dirigere il Museo di Bellas Artes di Bilbao da dove, quindici anni fa appunto, era giunto a Madrid.
Nel prossimo mese e mezzo – entro San Valentino, ha assicurato il presidente del Patronato José Pedro Pérez Llorca –, il consiglio di esperti formato in seno allo stesso patronato dovrebbe scegliere il successore di Zugaza, un nominativo da sottoporre al Consiglio dei Ministri cui spetta la nomina ufficiale. Malgrado da più parti si faccia appello al Codigo de buenas prácticas – una sorta di decalogo orientativo per la gestione delle istituzioni culturali, sottoscritto dal ministro Carmen Calvo nel 2007 insieme con le associazioni di settore – per ora nessuno parla di indire un concorso internazionale né sembra ci sia l’obbligo di legge di realizzarlo.
La stampa spagnola cita, fra i papabili candidati, i nomi di Gabriele Finaldi (l’italo inglese che per 12 anni fu braccio destro di Zugaza alla direzione scientifica del museo madrileno, da poco direttore della National Gallery), l’attuale direttore aggiunto Miguel Falomir (ottimo storico dell’arte, esperto di pittura italiana del Cinquecento e Seicento) e quello di Mark Roglán, ispanista e direttore del Meadow Museum di Dallas, la più grande collezione privata di capolavori spagnoli fuori dalla Spagna.
In quindici anni di intensa attività, Miguel Zugaza ha traghettato il Prado nel nuovo millennio. Ha realizzato il più grande ampliamento del Museo (opera dell’architetto Rafael Moneo), riorganizzato le collezioni, ma soprattutto promosso una profonda modernizzazione, anche tecnologica, nelle linee di gestione, avvalendosi dell’ampia autonomia concessa all’istituzione attraverso il nuovo statuto giuridico, la Ley del Prado del 2003.
Cosa spinge un grande manager della cultura come lei a lasciare la direzione del principale museo di Spagna, uno dei più importanti al mondo? Ragioni professionali o personali?
Si tratta di ragioni personali, torno a casa con la mia famiglia.
E basta?
Beh, anche professionali. Ho la sensazione di aver già svolto una tappa importante e soddisfacente della mia carriera, avendo contribuito a realizzare il salto del Museo del Prado verso la modernizzazione. Ma ho la sensazione che il mio contributo a tale processo sia esaurito.
Il ritorno al Museo de Bellas Artes di Bilbao significa il desiderio di completare un’opera iniziata anni fa, con l’esperienza maturata alla direzione del Prado? Oppure significa soltanto la voglia di tornare a una dimensione più piccola, maneggevole, ma anche autonoma nella gestione di un museo?
Torno con gioia al Museo di Bilbao: è un’istituzione locale che svolge attività in ambito anche internazionale. Credo che sia un luogo straordinario dove sperimentare nuovi progetti e mostrare come si dovrebbe mettere in relazione un museo con l’arte e con il suo pubblico.
Il Prado gode oggi del sostegno economico di importanti sponsor (banche e grandi compagnie di assicurazione) senza il quale non sarebbe possibile realizzare tanti progetti scientifici ed espositivi di alto profilo artistico. I patrocinatori privati investono volentieri nel Prado non solo per il nome dell’istituzione, ma anche per la presenza di una direzione solida, competente e trasparente che garantisce la qualità dei progetti. Potrebbe cambiare qualcosa ora?
Lascio la direzione tranquillo, conscio della forza del Prado sia dal punto di vista scientifico che organizzativo. Gli appoggi privati sono molto solidi e i progetti del futuro così importanti da richiedere nuovamente l’appoggio dei finanziamenti pubblici. Tra due anni si celebra il bicentenario del museo ed è stato scelto l’architetto Norman Foster per concludere l’ampliamento con l’annessione del Salón de Reinos [nell’antico Museo dell’esercito, edificio al lato del Prado, N. d. R.]. Foster ha proposto idee molto interessanti sul rinnovamento di ciò che resta dell’antico Palacio del Buen Retiro.
In questi 15 anni lei è stato il leader di una profonda trasformazione del museo, che ha traghettato l’istituzione madrilena nel nuovo millennio. La modernizzazione di un museo passa prima attraverso il miglioramento dell’architettura e dei servizi per il pubblico o attraverso lo sviluppo dell’attività scientifica e culturale? È più importante l’immagine esterna del museo o l’armonia e la cooperazione tra gli studiosi del museo?
