Fondazione Polo del ‘900 di Torino. Intervista al neodirettore Alessandro Bollo
Un museo, una biblioteca con due sale lettura, spazi per eventi, mostre temporanee e performance, aule per la didattica, un’area per i bambini, sale conferenze e un minicinema: tutto questo è la Fondazione Polo del ‘900, che si estende su 8000 mq e a cui aderiscono 19 enti. Abbiamo parlato con il direttore Alessandro Bollo, che ci ha raccontato come sta andando e come andrà.
“Il Polo ha innanzitutto bisogno di essere raccontato. È un centro culturale, coordinato da una Fondazione, che vuole essere aperto alla cittadinanza ed è nutrito dall’attività e dal lavoro di 19 istituti culturali che lì hanno trovato casa”. A parlare è Alessandro Bollo, 44 anni, torinese, laureato in economia e commercio, esperto di management e progettazione culturale, co-fondatore di Fondazione Fitzcarraldo, oggi direttore, con una nomina arrivata a maggio 2017, della Fondazione Polo del ‘900 di Torino. Uno spazio e una identità complessa, quella del Polo, nata dalla convergenza tra Comune di Torino, Regione Piemonte e Compagnia di San Paolo, riunitisi in un nuovo ente: una Fondazione di Partecipazione nata all’inizio del 2016 per la presa in carico del nuovo centro culturale che ha sede nei palazzi di San Daniele e di San Celso, all’interno del complesso juvarriano dei Quartieri Militari. Il polo si estende su 8000 mq e son ben 19 le realtà aderenti: “Abbiamo un museo”, spiega Bollo, “una biblioteca con due sale lettura, spazi per eventi, mostre temporanee e performance, aule per la didattica, un’area per i bambini, sale conferenze e un minicinema. Questa configurazione, piuttosto complessa e atipica, pone, ovviamente, anche dei problemi in termini di comunicazione chiara e completa della propria identità e del proprio posizionamento. Ci stiamo lavorando, ma siamo ancora all’inizio del percorso”. Un percorso che, infatti, in questi mesi sta cominciando a delinearsi. Abbiamo parlato con Alessandro Bollo per capire a che punto siamo e verso quale direzione sta andando il Polo.
Sei da pochissimo direttore del Polo del ‘900. Ci racconti questa nuova avventura?
Posso dire che è un’avventura esaltante, che regala grande euforia, ma genera anche senso di responsabilità, perché mi obbliga a mettermi nuovamente in gioco a livello personale e professionale in un luogo culturale importante per la città di Torino e piuttosto atipico per il contesto italiano. Inizialmente ho dedicato molto tempo ad ascoltare le tante realtà che operano in questo spazio, allineando visioni, spunti progettuali, aree di competenza, elementi di potenzialità e nodi critici. Solo successivamente mi sono mosso – in questo molto supportato dal CdA – per individuare il team di lavoro, giovane e davvero motivato, che sta entrando adesso a regime.
E come sta andando?
I primi mesi di lavoro mi confermano nell’idea che il Polo del ‘900 possa rappresentare uno spazio di sperimentazione a cui guardare con interesse negli anni futuri perché nel suo DNA sono ricombinati e ripensati – con una grammatica e un’identità originali – gli ambiti canonici di intervento dell’archivio, della biblioteca, del museo, dello spazio performativo, del cinema, dell’istituto di cultura e riproposti nella forma di un centro culturale di nuova generazione aperto alla cittadinanza. Nel suo perimetro istituzionale e nel suo campo d’azione sono racchiusi molti degli elementi di sfida, di complessità e di potenziale criticità che caratterizzano la progettazione attuale; buoni motivi per aprire un ciclo nuovo e buttarsi a piene mani in questa impresa.
Se potessi descrivere in poche parole l’identità del Polo, come lo faresti?
Come vado ripetendo, a me piace pensare il Polo come un luogo di incontri spesso inattesi in cui le persone possono approfondire, leggere, studiare, conoscere, ricordare, viaggiare, socializzare, lasciarsi ispirare, confrontarsi, mettersi alla prova, trovare risposte e aprirsi a nuove domande.
