G7 della Cultura a Firenze. Intervista a Simon Brault

A Firenze per il G7 dei Ministri della Cultura, Simon Brault, Direttore e CEO del Canada Council for the Arts, traccia per noi un bilancio del summit. Con un auspicio rivolto agli Stati Uniti di Trump.

Autore di No Culture, No Future e attualmente a capo del Canada Council for the Arts –struttura istituita nel 1957 dal Parlamento locale per “favorire e promuovere lo studio, la fruizione e la produzione delle arti” – Simon Brault ha rappresentato il Canada al primo G7 della Cultura di Firenze, insieme al Ministro Mélanie Joly. Poco prima di volare in Italia, per prendere parte all’appuntamento promosso dal nostro Paese e sviluppato attorno al tema “Cultura come strumento di dialogo fra i popoli”, Brault ha presentato a Montreal il Manifesto for the arts in the digital era. L’occasione era il vertice intersettoriale “The Arts in a Digital World”, nel quale sono confluiti i contributi di artisti, operatori culturali, mediatori e cittadini. Al centro dell’appuntamento canadese, la questione della transizione e della trasformazione del settore artistico canadese nell’era digitale. Un tema riproposto a Firenze anche dal ministro Joly, che in una delle sue dichiarazioni ha ribadito la necessità di procedere con “l’alfabetizzazione digitale e il sostegno ai creatori di contenuti digitali, perché anche questo favorisce il dialogo e la diversità: servono collaborazione con le grandi piattaforme del settore, come Facebook, Google, Netflix”.

Arts in a Digital World Summit. Credits: Pure Perception

Arts in a Digital World Summit. Credits: Pure Perception

È uno dei sette rappresentanti scelti per la talk session che si è svolta nel Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio [l’Italia è stata rappresentata da Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia, N.d.R.]. Qual è la sua opinione sulla due giorni di Firenze?
È stata la prima volta in assoluto per un G7 della cultura: era tempo che aspettavamo un appuntamento così. Questo progetto, concepito e condotto dall’Italia, è stato una grande idea. Spero ce ne sia un altro, il prossimo anno: magari proprio in Canada! Ma intanto ragioniamo su quanto è appena avvenuto: lo considero un grande successo, perché ha prodotto un dialogo vero, su questioni molto urgenti, tra i Paesi partecipanti.

In merito ai temi del G7 della cultura, ha affermato che “to protect cultural heritage we need contribution from the greatest minds and we need the strongest political will”. La “Dichiarazione di Firenze”, con il forte appello alle Nazioni Uniti e all’UNESCO, è il primo passo in questa direzione?
Esattamente. Sono convinto che abbiamo bisogno di leader politici, ma allo stesso tempo necessitiamo di intellettuali e di figure di riferimento, provenienti dalla società civile, per lavorare insieme. La “Dichiarazione” è un buon segnale lanciato dal summit. Ora, in tutti i nostri Paesi, dobbiamo assicurarci che i politici continuino a porre attenzione sui temi affrontati e, allo stesso modo, che l’intera società sia attiva nello sviluppo culturale.

Ajagemo Juno Exhibition. Credits Ian Thorpe

Ajagemo Juno Exhibition. Credits Ian Thorpe

Nel suo Manifesto for the arts in the digital era fa riferimento a Cesare Pavese, con una citazione: “Art is proof that life is not enough”. La impiega per affermare che, mentre la tecnologia continuerà a controllare la nostra vita, l’arte ci dimostrerà che essa non è sufficiente. Come si traduce tale analisi nel lavoro del Canada Council for the Arts?
Come ho indicato anche nel corso dell’incontro di Firenze, ora più che mai abbiamo bisogno dell’arte. Il mio non è un invito a ignorare il digitale, ma a “umanizzarlo”. Il Manifesto offre una serie di azioni in questo senso. Dobbiamo lavorare insieme per porre le arti, la letteratura, l’intero patrimonio culturale al centro delle nostre società. Il sostegno pubblico in tale ambito deve tornare a essere un pilastro.

Un primo segnale in tale direzione, per quanto riguarda il Canada, sembra provenire dall’annuncio dell’aumento degli investimenti per la partecipazione nazionale alla Biennale di Architettura di Venezia del 2018…
Vogliamo aumentare i finanziamenti destinati alle manifestazioni di rilievo internazionale, tra le quali rientra certamente anche la Biennale di Venezia. Ciò significa che siamo pronti a inviare i nostri artisti all’estero, affinché siano parte attiva sul palcoscenico mondiale. Il Canada dispone di grandi superfici, a livello di territorio, ma di una popolazione contenuta: la nostra strategia è sostenere gli artisti nel contesto locale e anche all’estero.

The Musical Instrument Bank

The Musical Instrument Bank

Come agite, in particolare, a supporto dei giovani artisti?
Su questo fronte il nostro ruolo è molto importante. Certamente dobbiamo onorare il passato e i suoi artisti, ma è necessario assicurarci che ci sia un futuro nell’arte. La generazione emergente impiega metodi e strumenti molto diversi rispetto a chi l’ha preceduta. Agiamo distribuendo risorse alle istituzioni “tradizionali”, tra cui le orchestre, l’opera e altre analoghe; ulteriori fondi vengono destinati a supporto di progetti artistici, in modo diretto. Vogliamo incoraggiare le istituzioni ad aprire le proprie porte alle giovani generazioni e, soprattutto, a diversificare la propria offerta con soggetti provenienti da differenti background. Tutto questo per essere certi che ci sia un’iniezione di aria fresca, di novità, nel nostro sistema culturale: altrimenti sarebbe destinato a essere sempre meno rilevante e interessante per l’audience dei nostri tempi, così influenzata dalla rapidità e dall’accessibilità offerte dal digitale.

Nel nuovo scenario politico, come stanno evolvendo le relazioni tra Canada e Stati Uniti?
È preoccupante quello a cui assistiamo: mi riferisco alla tendenza a costruire muri tra Paesi. Speriamo che l’arte e la cultura siano gli strumenti per mantenere gli spazi aperti e incrementare i contatti tra le persone, indipendentemente dalla politica. La cultura aiuta a conservare porte e finestre aperte, anzi spalancate. Qualche volta riesce a fare anche qualcosa di più, come “aprire varchi nei muri”. Non abbiamo il controllo dell’agenda politica degli Stati Uniti d’America, ma noi siamo certi che gli artisti, canadesi e non solo, continueranno ad andare negli USA per presentare i propri lavori. A breve, con il Canada Council for the Arts saremo a Washington. In quell’occasione, incontrerò i miei colleghi e faremo il punto della situazione: dobbiamo provare, in tutti i modi, a lasciare aperta la possibilità di scambio tra persone, idee e progetti. Non solo verso gli Stati Uniti.

Valentina Silvestrini

http://canadacouncil.ca/

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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