Credo che musei come il Prado siano istituzioni vaste e complesse. Qualsiasi campo di intervento ha bisogno di tempo, appoggio e consenso. Fortunatamente in questi anni abbiamo potuto lavorare godendo di tutti e tre tali elementi fondamentali. È chiaro, però, che è difficilissimo portare a termine qualsiasi progetto innovatore se non convince a fondo gli stessi lavoratori che lo devono mettere in pratica.
Tra i tanti obbiettivi raggiunti in questi quindici anni, quali e quanti secondo lei sono stati fondamentali per sostenere il Museo del Prado durante la crisi economica?
È stato fondamentale l’appoggio privato, delle imprese e degli Amici del Museo, ma anche l’idea di non sopprimere mai nessun servizio, ma di trovare sempre nuove fonti di introiti attraverso nuove opportunità di visitare il museo. L’apertura sette giorni su sette è stata una scelta vincente, appoggiata dai lavoratori stessi e premiata dall’affluenza del pubblico.
Parlando del futuro – le celebrazioni del bicentenario del Museo nel 2019, la creazione del Campus e la ristrutturazione del Salón de Reinos – ha dichiarato che si tratta di una nuova tappa piena di aspettative per il Museo del Prado. Perché dunque non completare l’opera iniziata con tanta dedizione e professionalità?
Da Bilbao continuerò a collaborare all’interno della Commissione per il Bicentenario, ma sinceramente sono convinto che tutti questi progetti rappresentano una splendida opportunità per la nuova direzione del museo e che richiedano nuove energie.
Qual è il profilo professionale adatto per dirigere una grande pinacoteca del XXI secolo? In Italia le ultime nomine sono state di manager stranieri o italiani con esperienza formativa all’estero, età media cinquant’anni come lei, la metà anche donne. Meglio dunque un manager della cultura o un titolato storico dell’arte? Spagnolo o straniero? Una nomina interna o un nome internazionale?
La nuova direzione deve conoscere molto bene l’istituzione e avere una visione ambiziosa del suo futuro e della maniera di affrontare la storia dell’arte nei musei del XXI secolo. Difendere l’autorità intellettuale di un museo è molto diverso dall’impartire lezioni di storia dell’arte nelle università e negli altri centri di studio.
Visto dall’esterno, il Prado di Miguel Zugaza e di Gabriele Finaldi prima, e di Zugaza e Miguel Falomir poi, sembra una squadra piena di fuoriclasse e con tanti goal nel suo palmarés, l’ultimo dei quali la grande mostra per il cinquecentenario del Bosco. In Italia si dice: squadra che vince non si cambia… La formula sperimentata in questi anni di abbinare una direzione manageriale a una scientifica può dunque essere la vincente?
Posso dire dunque con orgoglio che la squadra del Prado, con tutti i suoi giocatori, forma il miglior team direttivo, di conservazione e restauro, di tutti i musei del mondo. Se ne va l’allenatore, ma i giocatori restano e vinceranno ancora molte partite.
Con uno sguardo al passato, qual è il progetto che l’ha soddisfatta maggiormente in questi quindici anni di direzione del Prado? E quale invece le sarebbe piaciuto realizzare?
Personalmente ho insistito molto sull’idea di riportare Guernica al Museo del Prado, ma non lo considero una battaglia persa. Era del resto la volontà dell’artista.
Risale al 2010 infatti la proposta di Zugaza di riportare al Prado il celebre quadro di Picasso, oggi esposto al Museo Reina Sofia dove fu collocato nel 1992, anno di apertura del Museo Nazionale d’arte moderna. Quando Guernica giunse per la prima volta in Spagna nel 1981, proveniente dal MoMa di New York, fu esposto al Casón del Buen Retiro, oggi sede degli uffici direttivi del Prado. Il progetto di Zugaza consisteva nel creare intorno a Guernica un Museo della Pace, nel rinnovato Salón de Reinos, esponendo il capolavoro di Picasso accanto a Los Fusilamentos di Goya e alla Battaglia di Breda di Velázquez, opere emblematiche per la storia dell’umanità. Un’idea insolita, eticamente impegnata, oltre le barriere tra antico e contemporaneo, ma che all’epoca fu dichiaratamente osteggiata da politici e amministratori pubblici e che, forse, è ancora oggi all’origine di qualche dissapore anche all’interno del Patronato.
Zugaza lascia nel 2017 un Prado sano, moderno ed efficiente, che gode del 72% di autofinanziamenti e di oltre 3milioni di visitatori l’anno, un 12,5% in più rispetto all’anno scorso, di cui più della metà paganti. Una curiosità: dopo gli spagnoli, sono gli italiani i turisti più assidui fra le gallerie del museo.
Federica Lonati
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