Il Polo riunisce più realtà, come riesci a coniugare esigenze e prospettive in maniera armonica?
Oggi il Polo del ‘900 accoglie enti partner tra istituti storici e di cultura del Novecento torinese e italiano e associazioni legate alla resistenza e all’antifascismo. Si tratta di soggetti culturali che hanno identità istituzionali e missioni culturali molto definite, che attingono dal Novecento come tempo e luogo che ha prodotto Storia e storie che chiedono sempre di più di essere protette, ricordate, raccontate, trasmesse e fatte “reagire” e dialogare con i temi e le domande dell’oggi. La Storia e la riflessione critica sul secolo scorso diventano la materia e la chiave di senso da cui partire per ragionare e confrontarsi su cittadinanza, democrazia, diritti e partecipazione.
E come si fa a raccontare pagine così delicate?
È importante avere sensibilità, rispetto e coraggio per evitare che l’armonizzazione delle diverse prospettive non rischi di cadere in una sorta di omologazione forzata, al contrario penso che le differenze e le contraddizioni siano salutari per la riflessione e per il dibattito; la nostra è una società che ha paura delle contraddizioni e della complessità, tende a espungerle o a ricercare sintesi di comodo. Da questo punto di vista, il ruolo del Polo del ‘900 dovrebbe essere quello di offrirsi come una “zona franca”, un laboratorio di comportamenti pensato per allenare al pensiero critico, alla lettura complessa e profonda degli accadimenti contemporanei, al rispetto dell’alterità e delle posizioni divergenti.
Quali sono gli obiettivi di medio e lungo corso?
Le cose da fare sono davvero molte, così come ampia è la gamma degli obiettivi che devono essere contestualizzati in relazione a una fase che è ancora fondativa dell’identità culturale, del sistema di funzionamento, dell’organizzazione e dei meccanismi di collaborazione del Polo.
Occorre lavorare sul “luogo”, avviando gli interventi di restauro delle facciate dei due palazzi che compongono il complesso juvarriano dei Quartieri Militari, aprendo il prossimo anno una caffetteria/libreria, trasformando lo spazio esterno in una vera e propria piazza urbana. Per questo intendiamo intervenire sull’arredo urbano, sulla comunicazione esterna e su modalità d’uso dello spazio pubblico che consentano al “fuori” di incentivare l’uso del “dentro”.
E per ciò che concerne le nuove generazioni?
Vogliamo portare i giovani, non solo come pubblico delle nostre iniziative, ma come attivatori di progetti, agitatori di idee, “critical friends” che ci sollecitino con questioni e domande sull’oggi. Utilizzeremo il digitale per favorire questi processi, ma soprattutto costituiremo uno Young Board di ragazzi tra i 18 e i 26 a cui verrà data autonomia nel formulare proposte contenutistiche, progettare iniziative, sviluppare campagne di comunicazione e azioni di out reach.
Altri progetti in cantiere?
Ad esempio, la piattaforma digitale che consentirà di integrare e valorizzare il patrimonio archivistico e bibliotecario degli istituti del Polo.
Ovviamente c’è la programmazione culturale, quella autonoma degli istituti e quella realizzata con modalità integrate stimolate e promosse dal Polo. Il palinsesto sarà quindi il risultato di una molteplicità di eventi diversi per linguaggio e formato (dai convegni ai dibattiti aperti alle mostre alle rassegne cinematografiche ai linguaggi performativi e visivi, fino alle molte attività educative per insegnanti, scuole e adulti), che si coaguleranno per temi specifici e accadimenti importanti del calendario civile. Il 2018 sarà un anno importante perché cadranno anniversari significativi tra cui il cinquantenario del ‘68, l’ottantesimo anno dalla promulgazione delle leggi razziali fasciste del 1938 e il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale cui dedicheremo un’ampia programmazione, ma parleremo anche di lavoro 4.0, di Europa e di cittadinanza europea, della Resistenza e delle nuove resistenze.
Parliamo degli archivi: come vi confrontate con lo spinoso tema della conservazione?
Il patrimonio archivistico del Polo del ‘900 è qualcosa di unico, non solo per Torino, e il suo valore risiederà nella capacità di divenire un punto di riferimento per l’intero sistema culturale, in un’ottica non soltanto di conservazione, ma anche di valorizzazione, fruizione, ricerca, condivisione e produzione originale di nuovi contenuti. Parliamo di oltre 9 chilometri lineari tra libri e documenti di archivio, 130.000 fotografie, 21.000 manifesti, 53.000 audiovisivi, 400.000 documenti digitalizzati.
Grazie alla visione di Comune di Torino, Regione Piemonte e Compagnia di San Paolo, che sono i soci fondatori, sono stati concentrati in un unico luogo non solo tutti gli istituti, ma anche buona parte dei loro archivi che adesso sono conservati in luoghi sicuri e adeguati (anche se il problema degli spazi e della crescita degli archivi rimane cruciale pure per un centro da poco costituito come il nostro).
Per ciò che concerne la digitalizzazione come vi muoverete?
Entro l’anno presenteremo una piattaforma informatica, frutto di uno straordinario sforzo collettivo degli archivisti e dei bibliotecari dei nostri istituti, per rendere accessibili al pubblico, attraverso una maschera d’interrogazione online, le diverse fonti in nostro possesso. È un progetto a cui teniamo tutti molto perché dovrebbe presentarsi come un ecosistema digitale integrato capace di dialogare con utenze non solo specialistiche e diventare un potente strumento di audience engagement attraverso progetti di archivistica partecipativa e didattica evoluta. Vorremmo anche che documentaristi, produttori televisivi, teatranti, sceneggiatori, danzatori, graphic novelist, artisti visivi potessero lavorare su questi contenuti e ci aiutassero a trovare nuovi modi di raccontarli.
Quali benefici sta traendo la città dal Polo? E chi viene da fuori?
La città sta scoprendo giorno dopo giorno il Polo del ‘900; studiosi, appassionati, ragazzi, scuole, abitanti del quartiere, ma anche professionisti più o meno giovani vengono al Polo per leggere, studiare, vedere le mostre e partecipare alle diverse iniziative. C’è, comunque, ancora molto margine di crescita per coinvolgere le tante persone e i turisti che hanno voglia di trovare uno spazio di parola, di approfondimento e di lavoro sui molti temi in cui il Polo si impegna: democrazia, conflitti, emancipazioni, diritti, globalizzazione, lavoro, migrazioni, totalitarismi, cambiamenti sociali e tecnologici.
In che cosa la tua direzione farà la differenza?
Penso sia ancora presto per dirlo, sentiamoci magari fra tre anni alla fine del mio mandato. Come tutti i processi sperimentali, il Polo del ‘900 porta con sé un gradiente di rischio connesso alla capacità di trovare l’alchimia giusta per (ri)combinare i diversi fattori (i valori, le persone, i modus operandi, le culture del lavoro, le logiche di comunicazione, i processi collaborativi e le tensioni positive che nascono dal confronto) in una proposta di senso (e di offerta) comune che sia intelligibile, aperta, flessibile, distintiva e di qualità. Ne discende una sfida che sollecita tutte le dimensioni istituzionali: dalla visione culturale alla leadership, dal management alla progettazione e alla sostenibilità.
Credo non possa esserci un direttore da solo in grado di fare la differenza, ma che tutto dipenderà dalla generosità, dalla dedizione e dalla professionalità di tutti quelli che lavoreranno nel Polo e nei suoi istituti, dalla fiducia e dal sostegno che sapremo meritare dai nostri stakeholder, dalla capacità di creare ambienti collaborativi, grandi ambizioni e traguardi comuni. Così, molto probabilmente, il totale sarà superiore alla somma delle singole parti.
‒ Santa Nastro
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